La Formula Uno è al contempo uno sport di tradizioni sedimentate e di innovazioni che spazzano via, spesso in un colpo, concetti apparentemente immutabili. Questo modo di procedere non investe solo la sfera tecnica, ma anche l’approccio con cui si intende la gestione di determinate aree. Prendiamo il caso dei motoristi. Per lunghi anni abbiamo assistito alla scalata di team assemblatori che sfruttavano unità motrici comuni a molti competitor. Chi riusciva ad ottimizzare il matrimonio tra telaio e propulsore aveva la meglio.
La F1 di qualche tempo fa si ricorda anche per alcuni gloriosi motori che in certi momenti superavano, in fama, la stessa monoposto che li portava alla vittoria. Poi, pian piano, si è imposto un altro modo di procedere. Sono arrivati i grandi costruttori dell’automotive che hanno determinato la nascita di un altro modello. Che ora, a guardare gli ultimi sviluppi, sembra essere in sofferenza. Al momento abbiamo quattro realtà che si sfidano: Honda, Ferrari, Mercedes e Renault. La prima si è chiamata fuori facendo rumore e spiazzando tutti, la seconda è essa stessa la F1 e non può immaginare un futuro altrove. Di AMG, di tanto in tanto, si parla di disimpegno più o meno parziale. Renault dà la sensazione di partecipare senza troppa voglia, quasi tirata per la giacca dai vertici della categoria che non potrebbero permettersi una nuova dipartita che trasformerebbe il Circus in una serie vuota, stanca, senza stimoli tecnici. E di conseguenza sportivi.
In questo quadro a tinte fosche Red Bull è un faro, una luce che squarcia le tenebre nelle quali, bisogna ammetterlo senza diplomazie di facciata, la F1 era entrata. Le power unit turbo ibride sono dei gioiellini di tecnica, ma sono altresì maledettamente difficili da concepire. Ne sa qualcosa proprio la dimissionaria Honda che prima di ritornare ai vertici ha dovuto ingoiare bocconi amarissimi e subire l’onta, loro che hanno scritto pagine irripetibili con McLaren, di essere paragonati a trattori, ruspe ed altri assortiti mezzi per la movimentazione della terra.
Si fa un gran parlare di case automobilistiche pronte a scendere in campo ma nulla si vede all’orizzonte. E così sarà fino al prossimo cambio regolamentare in materia di propulsori previsto per il 2026. Quali saranno i principi fondanti non è dato sapere, ma è certo che non si torna indietro da unità ibride. Quindi complesse. Su questo Stefano Domenicali è stato chiaro (leggi qui l’approfondimento). E la cosa potrebbe continuare a scoraggiare la presenza futura di altri attori.
Ecco perché la mossa di Red Bull di creare un proprio reparto powertrains è lodevole e addirittura salvifica. Ma come lo sta facendo? Quali risorse sta impiegando e su quali uomini sta puntando? Sul fronte know-how viene da sé che la maggior parte delle competenze arrivi direttamente da Honda. La stragrande maggioranza degli ingegneri e delle maestranze della Grande H cambierà semplicemente casacca e si vedrà arrivare il bonifico a fine mese da un altro conto bancario. Un normale assorbimento societario come se ne vedono migliaia.
Ma per diventare grandi, i più grandi nell’idea di Dieter Mateschitz e subalterni, bisogna allargare gli orizzonti. E le compagine. Ecco che in questi giorni è partita una campagna di recruiting massiccia che punta all’assunzione di nuovi tecnici. Alcuni dei quali, ormai è un fatto noto, arriveranno direttamente da Mercedes-AMG High Performance Powetrains. Sei ingegneri, che ovviamente osserveranno un lungo periodo di gardening (a Birxworth non sono sprovveduti), sono già stati cooptati. A nulla è servito il rilancio di Mercedes che avrebbe offerto ritocchi di stipendio molto interessanti. Ai quali Red Bull ha controreplicato con elargizioni irrinunciabili. Questo modello pare possa risultare vincente per altre 50 unità contattate da Horner e dai suoi facenti funzioni.
