Sono molteplici gli aspetti che determinano la forza di un team che sta apponendo la sua impronta sulla Formula Uno da ormai sette anni. Tecnica, risorse finanziarie e umane, organizzazione aziendale, individuazione di obiettivi e di nuovi stimoli nonostante la lunga striscia di vittorie… Tutti fattori che, mattone dopo mattone, hanno costruito una scuderia che è stata “fissata” come modello gestionale per i concorrenti. E poi ci sono i dettagli, quelle minuzie che alla lunga fanno la differenza e concorrono in maniera determinante al conseguimento dei traguardi prefissati. Il processo di affinamento gestionale che la Mercedes ha operato negli anni ha portato ad un governo dei piloti quasi scientifico: piena libertà di sfidarsi. Ma senza farlo in maniera anarchica. Il duello consentito in virtù di norme ferree che i driver accettano qualche volta a malincuore ma che, alla lunga, permettono alla compagine di Brackley di fare incetta di trofei.
Nelle fasi iniziali del Gran Premio del Belgio abbiamo sentito indistintamente la comunicazione tra Valtteri Bottas e il suo ingegnere di pista. Il finnico chiedeva potenza; il boscaiolo domandava “più motore” (nell’ultima gara a mappature variabili, nda) per poter attaccare il collega d’ufficio. Nella speranza di ridare un senso ad un campionato che, per ora, non sta andando come da propositi prestagionali. “Posso spingere?” ha tuonato Bottas in una gracchiante comunicazione radio. La risposta del muretto è stata perentoria, un invito diretto a rispettare gli accordi presi durante il briefing pre-gara: “No, non ci siamo messi d’accordo su questo”. Una decisione che il trentaduenne di Nastola ha mal digerito mettendo pubblicamente in dubbio quanto riferito dal suo tecnico di riferimento: “Non lo sapevo, non avevo mai sentito questa cosa”. Una risoluzione comunque accettata per una più alta ragion di stato; assimilata in virtù di quel modello che si è imposto, per necessità, dopo un 2016 in cui la tensione tra Hamilton e Rosberg valicò abbondantemente i limiti dell’accettabile.
Dopo il succitato team radio si sono scatenate polemiche su una Mercedes che favorirebbe il suo top driver. Evidentemente la memoria è corta perché lo stesso Hamilton è stato “vittima” di questa maniera di amministrare le gare. E non serve tornare indietro del tempo per averne una conferma. Durante il Gran Premio inaugurale d’Austria è stato il turno del campione del mondo in carica di chiedere di poter attaccare il rivale interno. Anche in quel caso la risposta del muretto è stata negativa. Nonostante il britannico avesse un passo più solido del compagno di squadra e riuscisse, in aggiunta, a stare abbastanza comodamente in zona DRS. Cosa che Bottas, domenica passata, non è mai riuscito a fare. Una gestione talvolta indigesta per i piloti ma che, dopo il succitato Campionato 2016, ha portato Mercedes a non aver più rogne intere, massimizzando i risultati.
Toto Wolff, mutuando un’immagine calcistica, ha implementato una strategia di gioco con una punta pesante e una leggera a girargli intorno. Il manager austriaco, uno che di pista se ne intende considerando i suoi trascorsi, ha smontato e rimontato il modello che la Ferrari impose ai tempi di Schumacher e che tanti vantaggi portò sia a Maranello che e al tedesco. Sarebbe superfluo tornare su fatti noti, basta solo ricordare che dal 1996 al 2006 il team modenese aveva creato uno schema tanto discusso quanto efficace: un pilota superstar intorno al quale si sono avvicendati dei gregari che dovevano accettare da contratto il loro status di “agnello sacrificale“. Niente muletti per la seconda guida, telemetria della spalla totalmente a disposizione del leader e non viceversa. E soprattutto completo sacrificio in pista per favorire il sette volte campione del mondo. Uno schema spietato che qualche volta ha esposto Jean Todt a gradi critiche. Un disegno tattico che però ha funzionato maledettamente bene e che ha fatto scuola. Una formula che Wolff conosce tanto bene da poterla rimaneggiare per i suoi scopi.
