Vettel: “solo e mal accompagnato”
Vettel è solo, drammaticamente solo. Il ragazzo gentile ed esuberante ha lasciato il posto a un alterego taciturno e deluso. Preso a schiaffi dai propri sogni, intensi e bramati, che gli si sono ribellati contro, apparentemente senza un perché. Un’avventura di lungo corso, quella con la Ferrari, trasformatasi in una dolorosa sequenza di rimpianti, in una disastrosa collezione di fallimenti. Ma la storia di Sebastian non è simile a un libro giallo, dove la trama finisce identificando il colpevole. Si tratta piuttosto di un romanzo a cui il destino, in qualità di scrittore, ha negato il lieto fine.
Vettel si sente abbandonato, in balia di venti contrari da cui non trova riparo. Non è una rosa tenace o un imponente girasole. Somiglia piuttosto a un convolvolo. Si arrampica con forza sfidando gli ostacoli, ma, la sua fragile corolla, lo fa tremare più del dovuto al cospetto delle brezze mattutine. Sebastian ci mette il cuore, soprattutto e davanti a tutto. Si fa coinvolgere senza maturare un necessario distacco. Perché, prima ancora di essere un grande campione, è un innamorato di questo sport. Come lo era del mito Ferrari.
Un amore incondizionato, potente, totalizzante. Un sentimento che andava ben oltre il normale rapporto lavorativo. Era appartenenza, dedizione, devozione. Conservava la purezza di una cotta adolescenziale, pur evolvendo in un solido affetto, sorretto da un’innata passione. Follia e sgomento, gioia e portento. La Rossa rapiva i suoi pensieri, regalando un’altalena di emozioni difficilmente replicabili. Un appuntamento con il destino che cela sempre un reverenziale timore: di un inciampo, di uno scivolone, di una brutta figura.
Vettel ha il cuore che batte all’impazzata, un tornado turbinoso difficile da domare. Sebastian è talento, ma anche impulsività. Alle volte è accecato dal suo stesso impeto. Sebastian è commozione, la tenue sensazione di una carezza leggiadra. Sebastian è scintilla e iridescenza, come le lacrime della sua ultima vittoria, il canto del cigno del suo #EssereFerrari. Le luci di Singapore come riflessi di arcobaleni nel cielo azzurro dei suoi occhi, dopo la pioggia di un pianto liberatorio. Salvifica conquista in un anno da rincorsa.
Poi la rottura. Segnali non troppo difficili da decifrare, ma che forse volevano essere ignorati, o quantomeno trascurati, da parte di chi, come Seb, ci credeva ancora. Segnali che parlavano di cambiamento, di voltare pagina, di riscrivere un nuovo domani, con altri personaggi come protagonisti. La Ferrari, come una donna troppo amata, vezzeggiata, coccolata, si stanca del suo uomo di punta. Non le bastano più mille tenerezze e attenzioni, ambisce a regali costosi. Non bastano le coppe, vuole una corona per sentirsi regina. Dimenticando che, indipendentemente dal partner più o meno compiacente, anche la donna più desiderabile deve mostrare delle qualità precise, se vuole diventare sovrana.
In questa lunga convivenza Vettel ha commesso qualche errore di troppo. Va detto nero su bianco, per non peccare di sterile indulgenza, per non rendere martire un pilota vivo e prezioso, che ha tutte le capacità e le possibilità per essere ancora parte della storia. Va ammesso per onestà intellettuale, ma soprattutto per rispetto verso Sebastian, che è altro e molto di più dello sbiadito e sbadato numero 5 che cavalca la bizzosa Lucilla. Comprenderlo va bene, scusarlo a oltranza potrebbe essere deleterio. Perché in qualche modo significherebbe trovargli un alibi per ammettere il fallimento.
Invece Vettel deve reagire, iniziando a tessere la tela per rivestire di ulteriore gloria il suo domani, ma anche cercando di adattare quell’abito fuori misura che è la SF1000. Un vestito pacchiano, dalla foggia ottocentesca, appesantito da inutili orpelli di dubbia fattura. Opera di un incauto stilista che tira a campare sugli allori di mode passate e dei bei tempi andati. Niente a che vedere con l’elegante tubino nero Mercedes, perfetto per ogni occasione, a patto di non esagerare con le scarpe alte. Seb deve provare a sistemarlo, rimboccandosi le maniche, abituandosi alle lunghezze e alla poca libertà di movimento data dal modello. Solo così potrà tentare di ricucire il rapporto con la Ferrari in questi ultimi mesi, evitando che volino stracci.
Vettel non deve neppure lasciare anzitempo. Un buon capitano non abbandona la nave che affonda. E lui da sempre è un capitano coraggioso. Deve piuttosto ritrovare concentrazione, una buona dose di distacco e un pizzico di cattiveria. I suoi silenzi iniziano a farsi tristi, il suo mutismo ostile. Tuttavia mostrarsi arrabbiato e deluso, non è che l’ultimo regalo per l’altezzosa Ferrari e per i suoi detrattori, alla perenne ricerca di un motivo per biasimarlo. Sebastian sconta la solitudine di una separazione tutt’altro che consensuale, di un abbandono palese e immeritato. Ma non può di certo piangersi addosso per il resto di questo anomalo campionato. Provi a trasformare la delusione in rabbia, la tristezza in grinta, l’ingiustizia in ispirazione. Per aspirare ai piani alti, a un guizzo, a una nuova prodezza. Per tornare ad essere campione nella mente, prima ancora che a bordo di una sgangherata Ferrari.
Autore: Veronica Vesco – @VeronicagVesco
Foto: Ferrari