Essere Sebastian Vettel: l’uomo e il pilota
Vettel riesce sempre a stupire. Persona, prima che personaggio, uomo più che pilota. Sebastian sorprende per genuinità, per delicatezza, per simpatia. Nulla di ciò che fa risulta frutto di una studiata esposizione: gli basta dare sfogo a sentimenti autentici per divenire più credibile di molti sportivi che si trincerano dietro a frasi fatte o a comportamenti di facciata. Parla poco, solo se interpellato, ma si esprime utilizzando le parole giuste, quelle che restano impresse nella memoria, in un curioso mix di emotività e pragmatismo.
Vettel è il lato umano della Formula Uno, l’eroe fagocitato dal suo sogno, lo sportivo bersagliato al minimo errore. Imprevedibile e fallibile, sublime o deprecabile, a seconda di come tira il vento. La macchina della stampa si arma di facili giudizi, un plotone d’esecuzione pronto a bersagliare, a prescindere dalla condanna. Ogni manovra viene vivisezionata, alla ricerca dell’errore, ogni svista viene ingigantita, sbandierata come se fosse la cartina di tornasole in grado di confermare uno stato di perenne inferiorità. Debole e manchevole, senza mordente. Questo si è detto troppo a lungo di Sebastian, in un’eco sguaiata che si protrae da oltre due stagioni.
Lui ne è consapevole, ma per nulla turbato, perché ha la forza di riconoscere e di dare il giusto peso alle critiche. A domanda risposta, sfodera un adagio che gli è caro: “Non sei mai tanto bravo quanto dice la gente, ma neppure cattivo come dice la gente“. Perché ” chi critica a volte ha ragione, ma altre volte no“. Riguardo a questo Sebastian si definisce “molto aperto” in quanto: “conosco meglio di chiunque le mie debolezze e i miei punti di forza. E di sicuro so di aver fatto degli errori, non dobbiamo nemmeno discuterne“.
Sarebbe bello infatti, almeno ora che siamo ai titoli di coda della sua avventura in Rosso, non tornare per l’ennesima volta sul capitolo errori e su quello, ancora più sterile, del confronto tra compagni. Eppure molti, alla stregua di professori intransigenti, si dilettano in giudizi poco lusinghieri e poco mirati, che spesso vertono su fantasiose divagazioni e su inconsistenti dissertazioni. Vecchi cavalli di battaglia che includono le abusate voci “monoposto perfetta” e “stipendio faraonico“, argomentazioni trite e ritrite, intinte nel sugo insipido del già visto e condite da una buona dose di noia. Perché, diciamolo, Sebastian Vettel è altro.
Attenzione, altro non vuol dire esclusivamente quell’immagine romantica, da cavaliere senza macchia e senza paura, che abbiamo raccontato tutti -io per prima- nei giorni intensi dopo l’addio. La lealtà e la devozione di Seb sono cosa nota, al pari del suo amore mai sopito nei confronti della Ferrari. Ma oltre a questa immagine c’è molto di più. Esiste un uomo determinato, che è stato capace di riprendere in mano un futuro incerto e compromesso, che è riuscito a pescare una nuova carta dal mazzo ingrato degli imprevisti provando a trasformarla in un asso. Ed esiste soprattutto un pilota di prim’ordine, che non ha mai perso la motivazione, ma è disposto a mettersi in gioco nuovamente, prepotentemente, nonostante il calvario degli ultimi anni.
Non credo si tratti di una rivincita, men che meno di una rivalsa. In fondo Vettel è una persona semplice e concreta. Se ha scelto di restare nel circus la ragione è molto semplice: ama ancora ciò che fa e non era pronto a dire basta. “La Formula Uno è stata al centro della mia vita per oltre dieci anni. E sicuramente nella vita ci sono anche tante altre cose e soprattutto più importanti di questo sport. Però sono giunto alla conclusione che c’è ancora qualcosa che non è sopito dentro di me. Per questo sono entrato in contatto con il nuovo team Aston Martin.”
Vettel è quindi convinto di aver intrapreso la strada giusta e, da buon ottimista quale lui si ritiene, ora vuole solo guardare avanti. Non certo perché il passato sia stato doloroso o ingiusto, ma molto più semplicemente perché un’era è giunta alla fine. Sebastian ha salutato l’Italia e la Ferrari con una dose di squisita originalità. Nulla di quanto ha detto o fatto si è tinto dell’aura grigia del rancore, tutto è stato orchestrato in una colorata e cangiante melodia. Composta da un canto commosso, ma soprattutto da sguardi e gesti che hanno testimoniato la viva appartenenza ad un mondo e alla gente che di esso fa parte. ‘Azzurro‘ è diventato ‘Rosso‘ in una sorta di daltonismo del cuore, che va oltre ogni logica per riscrivere un testamento d’amore.
Il tedesco ‘meridionale‘, il ragazzo caldo e appassionato, quello che sbraita e gesticola e che imita alla perfezione l’accento napoletano, ha lasciato il segno a Maranello e nell’anima di molti tifosi. Il vero rimpianto, forse, è stato quello di non aver compreso fino in fondo le ragioni di Seb, le sue tensioni, le sue tribolazioni. La passione infinita che ha dedicato alla nostra Ferrari, la sua volontà, divenuta condanna, di riportare il titolo sotto le insegne del Cavallino. Qualche commento troppo frettoloso, qualche smorfia di delusione, la sbilanciata propensione verso la nuova promessa. Una severità appena accennata, ma a conti fatti comunque ingiusta nei confronti di chi, pur a volte sbagliando, ha dato tutto se stesso.
Vettel, invece, ha sempre una parola buona per tutti quando racconta i suoi sei anni in Ferrari: “Penso che il focus sia sulle relazioni interpersonali. Ne ho avute di molto buone, specialmente con Kimi. Questi anni mi hanno plasmato. Evitare i problemi quando la vettura non è così potente è qualcosa che aiuta a maturare come pilota, ma anche come persona. Il tempo trascorso con Charles è stato molto utile, perché entrambi siamo in momenti diversi della nostra carriera. Molto spesso mi rivedo in lui. Penso che Leclerc sia anche il più grande talento che ho incontrato negli ultimi 15 anni. Sono stato anche plasmato dalla squadra e dalla cultura Ferrari. La vita è un continuo processo di apprendimento.”
Hai ragione Seb, la vita non si ferma mai, ci rincorre anche se sembra sospesa, ci insegna a reagire anche dopo un anno infernale e non smette di offrire spunti, idee, confronti. Ci abbraccia virtualmente, apre e chiude cicli e cerchi, preannuncia varchi. E poi c’è la relatività di un addio, che sembra un arrivederci, nell’eco di un ricordo sempre vivo. “Mick può venire da me in qualsiasi momento. Sono lì per lui, proprio come suo padre Michael era una volta per me. Ora posso restituire qualcosa“. In realtà, ci hai già dato tanto, mr. Vettel da Heppenheim. Per questo siamo noi a doverti restituire l’ennesimo “Danke Seb“.
Autore: Veronica Vesco – @VeronicagVesco
Foto: Ferrari – Formula Uno