Il team principal viennese ha mondato dalle criticità la gestione sportiva di quegli undici anni ristrutturando un modello, adeguandolo alle norme sportive che, nel frattempo, sono cambiate proprio per evitare quelle polemiche che sovente nascevano quando in diretta radio veniva chiesto al Barrichello di turno di farsi da parte. Oggi, in Mercedes, non succede che Bottas non possa vedere e sfruttare i dati telemetrici prodotti dalla vettura di Hamilton. Non esiste un contratto da seconda guida scritto e ratificato dalle parti. Non esiste, ancora, un team che lavora essenzialmente per portare al trionfo una sola macchina. Wolff ha semplicemente riproposto le condizioni che si verificavano a Maranello allestendo una coppia sbilanciata. Una cosa semplice? Affatto. Perchè bisogna trovare un pilota che accetti di competere esponendosi a sonore batoste che generano frustrazioni. E qui subentra la sagacia di un gruppo che è in grado di gestire questa problematica psicologica. Un team che supporta il gregario offrendogli sempre e comunque pari materiale e pari possibilità di vittoria. Direte: è successo che a Bottas venisse chiesto di lasciare strada. Vero. Ma non è mai successo quando il finnico covava velleità di titolo. A Monza 2018 hanno usato il boscaiolo per incatenare Raikkonen e consentire ad Hamilton di portarsi a casa una fondamentale vittoria di tappa in un campionato fino a quel momento senza un vero padrone. Bottas era praticamente estromesso dalla lotta all’iride. Così come è successo, ad esempio, in Russia.
Per comprendere meglio la lucida spietatezza di questo meccanismo basta ritornare al Gp d’Ungheria del 2017. Vettel, con evidenti problemi di volante, aveva le spalle protette da un fido Kimi Raikkonen che evitava di attaccare nonostante le difficoltà del tedesco. Alle spalle del duo ferrarista c’era Bottas al quale fu chiesto di farsi da parte per permettere ad Hamilton, avvantaggiato in classifica, di provare la stoccata vincete. Opera vana grazie ad un coriaceo Kimi. All’ultimo giro Hamilton dovette suo malgrado restituire la posizione al compagno che, a metà stagione, rivendicava ancora il legittimo diritto di concorrere al campionato. Una storia che narra di come sia limpidamente spietata la politica di Brackley.
In questo rigido contesto operativo che non conosce deroghe finché la classifica non lo consente, Hamilton sta imponendo agevolmente il suo dominus, anche in questo atipico 2020. Se Bottas riesce a tenere in qualifica nonostante il 5-2 in favore dell’esacampione del mondo (i distacchi cronometrici sono mediamente esigui), diverso è il discorso nelle gare. E’ durante il GP che la scure del 44 si abbatte senza pietà su un Bottas che, anche quando ha trionfato, non ha dato la sensazione di possedere un passo gara devastante. Il campionato del finlandese è una lunga teoria di “vorrei ma non posso”. Proclami di forza e determinazione che si sgonfiano la domenica pomeriggio.
Forse anche questa attitudine ha convinto Kallenius e Wolff a puntare ancora sull’ex Williams invece di ingaggiare quel George Russell che tutti volevano vedere all’ombra della Stella a Tre Punte. Bottas è funzionale al modello Mercedes. Lo sarebbe l’inglese? Più di un dubbio sorge a riguardo. In nome del perfetto funzionamento di questo meccanismo è possibile ritenere che il rapporto di Hamilton con la casa si Stoccarda possa continuare l’anno venturo e ancora oltre. Il pilota di Stevenage ha tutto l’interesse a proseguire in questo contesto sportivo, per due motivi. In primis perché può vedere garantita la sua posizione da “prima punta”. In secondo luogo perché sarebbe ancora immerso in quel brodo di lisogenia entro il quale è proliferato un numero di vittorie spaventoso, forse imprevedibile quando, nel 2013, Hamilton siglò il matrimonio con la Mercedes. La stabilità interna – unita a quella regolamentare – potrebbe essere le precondizioni per infrangere i conseguimenti di Michael Schumacher. I record, si sa, nascono per essere abbattuti. Ed è questo il vero obiettivo dell’anglo-caraibico nel breve termine.
Autore: Diego Catalano – @diegocat1977
Foto: Mercedes