Charles persiste e insiste nel rincorrere il proprio sogno, guizzante e spumeggiante come solo le cose a lungo desiderate sanno essere. Essere Re del suo Principato, stella fulgente, animata da luce propria. Nessuno scintillio di ori e metalli preziosi, nessuna tromba d’orchestra. Solo lui, Leclerc, a tu per tu con l’asfalto più volte calpestato, con gli spigoli delle barriere, con il respiro del tempo. Sobbalzi, lamiere sporgenti, minuscoli frammenti di attimi che fanno la differenza. Eppure l’orologio di Charles si deforma mollemente, al pari di quelli di Dalì, per andare ad abbracciare un’altra memoria, lontana, indimenticabile.
C’era una volta un ragazzino ostinato che, ben prima di diventare predestinato, abbandonava la scuola per dedicarsi alle corse, lasciando galoppare il cuore, educando la mente al ritmo della sua folle impazienza. Tra il disappunto delle maestre e qualche critica del corpo insegnante. Acqua passata per il pilota in Rosso: Leclerc è ora il faro di Maranello. Ma Charles, sotto al casco e sotto alla tuta, ci pensa ancora, mentre si rannicchia dentro l’abitacolo, che è il suo vero banco di prova. Sedile al posto di una seggiola, pulsanti a sostituire penne e matite, comunicazioni radio invece di un libro aperto. Questo è il mondo del monegasco, da sempre.
Charles vuole apporre la firma al suo capolavoro, passare l’esame con lode, distinguersi tra i migliori, laureati o esperti ben più di lui. Leclerc porta una ventata di freschezza tra le strade di Montecarlo grazie al suo sorriso scanzonato, all’andatura rapida da folletto. Un moderno Peter Pan nato per convincere che si può volare. Anche con questa Ferrari. Quasi nessuno ci credeva, ma già da giovedì le due Rosse hanno iniziato a fare sul serio. E serio si è fatto anche Sainz, intenzionato a non lasciarsi sfuggire una ghiotta occasione. Ma Leclerc aveva dalla sua un ingrediente segreto: la magia del giro perfetto.
La rincorsa al cronometro si sazia per assenza, in una sorta di dieta che gioca a eliminare le briciole, a limare ogni singolo boccone. Lancette come aghi della bilancia, atte a decretare un equilibrio eccellente. E Charles un po’equilibrista lo è davvero, abile a schivare le insidie, impeccabile nel replicare la traiettoria perfetta. Una linea sinuosa fatta di vento feroce che lancia folate contro l’acciaio, scaraventandogli addosso la potenza di una saetta. Una lingua di tuono pronta a detonare, fulminea e imprevista, per poi esplodere nel boato del transito sotto la bandiera a scacchi. Veloce, più di tutti.
Charles è in pole con la sua macchina rossa. Un crono mirabile che lo mette diretto sul trono di Montecarlo. Eppure lui non si accontenta, non può farlo. Perché gli avversari sono agguerriti, perché Max incalza e Carlos insidia. Perché Valtteri bussa, per una volta affatto intimidito. Un poker d’assi che non lascia spazio all’indugio. E allora Leclerc ci prova, prova ancora a volare. Questa volta però non godrà dell’incantesimo di un rintocco, non guarderà dall’alto il quadrante della grande torre, come il suo alter-ego da fiaba. Lancette spezzate come il braccetto della sua sospensione, gomme adagiate in una posizione innaturale, disumana, come gli orologi molli dipinti da Dalì. Un quadro che ferisce, definito da uno statico e drammatico immobilismo.
Un quadro che non cambia nella sostanza, almeno sulle prime. La sessione si conclude anzitempo e Charles conserva il prezioso bottino, senza però sapere se avrà la possibilità di spenderlo in una gara redditizia. Un sabato all’insegna della rassicurazione, una domenica iniziata sotto l’egida della prudenza. Investimenti che paiono essere a rischio zero, ma che alla fine si rivelano fallimentari. Conto in rosso per la Rossa, che può contare solo su Carlos, eccellente paladino. Mentre Charles sperpera la sua occasione, dissipando una fortuna.
La persistenza della memoria. Quell’attitudine traditrice che costringe Charles a strafare, a esagerare. L’insistenza a non accontentarsi, a volersi migliorare, oltre al limite dell’umanamente possibile. L’ostinazione caparbia di Leclerc è però una lezione di orgoglio, di chi non accetta l’ottimo, tendendo sempre al sublime. Il monegasco gioca d’azzardo, continua a rilanciare, in barba alle certezze di chi vorrebbe mettere il fieno in cascina. Montecarlo non è luogo da mezze misure, da esultanze misurate, da emozioni calmierate. Montecarlo è, per Charles, il luogo in cui la gioia deve esplodere, possente e sincera. Anche se questo comporta accettare che sia fugace. Anche se il miele si trasforma in fiele.
La pole di Leclerc si rivela un ‘invito superfluo‘, la vittoria un appuntamento mancato. Eppure la persistenza di Charles è forse la lezione più affascinante alla quale abbiamo assistito in questo regolarissimo Gran Premio di Monaco, in cui tutti i piloti, come azzimati scolaretti, si rivelano bravissimi a non sbagliare. Esemplari e composti, una vera classe modello. Ma il vero fuoriclasse è quello che osa. E che ci restituisce il vero spirito dell’#EssereFerrari.
Autore: Veronica Vesco – @VeronicagVesco
Foto: Ferrari