Ferrari come fortezza, come una cittadella inespugnabile, o meglio un Cremlino, data la trasferta in terra Russa. Un microcosmo a parte racchiuso da mura possenti, atte a proteggere, a impedire l’assedio, a filtrare ciò che può entrare o può uscire, al di là del bene e del male. Quando poi è il momento di suonare la carica, scendono in pista i veri guerrieri, coloro che guidano, coloro che infiammano. Non ci sono mattoni dietro a cui nascondersi o porte per serrare fuori il mondo. C’è solo asfalto scuro, complice o nemico. E la consueta lotta contro il tempo.
Il circuito di Sochi se ne sta accovacciato in prossimità del Mar Nero, con le sue linee sghembe e l’immensa curva tre, un possente arco incastonato in mezzo a singhiozzi di rette. Ammicca a quella sorta di lago gigante dove persino l’orizzonte risulta una bugia. Altro limite che richiama chiusura, non fosse per il bacio del Bosforo che ne rianima le acque, offrendo un refolo di ossigeno verso l’ignoto. Questa la cornice del decimo appuntamento del mondiale di Formula Uno, questo il teatro dove le aspettative non riescono a essere disattese e le sorprese risultano prevedibili come il contenuto di una matrioska.
La rivalsa di Bottas, la conferma Mercedes, i piccoli passi di una Ferrari ancora troppo incerta. Le prime tre bambole si dischiudono svelandoci l’ovvio e lasciandoci intendere che ben poco potrà variare, a parte qualche piccolo particolare. Gli aggiornamenti portati dal Cavallino sulle ali anteriore e posteriore, sulle prime, appaiono capaci quantomeno di regalare un minimo di fiducia. Vettel, nella mattinata di venerdì, si riscopre a proprio agio con il bilanciamento della vettura. Gli fa eco Leclerc nel pomeriggio. Entrambe le vetture sembrano offrire segnali di ripresa e offrono l’illusione di poter trovare un dignitoso posto entro la top ten. Impressione confermata al sabato mattina, quando la lotta a centro gruppo non appare più come una chimera.
Il destino però sa essere beffardo, divertendosi a giocare con le residue speranze, specie quelle di chi ha tutto da perdere. Accade così che, nel corso di una seconda sessione in cui il peggio sembra rappresentato dallo spauracchio di qualche goccia di pioggia, una Rossa vada in frantumi. La Ferrari numero 5 di Vettel sbatte e rimbalza all’interno della pista, come il batacchio rotto di una campana. Leclerc sopraggiunge in quell’attimo e la evita con millimetrica precisione, scongiurando il peggio. La vettura ferita pare una grottesca caricatura: il braccetto spezzato e la gomma storta la fanno somigliare a una marionetta senza fili. L’immagine di Sebastian che recupera la gigantesca ala divelta, portandola sotto braccio, è l’emblema dell’ennesima sconfitta. Dell’uomo e del team.
Proprio nel momento in cui Vettel decide di fidarsi ancora, la Ferrari lo tradisce. Era obbligato a osare per togliersi da una posizione scomoda. Lo avrebbe fatto se avesse potuto. Il giro buono ha bisogno dell’attimo fuggente: va colto senza esitazione. Ma quell’attimo è già svanito. Altre auto sono in pista per contendere, per pretendere il risultato salvifico. E allora ci si trova obbligati a rallentare, a distanziare, anche a costo di raffreddare eccessivamente le gomme. L’auto inizia a fare le bizze, il tedesco dapprima la tiene. Poi un malefico cordolo ci mette lo zampino ed ecco il botto. Netto e crudele, come solo la cattiveria sa essere. (Per rivivere le peripezie di Seb guarda qui)
Bandiera rossa, attesa, adrenalina a mille. Si ricomincia, per disputare quel paio di minuti mancanti. Serve massima concentrazione e soprattutto concertazione tra pilota e muretto. Leclerc parte all’arrembaggio, per raggiungere l’obiettivo. Ma, complice un errore di valutazione, prende bandiera e perde la possibilità di fare il giro cronometrato. Un insulto per Charles, privato della possibilità di lottare. La rabbia sarà intensa, sfrontata e genuina. Esattamente come dev’essere la reazione di un numero uno. I sorrisi e le parole di circostanza lasciamoli a chi corre per diletto. Un campione non si rassegna, lo esterna. Ed è giusto che lo faccia capire. Non sono ammessi sconti, ben vengano gli affronti. Perché chi ha l’anima da gara si nutre di ben altro foraggio. Si può essere sconfitti da un avversario, ma non trafitti da chi dovrebbe garantire un appoggio.
Eccola qui la Matrioska. Si spezza in due, con una crudele leziosità, promettendo chissà quali rivelazioni, e poi replica sempre le stesse sensazioni. Forse un po’ ce lo si deve aspettare, dato l’aspetto da matrona, con quegli occhi fissi, sbarrati, inespressivi. Somiglia un po’ al weekend della Ferrari. Prova a stupire, ma alla fine si conferma nel suo immobilismo, nel suo mutismo, nei soliti errori. Ancora una volta fuori. Dai piani alti, dai posti che contano. La bambola di legno mostra un’ulteriore fessura, un’ultima offerta o un estremo inganno in vista della gara.
Un Gran Premio piatto, come il mare senza vento, come il vincitore da pronostico, che svela un Hamilton più terreno, più umano, per una sola volta un po’meno infallibile. Una safety car per inaugurare la sfida, che compare al primo giro, dopo due botti in stile capodanno, giusto per raccogliere i cocci di involontari bagordi. Poi il rosso a due tempi, con una Ferrari che prova, che tenta, con un’altra che non può, che si sacrifica. Detta così suona un po’ male. Perché Leclerc ha meritato il suo sesto posto e quella manciata di punti che luccicano come polvere di stelle. Ma restano polvere appunto, e un astro merita altro per entrare in un firmamento. (Per rivivere la gara del numero 16 clicca qui) Perché Vettel ha cercato di dire la sua, in pista e via radio, ma si è dovuto piegare alla logica del gioco di squadra. (Per rivivere la gara del numero 5 clicca qui)
Game over. Il pezzo di legno resta nelle mie mani. Provo a scuoterlo, a torcerlo, ma non si deforma. Non c’è altro dalla Russia. Era l’ultima matrioska, con il suo verdetto finale. Otto punti per Charles, fantastico gladiatore. Tredicesima posizione per Seb, condannato alla mediocrità. Una storia che si ripete, senza il bisogno di souvenir o di feticci. La nostra Ferrari sta ancora arrancando, ma contiamo su una ripresa. Perché deve puntare più in alto, dominare, come una torre. Al prossimo appuntamento, nell’altopiano dell’Eifel, non ci aspettiamo tanto. O forse sì. In fondo manca solo una ‘f’ per svettare. O per svoltare.
Autore: Veronica Vesco – @VeronicagVesco
Foto: Ferrari – Formula Uno