F1. Rosso Ferrari, passione evocativa di un passato all’altezza della storia, delusione evolutiva di un presente che abbassa costantemente l’asticella. La cosa più triste è che ormai ci abbiamo fatto l’abitudine. ‘5000 giorni che ti ho vinto‘, si potrebbe dire, non certo per cantare vittoria, ma per rendere l’idea di un numero che da solo rappresenta l’enormità di una sconfitta. Questo infatti il lasso di tempo intercorso dall’ultimo mondiale targato Kimi Raikkonen, nel lontano 21 ottobre 2007.
Rosso che s’infiamma, regalando speranze, lotte all’ultimo respiro, come accaduto nel 2008 con Massa, nel 2010 e nel 2012 con Alonso. Rosso in declino, pallido e scialbo a confondersi nel gruppo, con pochi guizzi degni di nota e acuti dolcissimi che ancora restano nella memoria. Il gran premio di Spagna 2013, ultimo centro per Fernando, o Malesia 2015, la prima di Sebastian a Maranello. Qualche luce che sfugge alla prigione dell’ombra gigante di Red Bull, prima, e di Mercedes, poi.
Rosso che si tinge di porpora, nuova linfa vitale, sangue pulsante nelle vene del Cavallino. Una sensazione magnifica che preannuncia un ritorno, una buona novella, una prova di forza. Vettel incanta con la SF70H, duttile e gentile, ma troppo fragile e indifesa per resistere alla massa d’urto della corazzata teutonica. Sebastian ci riprova in quel maledetto 2018, foriero d’illusioni precoci, maturate con il caldo dell’estate, svanite ai primi refoli di vento autunnale.
Rosso opaco, che caratterizza il nuovo corso targato Mattia Binotto. Lontano dai fasti splendenti, capace di affermarsi, con la SF90, come regina del giro secco, complice il debutto di un fenomenale Leclerc. Velocissima ma sgraziata, fomenta sospetti e genera più di un dubbio. Una vettura poco trasparente, difficile da decifrare, in sintonia con il suo colore. Rosso inganno, come quello della tremenda SF1000, sorella sbagliata, in punizione perenne, incapace di regalare sussulti, buona solo a generare malcontenti.
Rosso a metà nell’anno di mezzo, per traghettare la Ferrari dentro la nuova era del fatidico cambio regolamentare. Una vettura senza infamia né lode, bicolore come le sue due facce, figlie di un dualismo esasperato. Incapace di regolarsi, si esprime per estremi e non ha mezze misure. Qualifica o gara, perché tutto non si può avere. Punta ad un terzo posto con la superbia di un ostinato capriccio, ma rivela tutta la sua inconsistenza quando è chiamata a reagire. Non basta la nuova coppia formata da Sainz e Leclerc per renderla più aggressiva. Nulla possono i minimi aggiustamenti concessi. La Ferrari SF21 si barcamena cercando di fare il possibile, agguantando l’impossibile solo in virtù dei piloti. (vedi le due pole).
In Austria lo spagnolo e il monegasco fanno faville, eccelsi nel rimontare dopo qualifiche necessariamente sacrificate. Charles pasticcia al via per troppa foga, ma si redime grazie a una gara da manuale, impreziosita da sorpassi entusiasmanti. Carlos, solido e preciso, è maestro nella gestione della mescola hard. Scegliendo gomme usate mostra un passo invidiabile e la solita concreta tenacia. Entrambi dipingono con pennellate di rosso il Red Bull Ring, intento però a disegnare altri soggetti, a tratteggiare altre scene. Ecco, siamo davvero sicuri che questo possa bastare?
#EssereFerrari è diventato uno stendardo consunto, un drappello stinto, una bandiera a mezz’asta. L’amarezza di un lutto che ci costringe a un’attesa sfiancante, a una fedeltà non corrisposta. Bisogna scegliere se perseverare, con caparbio ottimismo, con ingenua fiducia, alla stregua di Vladimir ed Estragon mentre aspettano Godot. Oppure ritrovare la forma più autentica della passione, che nulla ha a che vedere con l’accettazione e parla la lingua della ribellione, del rosso, di un Cavallino che deve ritornare Rampante. In nostro, ma soprattutto in suo onore.
Autore: Veronica Vesco – @VeronicagVesco
Foto: Scuderia Ferrari – F1 TV