Si dice in giro che il tempo è tiranno, che l’età conta, che i ritorni in F1 sono minestre riscaldate. Ma se sei Fernando Alonso gli anni non sono altro che segni grafici disposti a caso su un documento, il distacco dalle corse solo una mera formalità, e il rientro alle gare una prelibatezza da gustare con il giusto rispetto e con infinito entusiasmo. Nando non fa troppi proclami, sceglie un profilo basso. L’Asturiano 2.0 è cauto e realista, troppo arguto per cedere alla autocelebrazione, troppo orgoglioso per scegliere la strada dell’indulgenza.
La F1 aveva bisogno di un personaggio del suo calibro e Alonso non delude. Allo stesso tempo non illude. Lavora tanto per colmare il deficit lasciato dai due anni di abbandono. Riprova e si ritrova, mastino come sempre, ma disposto a migliorarsi, a correggere, a smussare certi angoli. Fernando tende all’infinito, è una retta che non si può spezzare. Non cede al groviglio della tensione, accetta l’apprendistato, accantona le ambizioni da prima donna. La cautela lo mette un po’ nell’ombra a inizio mondiale, fatta eccezione per il Bahrain, ma Nando non pare preoccuparsene, consapevole di essere un faro, una luce, offuscata brevemente da una nube temporanea.
Poi Alonso risponde, facendosi avanti di soppiatto. Passo a passo, qualche punto sulla classifica, pennellate di ardore nella grande tela dipinta dal mondiale. Non si tratta ancora di una vera e propria resurrezione, ma quanto basta per ribadire ciò che è ancora, indipendentemente da ciò che è stato. Le polveri che ricoprono trofei e allori non lo riguardano. Fernando continua a risplendere, indipendentemente dalle circostanze, ma anche grazie ad esse, che ne confermano l’intatta grandezza. A Nando basta poco per emergere, poiché si crea ogni occasione, sfruttandola al limite dell’inverosimile, sfidando ciò che è umanamente possibile in F1.
Budapest è iniziazione, condanna, rinascita. Tutto quanto in un unico circuito. Dalla prima vittoria alla grande crepa con la McLaren, passando per la prestazione di ieri, intensa e immensa, pronta a ribadire ciò che significa essere un campione. Fernando è implacabile come sempre, tremendamente coriaceo. Sbatterci contro è un incubo, una prova sul campo che vale più di una medaglia. Hamilton lo sa e lo ricorda, avversario onorevole pronto a combattere.
Una sfida tra titani che mi riporta alla mente il duello tra Ettore e Achille. Hamilton piè veloce, per natura e grazie all’auto; Alonso che resiste per orgoglio, per proteggere i suoi cari. In questo caso non si tratta di Andromaca e neppure di Astianatte, ma del figliol prodigo Esteban, ex Mercedes AMG F1, ora ribattezzato tra le fila di Alpine. Una guerra persa in partenza, comunque mitologica, ingaggiata tra due dei del volante. Una battaglia vinta dall’invulnerabile, a costo di immensa fatica e del gradino più alto. Il paladino Fernando ha fatto da muraglia, difendendo il leader dall’assalto, ritardando il più possibile l’offensiva.
Obiettivo centrato: sigillo d’oro per Alpine. Alonso potrebbe sentirsi deluso e frustrato, invece festeggia come se il trionfo gli appartenesse. E forse è questa la vera vittoria. Ribaltare la storia e quella narrazione viziata da pregiudizi che lo vorrebbe egoista, protagonista ad ogni costo. Nossignori: Fernando è un uomo squadra, pronto a gioire per una vittoria non sua, ma che ha contribuito a costruire. Pronto ad abbracciare il compagno, esultando con lui e per lui. Dopo aver lasciato il segno in pista, dopo aver arginato il divino di Stevenage. Dopo averci consegnato un duello memorabile, corretto, al limite. Sobbalzi del cuore, saette di emozioni, nel perseguire una strenua difesa, nel ribadire quanto meravigliosa può essere l’attesa.
Fernando si fa aspettare, ma si conferma eccelso. Nessun incenso basta per onorarlo, nessun riconoscimento gli rende giustizia. Alonso è semplicemente se stesso, attore e autore di quella fantastica storia che è la sua carriera.
Autore: Veronica Vesco – @VeronicagVesco
Foto: Alpine F1 Team –Mercedes-AMG PETRONAS F1 Team