Toto Wolff non si dice preoccupato. Nelle passate settimane ha minimizzato “l’OPA” parlando di specialisti non di primissimo livello e che non conoscevano i segreti globali del V6 che sta imperversando da otto anni. Ancora, il team principal viennese ha spigato che il reparto powertrains conta su circa mille dipendenti. 50 defezioni sarebbero una cifra modesta, assolutamente gestibile. Quel che spaventa – e il rilancio economico lo dimostra – è che questi professionisti portano con sé delle notizie. Che potrebbero essere succulente se Red Bull riuscisse a mettere sotto contratto quell’Andy Cowell che l’anno scorso ha detto addio alla Stella a Tre Punte. Ipotesi smentita da più parti ma che resta in piedi. E fa tremare i polsi ai vertici di Stoccarda che speravano di poter allocare l’ingegnere britannico in altri settori di un’azienda all’avanguardia sulla tecnologia turbo-ibrida anche nel produzione stradale. Nulla da fare, Cowell si è preso una lunga pausa di riflessione che fa ritenere che stia ponderando offerte e progetti. E quello della Red Bull è oggettivamente stimolante.
Naturalmente il progressivo congelamento delle power unit mette a riparo Mercedes da contraccolpi di breve periodo. E’ più difficile travasare competenze se non c’è un reale margine di manovra. Ancora, anche se il settore motori non è propriamente inserito nei tetti di spesa del budget cap, non è immaginabile che Red Bull investa cifre esorbitanti e per di più a fondo perduto.
Il budget per definire l’operazione, a sentire Helmut Marko, sarà ben al di sotto dei 100 milioni di dollari. Una quota che non permette voli pindarici e che incontra, una volta tanto, la volontà di Mercedes e Ferrari sul calmierare i costi. Alla luce di queste considerazioni la campagna acquisti di Red Bull, che potrebbe anche toccare Maranello e Alpine, fa meno paura.
Milton Keynes sta creando la sua struttura e lo fa senza l’idea – e la possibilità finanziaria – di indebolire gli avversari. E’ ovvio che cerchi eccellenze e queste hanno nomi, cognomi e indirizzi ben precisi. E’ nell’ordine dei fatti andare a bussare innanzitutto a casa AMG. E in quest’ottica deve leggersi l’idea di non aver stretto alleanze con altri costruttori. Red Bull Powertrains sarà ciò che è stata Ilmor qualche tempo fa: una piattaforma per i team per raggiungere rapidamente il successo nel motorsport.
Ecco perché le paventate alleanze con Audi piuttosto che Porsche sono state rigettate al mittente ancor prima di essere state formalizzate. Ovviamente alla base di questa scelta c’è una precisa indicazione di Honda che, pur ritirandosi, concederà un lascito tecnologico importantissimo a Milton Keyns. Know-how che i giapponesi, gelosi ed orgogliosi del loro gioiellino a sei cilindri, non volevano finisse nelle mani della grande industria automobilistica di massa.
La creazione di un’unita che produca motori raccogliendo l’eredità pesante della Honda è una boccata d’ossigeno per la Formula Uno. Si rinverdisce un modello che ripercorre la strada tracciata anni addietro da Cosworth, Hart, Illmor, Mugen e via citando. In periodo di crisi sistemica, di scarsità di risorse e di mancanza di aziende interessate ad investire, l’idea di Horner è una speranza per l’intera categoria.
Se il congelamento tecnico serve anche a far crescere questa realtà allora va letto in chiave positiva. Una Formula Uno a tre motoristi avrebbe spento anche la sfida tecnica che, dal 2025 e in base a nuove norme tecniche, può ripartire più forte che mai. Se il modello Red Bull sarà efficace potrà essere lo stimolo per altri costruttori a buttarsi nella mischia. Perché dimostrerebbe che con un budget limitato e con la scelta delle giuste competenze è possibile competere ad alti livelli senza svenarsi. Ripagandosi gli sforzi col ritorno pubblicitario. Cosa nella quale Mercedes è stata maestra.
Autore: Diego Catalano – @diegocat1977
Foto: Red Bull