Politica e motorsport è un connubio che non riesce a funzionare nonostante gli sforzi di alcuni protagonisti. Le teorie imperanti sono essenzialmente due: della prima si fa latore chi ritiene che i fenomeni di massa siano delle ottime casse di risonanza per portare in risalto questioni spesso sottaciute nelle sedi a ciò deputate. L’altra, opposta alla prima, è sostenuta da chi vorrebbe tenere la sfera sportiva al riparo da ingerenze politiche e sociali. Un punto di sintesi tra le due parti è pressoché impossibile da trovare. È la storia a dimostrarlo fulgidamente.
Tra i più accesi sponsor della totale divisione tra sport e “materie politiche” c’è Bernie Ecclestone. L’ex numero uno della FOM, pur avendo ceduto la mano agli americani di Liberty Media da sempre attenti a certi argomenti, sente il dovere di continuare ad esprimersi su tutto ciò che concerne il suo vecchio giocattolo. Una forma d’amore evidentemente smisurata nei confronti di ciò che non può più guidare ed orientare con le proprie visioni. Bernie non è un ragazzino, a quasi novantuno anni è nomale che sia abbastanza rigido di idee e poco aperto ad un mondo che cambia alla velocità della luce. Inoltre è un tipo da poche cerimonie verbali. Insomma, quel che pensa dice evitando di filtrare parole e concetti.
“Se io fossi ancora lì a gestire la Formula Uno – ha tuonato il vegliardo ex manager britannico – non permetterei ai piloti di indossare certe magliette sul podio. Questo è certo. E sarebbe sicuro al cento per cento che nessuno si inginocchierebbe prima delle gare. Sono d’accordo che il motorsport sia utile per promuovere la diversità, ma non è corretto che venga sfruttato per fini politici”. Verrebbe da dire che forse è una fortuna che “Zio Bernie” non è più là a guidare il carrozzone della F1. Perché i diritti civili, la tutela delle minoranze e l’annullamento di certi concetti datati, vetusti, incompatibili col vivere evoluto, dovrebbero essere norma e regola di questo sport e di qualsiasi altro contesto. Anche in virtù di gesti simbolici quali l’indossare una maglia, l’inginocchiarsi o il semplice parlarne. Gli sportivi hanno una grande responsabilità perché sono mediaticamente sovraesposti. E tale status li rende degli amplificatori di messaggi, dei veicolatori privilegiati di idee e di concetti.
Bisognerebbe una volta e per tutte uscire dalla contraddizione secondo cui la lotta al razzismo è un messaggio politico. La politica è una scienza che studia come costituire, amministrare ed organizzare uno Stato e come gestirne la vita pubblica interna. Chi si esprime, ad esempio, contro le violenze della polizia americana non fa politica nell’accezione tecnica del termine. Fa piuttosto opera di sensibilizzazione, di illuminazione di dinamiche oscure. Che andrebbero spazzate via con impeto.
Non a caso cito le lotte di Lewis Hamilton che con Bernie Ecclestone aveva avuto qualche battibecco abbastanza pepato: “Lewis deve stare molto attento perché può essere sfruttato per fini politici. Dietro tutto questo si nasconde un copioso giro di soldi, che però, non è noto nelle mani di chi finiscano”. Accuse “ampie”, senza riscontri oggettivi. Lanciate nel mucchio insomma. Anche perché sembra difficile assodare che dietro il movimento Black Lives Matter ci sia un giro di danaro atto ad arricchire i soliti ignoti. Che tutto fanno ed ogni filo muovono senza mai venire allo scoperto. Facili capri espiatori.
Più credibile, invece, è l’accusa che Ecclestone fa alla F1 che scende a compromessi con talune autorità politiche senza smarcarsene: “Dopo che Jamal Khashoggi fu ucciso tutti s’erano indignati. Tutti sostennero che nessuno sarebbe dovuto andare dai sauditi. Dopo due anni è tutto stato dimenticato”. Questo aspetto evidenzia che una forte contraddizione esiste in F1. E che in qualche modo deve essere risolta affinché certe battaglie di uguaglianza risultino credibili. Ma l’esistenza di questa incongruenza non deve far ritenere che ogni sforzo di civiltà sia errato, condannabile, risibile. Che è il messaggio che le parole di Ecclestone, magari in maniera involontaria, rischiano di trasmettere. Non si può ritenere che anche la lotta per l’uguaglianza sia mossa da pulsioni materialiste. E’ un pericoloso riduzionismo concettuale che rischia di sfociare nel nichilismo.
Autore: Diego Catalano – @diegocat1977
Foto: F1, Mercedes