Una doverosa premessa in apertura: questo pezzo non disquisirà di questioni tecniche anche se trova ospitalità proprio nella casa della tecnologia applicata ai motori. Né affronterà i temi sportivi offerti da un tumultuoso Gran Premio di Toscana nel quale le Mercedes hanno imposto nuovamente la loro legge e nel quale le Ferrari, nei limiti del possibile, sono ulteriormente sprofondate in un baratro di mestizia in quello che doveva essere un giorno di celebrazioni per i mille Gran Premi in F1. Questo testo verterà su questioni che possono essere considerate, almeno per chi scrive, più alte di quelle strettamente “pistaiole”. Ma che, grazie allo sport, escono allo scoperto e diventano oggetto di dibattiti, analisi, approfondimenti. E’ ben noto cosa abbia fatto Lewis Hamilton prima e dopo la gara del Mugello. Meno nota era la vicenda relativa a Breonna Taylor. Chi non ha “googolato” il nome per conoscere dettagli di un fatto di cronaca entro il quale non mi addentrerò. Non è la sede opportuna. Quel che conta è che il sei volte campione del mondo ha introdotto nella dialettica relativa alla Formula Uno tematiche che generano reazioni accese. Violente quasi come i fatti che il portacolori della Stella a Tre Punte ha voluto portare a galla. E per poterlo fare bisogna avere carisma. E’ necessario essere, appunto, un “Lider Maximo”.
Quel ragazzino accompagnato per mano dal padre e da Ron Dennis ne ha fatta di strada. Non solo sportivamente. E’ diventato uomo, ha formato ed imposto la sua personalità, è divenuto egli stesso icona di questa era motoristica. Inutile girarci intorno: questi saranno ricordati come gli anni di Lewis Hamilton. Nel bene e nel male. Perchè è un personaggio che dicotomizza: o si è con lui o lo si avversa in ogni modo. Anche nelle maniere meno ortodosse che talvolta rasentano il vile. Basta farsi una “passeggiata” sui social per avvedersene. Agorà virtuali che stanno diventando preoccupantemente specchio e misura di una società che ostenta come medaglia lo scadimento valoriale. Ma lui, spalle larghe, va per la sua strada. Indefesso, sicuro delle sue ragioni. Che sono le ragioni di chi non vorrebbe più sentir parlare di razza, di colore della pelle, di suprematismi affogati in ogni salsa.
Il dibattito che si è scatenato nelle ore successive al podio della discordia si è alimentato sull’opportunità di far politica durante una manifestazione sportiva. Innanzitutto, anche se l’immagine simbolica di Hamilton con la maglia “incriminata” fosse davvero un fatto politico, non siamo dinnanzi ad un inedito. Nel 1968, Tommie Smith e John Carlos, guanto nero e pugno al cielo, sfidarono il mondo in un’era di agitazioni focose per manifestare la sacrosanta volontà di tutela di precisi diritti civili. Che, a distanza di 42 anni, è evidentemente ancora insoddisfatta se uno sportivo fa più o meno lo stesso clamoroso gesto dinnanzi a milioni di spettatori virtuali. Ed è qua che sta l’essenza del discorso: in mezzo secolo di storia, di evoluzione, di lotte d’eguaglianza, siamo ancora in un contesto di marcate disparità. Che non vanno negate. Anzi, che vanno sottolineate per creare una coscienza sociale ed accrescere la consapevolezza dell’esistenza di un problema che andrebbe debellato. Per sempre.
Ma torniamo in tema. Quello che ha fatto Hamilton, si diceva, non ha a che fare con la politica. La questione è più semplice di quanto possa apparire: Lewis domanda rispetto per il diritto alla vita. Qualcuno storce il naso perché i suoi appelli sono fatti mettendo la comunità nera al centro. Ovvio, è parte di quella realtà. E quella comunità (che non chiamerò razza perché siamo nel 2020. E l’idea di parlare di razza oggigiorno mi atterrisce) è indiscutibilmente oggetto di discriminazioni, è evidente. E lo è nella progredita America così come nella tradizionale Europa. Quella di Hamilton è una lotta per la piena integrazione che tutti dovremmo sposare senza striscianti giustificazioni. Non è politica quella che fanno gli attivisti che si spendono per questa causa. Anzi, magari la fosse. Perchè questa tematica è spesso estromessa dai dibattiti parlamentari. Ed è del tutto esclusa in realtà nelle quali la democrazia, l’inclusione, la pluralità sono miraggi.
Il punto di vista della collettività di colore andrebbe compreso mettendo da parte polemiche che onestamente si fanno fatica a giustificare. E’ una questione di relativismo così come postulata da Franz Boas. Andrebbe superata, una volta e per tutte, l’idea di civiltà a blocchi incomunicanti. Le diverse culture, nell’accezione antropologica, con le loro peculiarità, presentano tratti comuni che vanno individuati, tutelati, protetti. E tra questi l’idea stessa di uguaglianza, di pari possibilità di accesso alla ricchezza. Le lotte di cui si è fatto araldo Hamilton sono la faccia visibile di questo processo più grande che non riesce a trovare compimento. Un qualcosa di inaccettabile.
