Quando #EssereFerrari non basta più
“Ahi Ferrari, vituperio de le genti del bel paese là dove il sì suona, poi che i vicini a te punir son lenti, muovasi la Mercedes e la Red Bull“. Un incipit famoso, rubato alla dantesca memoria, riadattato all’infame assenza di gloria. Eppure tutto sommato calzante per questa rossa che si ciba delle membra dei suoi figli, mandandoli allo sbaraglio, senza appigli. Carne da macello appunto, in una infausta sequenza di esperimenti che rendono la guida pericolosa e priva di ogni connotazione ardimentosa.
Scaricare la vettura per ottenere velocità, l’ultimo azzardo di Maranello, che non sa più che pesci pigliare. Nella rete, al solito, finiscono i piloti, eroiche avanguardie di un forte raso al suolo. In una caotica alternanza di lodi e di critiche, gioia per chi specula, fiato per gli spettatori della domenica, troviamo i due alfieri a contendersi sistematicamente la palma del perdente. Il podio di Leclerc in Austria: grandioso predestinato. L’incidente in Stiria: Charles ha esagerato. La buona gara di Vettel in Ungheria: la riscossa del campione. I guai di Sebastian a Silverstone: Ferrari ha fatto bene ad appiedarlo, è ormai senza motivazione.
E via così, un giro di valzer che ripete il suo cerchio. Un cerchio senza la botte, perché certe evidenze vanno oscurate. Fortunatamente, oggi, possiamo fare affidamento sull’ausilio del web. Che lascia tracce indelebili, che aiuta a comprendere dinamiche altrimenti inspiegabili, con il senno del prima. Che contribuisce a costruire inconfutabilmente il senno del poi. Questo scagiona i piloti, divenuti purtroppo solo misere cavie, in cerca di un assetto, dell’ovviare a un difetto. Tentativi fallaci per raddrizzare una stagione malefica, un progetto indegno, una monoposto ingrata.
Poi, come se non bastassero le sventure, arriva l’immancabile Binotto, sempre in agguato, nel tentativo di calmierare e di fare buon viso a cattivo gioco. Peccato che la maschera che ha indossato sia ben più inquietante – e meno salvifica- delle ormai consuete mascherine. La cosiddetta riorganizzazione altro non è che l’ennesimo specchio per le allodole. Nonché mezzo per demandare responsabilità. Una nuova struttura, rinnovata solo sulla carta, che poco apporta di nuovo e di buono alla causa. (per approfondire leggi qui) Mattia potrà congedarsi dal suo ruolo in veste di puro tecnico per concentrarsi maggiormente su altri aspetti. Il che significa tutto e niente. Ma Binotto rassicura:
“Ci è voluto parecchio tempo per organizzarci e per fare in modo che il reparto tecnico fosse organizzato al meglio. Non si tratta di qualcosa che si crea in un giorno. Ora, dato che abbiamo le persone nel ruolo adatto, responsabili e preparate per svolgere al meglio il loro lavoro, sono in grado di abbandonare il ruolo di direttore tecnico. Altri se ne occupano e hanno obiettivi precisi. Credo che siano entusiasti e concentrati sui risultati da raggiungere. Per quanto mi riguarda ho molte cose da controllare: serve una supervisione per assicurare che ognuno di loro rivesta la giusta posizione.”
Tutto ciò suona meravigliosamente bene, ma, come cantava Mina, “le rose e i violini questa sera raccontali a un’altra“. In primis, perché non è novità di questi giorni che Binotto abbia rinunciato al ruolo di Direttore Tecnico. E poi, molto pragmaticamente, perché invertendo l’ordine dei fattori il risultato non cambia. E dunque sì, queste restano “parole, parole, parole…”
La palla dunque passa a John Elkann, che, ancora ebbro dalla sbornia calcistica, dichiara il pieno sostegno a Binotto, mettendo – per coerenza cromatica- nero su bianco che non si aspettasse una vittoriosa inversione di rotta prima del 2022. Peccato per lui che in questo caso il colore dominante sia il rosso. E, in una sfida alla roulette con il nero Mercedes, la perdita sia di entità devastante. In ogni caso il buon Mattia guarda il bicchiere mezzo pieno, gongolando per il sostegno che arriva dall’alto:
“Penso che sia molto importante avere il sostegno dei membri del consiglio di amministrazione, del nostro presidente e del nostro CEO. Credo che si condivida la stessa visione e che si abbiano a cuore gli stessi obiettivi. siamo consapevoli del fatto che serva un po’ di pazienza. Non esistono proiettili d’argento, dunque stiamo solo cercando di rinforzare la squadra.”
Nessun proiettile, solo frecce d’argento. Pardon, nere. E la pazienza, almeno quella dei tifosi, inizia a vacillare. Ferrari non può essere solo una fiduciosa attesa, neppure una strenua resilienza. Serve, oggi più che mai, un grido, un motto, un urlo di ribellione. Perché questa stagione, già ingrata di suo, non venga ricordata come l’emblema del fallimento. Un triste armistizio firmato da notevoli dignitari che pensano solo a rimanere a galla. in barba di chi lotta davvero, in pista. A dispetto di chi la Ferrari ce l’ha tatuata, nel cuore.
Autore: Veronica Vesco – @VeronicagVesco
Foto: Ferrari