La Formula Uno è in piena fase evolutiva. Il processo di mutazione ha subito un’accelerazione anche a causa della crisi finanziaria scaturente dalla pandemia di Coronavirus. Sono tre gli elementi che alimenteranno la rivoluzione: budget cap, limitazione dello sviluppo aerodinamico – che viene legato ai risultati sportivi – e introduzione delle nuove norme tecniche a partire dal campionato del mondo 2022. Un mix di elementi necessario per creare un contesto sportivo più equilibrato che consenta di superare una volta e per tutte i monopoli cui abbiamo assistito negli ultimi dieci anni. In questo processo molto ha contato la volontà della proprietà americana di Liberty Media. Ma è stato decisivo anche il contributo della FIA – che le regole le scrive e le mette in esecuzione – e degli stessi partecipanti. In tal senso determinante è stata la partecipazione della Ferrari e di Mattia Binotto al processo decisionale. Un legame con gli organi decisori rinsaldato anche in virtù dell’accordo riservato con la Federazione Internazionale in seguito alla chiusura delle indagini sulla conformità delle power unit sfornate dal reparto motori di Maranello.
Una mole di novità così cospicua rischia di avere effetti indesiderati? Potrebbe succedere che la nuove disposizioni vadano a snaturare l’essenza della categoria? Tale possibilità non è da escludersi in maniera aprioristica. E per questo i protagonisti del Circus hanno bene in mente che sarà necessario erigere degli argini per evitare che il fiume tracimi. Di questo avviso è il team principal della Scuderia Ferrari che ha rassicurato circa la volontà del suo team di issare paletti ben solidi che si oppongano alla mutazione genetica della Formula Uno. “I team più piccoli – ha evidenziato Binotto riferendosi al budget cap – chiedevano tetti di spesa più bassi. Ma la F1 è una piattaforma di innovazione, è una competizione tecnologica. La F1 non può diventare una sorta di F2 del futuro o una Formula E. La F1 è la F1 e il fatto che gli ingegneri possano spremere la tecnologia oltre i suoi limiti è un tratto distintivo”. Da questo punto di vista la simbiosi con la FIA è totale visto che lo stesso Jean Todt, non più di un mese fa, metteva in guardia la categoria dal rischio di trasformarsi in qualcosa di meno peculiare (leggi qua).
Il dirigente di Losanna ha rivendicato il ruolo della Ferrari nella stesura delle regole tecniche inizialmente previste per il 2021 e poi slittate all’anno successivo a causa dello stop temporaneo al Mondiale 2020. Un atteggiamento responsabile da parte di una realtà che, pur possedendo il diritto di veto, ha evitato di metterlo in pratica: “L’utilizzo del veto, talvolta, non è il modo giusto di gestire le cose. Il veto è solo qualcosa che avremmo usato in ultima analisi se si fossero completamente stravolte le caratteristiche della F1. Abbiamo avuto senso di responsabilità; abbiamo dimostrato che la F1 è un bene per la Ferrari e che il bene della Ferrari sia la F1. Lo spirito giusto è stato quello di collaborare per trovare la soluzione corretta. La stesura delle regole non è stata una guerra”.
A proposito di questa visione belligerante del processo decisionale, qualcuno ha maliziosamente osservato che la Ferrari si è fatta latrice di istanze che andassero a preservare l’enorme forza lavoro che ha una scuderia che presenta un forte il legame tra produzione e sfera sportiva. Maranello, in parole povere, avrebbe fatto i suoi interessi per evitare di mettere in discussione il suo modello gestionale. Binotto spiega che non è andata così: “Quella sul budget cap non è semplicemente una decisione su un numero. La prima conseguenza di una drastica riduzione sarebbe ricaduta sui nostri dipendenti. Riteniamo di avere una responsabilità sociale per proteggere i nostri lavoratori. Non è stata una conclusione non razionale, è stata una conclusione che si è adattata a tutti team e quindi anche a noi. Non posso dire di essere completamente soddisfatto della soluzione perché ora tutto è diventato molto difficile; ma sono comunque contento se consideriamo il punto in cui sono iniziati i colloqui”. Ricordiamo che la Ferrai spingeva per un limite di 175 milioni di dollari mentre McLaren si era messa a capo di una fronda che chiedeva un tetto di soli 100 milioni. Alla fine è passata una soluzione di compromesso (145 milioni, nda) che non scontenta eccessivamente le parti che erano più distanti tra loro al tavolo delle trattative.
La chiosa arriva sul cardine intorno al quale ruoterà la Formula Uno del prossimo anno: lo stop allo sviluppo di alcune aree della monoposto: “Il congelamento delle componenti è un qualcosa contrario allo spirito della F1? Sì – ha risposto in maniera convinta Binotto – ritengo che questa scelta snaturi la competizione. Ma al contempo credo che la decisione dimostri responsabilità rispetto allo sport perché stiamo affrontando una situazione molto difficile per via del Covid-19”.
C’è un unico punto contraddittorio nelle parole su riportate. Risulta infatti strano che Binotto voglia evitare che la F1 si trasformi in una Formula 2 e poi si sia fatto sponsor della sprint race che caratterizza, tra le altre, la suddetta categoria. Pensare di abolire le canoniche qualifiche, seppur per pochi appuntamenti iridati, avrebbe significato letteralmente deturpare la classe regina delle quattro ruote togliendo uno degli esercizi sportivi più tipici: la sfida contro se stessi e contro il cronometro. Vero è che la Ferrari ha utilizzato la gara veloce con annessa griglia invertita per questioni politiche mirate a “stanare” la Mercedes (leggi qui), ma la cosa mal si sposa con l’ostenta responsabilità verso il Circus manifestata dal team principal rosso. Evidentemente la guerra a suon di staccate che avrà inizio tra tre settimane in Austria è stata anticipata nelle sedi istituzionali. Ossia laddove le regole del motorsport si scrivono. E vincere sul quel versante significa accumulare un vantaggio che non si colma nel giro di pochi mesi. L’esempio della Mercedes dell’era turbo-ibrida è lampante.
Autore: Diego Catalano – @diegocat1977
Foto: Alessandro Arcari – @berrageizf1, Ferrari