Importante è l’appoggio di un marchio come la Mercedes in questa campagna di sensibilizzazione. Nelle prime ore si era tanto discusso dell’opportunità di sostenere messaggi “duri” come quelli lanciati dal sei volte campione del mondo. Il team anglo-tedesco ha spazzato via il campo dalle illazioni con un serie di tweet che hanno ribadito ancora una volta che il supporto all’iniziativa è totale. Successivamente è arrivata anche una netta indicazione da parte degli organizzatori. In un primo momento si era creduto che Hamilton potesse incorrere in qualche sorta di penalizzazione per la controversa maglia sfoggiata sul podio. Dopo una riflessione probabilmente molto molto attenta, la FIA ha preferito per il non luogo a procedere. Fare il contrario sarebbe risultato stridente: l’ente che ha introdotto la campagna “We Race As One” e che, in nome della parità di genere, ha abolito le grid girl non poteva condannare pubblicamente Hamilton. Nemmeno con una risibile pena pecuniaria. Lewis che, dal canto suo, ha fatto sapere che la lotta continuerà nelle stesse maniere e nelle medesime forme. Anche a Sochi.
E’ chiaro che per lanciare messaggi così forti bisogna avere carisma e convinzione dei propri mezzi. Ed è palese che bisogna mettere in conto di potersi scontrare sia coi vertici del motorpsort sia con quella parte d’opinione pubblica che non sposa l’iniziativa derubricandola a mera attività politica. Ecco perché ho definito Hamilton un “Lider Maximo”. Sta segnando sportivamente quest’era frantumando ogni record e, da qualche tempo, ha preso a marchiarla anche con iniziative di forte impatto. Le azioni dell’anglo-caraibico hanno offuscato persino le celebrazioni per il millesimo GP della Ferrari. Un fatto non da poco. La più grande vittoria di Hamilton, però, non è aver eclissato il suddetto evento. Non era il suo scopo, non ci sarebbe nemmeno da sottolinearlo. Il successo reale è aver acceso i riflettori, con relativo dibattito, su elementi che spesso tendiamo a tenere marginalizzati. E’ un bene che lo sport faccia ciò; è positivo che una disciplina atta sostanzialmente ad intrattenere riesca a valicare la mera sfera della competizione.
Certo, come si diceva, non tutti hanno accolto con favore l’iniziativa. Questo rientra nella naturale percezione soggettiva delle cose. Ma anche i “detrattori” si sono trovati “costretti” ad affrontare l’argomento. La sensibilizzazione alla materia è ciò che serve ed è quello che Hamilton è riuscito ad ottenere. Il fine che giustifica i mezzi che sono rimasti invisi a chi chiede che la F1 sia solo ed esclusivamente attività ludica. Anche questa è un’opinione degna di rispetto. E sta a dimostrare come possano coesistere sperequati approcci a fatti così delicati. Nella stessa redazione di Formula Uno Analisi Tecnica sussistono diverse opinioni e dissimili sono i pareri sull’agire del britannico. Ma, nonostante ciò, vi è piena libertà di toccare e trattare la spinosa questione. E per questo bisogna ringraziare chi, anche su una testata che si occupa di aspetti prettamente tecnici, dà la possibilità di poter scrivere un pezzo come questo. La pluralità di visioni nel rispetto dall’altrui pensiero. Ciò per cui Hamilton, il “leader maximo” di questa F1, sta battagliando. Con successo.
Autore: Diego Catalano – @diegocat1977
Foto: Mercedes
La credibilitá di queste campagne si guadagna con la coerenza e Lewis affronterá un paio di prove alla carta tornasole. Criticherá i diritti umani a Shangai? Penso ai giovani di Hong Kong e agli Iuguri. Ad Abu Dhabi criticherá la pratica dello schivismo negli emirati?
Un´altra obbiezione e la adesione acritica ai BLM, questi sono anti cultura occidentale, specialmente se é Europea. Se é cosi, cosi ci fa lui nella formula 1? che piú europea e occidentale non esiste. Cosa fa come pilota di auto da corse? corse che non esistono ne in Africa ne in Asia se non portate o copiate dagli europei.
Una magliettina anche per i Curdi a Instabul e mi hai convinto, altrimenti è solo pubblicità.
Hamilton è sulla strada per diventare il più grande di tutti i tempi. Manuel e Blas anche se facesse quelle cose che avete scritto trovereste comunque altri fronti su cui criticarlo. Spesso leggo commenti “Qualcuno deve fare subito qualcosa altrimenti e la fine per il genere umano” beh qualcuno lo sta facendo(diritti umani e inquinamento) solo che lo si critica invece di sostenerlo. Dispiace che non riuscite a vedere la grandezza di Lewis solo perché non veste una tuta rossa
La tuta rossa non è indice automatico di mio gradimento. Hamilton oltre ad d essere il migliore pilota del momento è innanzi tutto un marchio e il prodotto per essere venduto bene si deve distribuire altrettanto bene.
Comunque sul tema ecologico già qualcuno gli ha ricordato che brucia benzina per lavorare..
Se preferisci gli idoli che scattano le foto sullo yacht a prendere il sole a uno che usa la sua fama per aiutare la terra e i più deboli non ha a che fare il persona ma il tifo.