Fare il pilota di F1 è un dei “lavori” più belli in assoluto. Qualsiasi appassionato di motorsport, in giovane età, ha nutrito con forte desiderio il sogno di sfrecciare sui tracciati di tutto il mondo. Non è forse vero? Ha immaginato di competere e magari, perché no, anche vincere! Già che ci siamo… in fondo il sogno è gratis. Mentre invece, come Charles, c’è chi mette da parte gli auspici e trasforma direttamente in realtà la favola costruita meticolosamente nella propria testa.
Occhio però. La naturale maestria a esercitare una determinata attività, c’è chi lo chiama talento, non serve a un piffero senza il supporto della determinazione. Che di certo, a proposito, anch’essa risulterebbe inutile senza una serie di fattori chiave che inevitabilmente devono accompagnare il lungo viaggio verso il conseguimento dei propri obbiettivi, per folli o improbabili che siano.
Una volta arrivati a destinazione, dando una rapida occhiata alle proprie spalle, ci sei rende conto all’istante nel casino in cui si ci trova. Sì perché la parte difficile, quella che non era stata minimamente presa in considerazione sino ad allora, si palesa. Ti guarda in maniera presuntuosa e tarda un solo istante prima di lanciarti il guanto di sfida.
Il salto più complicato nella carriera di Leclerc è avvenuto nell’anno 2019. Era il momento, infatti, per dimostrare che l’attitudine spontanea accennata in precedenza, osservata, scritta e chiacchierata dai più, fosse all’altezza della Ferrari. La prova del nove insomma, definendola con una banalità.
E chi meglio dello stesso Charles poteva esaminare la propria traiettoria alla corte del Cavallino Rampante? Io cerco di farlo da un paio danni a bordo con lui tutti i weekend (se siete curiosi, stanno tutte quante qui le mie analisi sul monegasco), ma sfortunatamente sono un semplice spettatore. Mentre lui, “Il Predestinatoh” (si sfotto un po’), è in grado di raccontare alla perfezione tutto quanto.
“Sin dall’inizio mi sono trovato a mio agio. Dovevo apprendere molte cose interne della scuderia, ma in un certo modo era come se già le conoscessi. Ciononostante ho impegnato quasi un’annata intera per apprendere le dinamiche del team, come affrontare i problemi e reagire alle difficoltà”
Come detto in precedenza, il vantaggio di stare in macchina rispetto a fare lo stalker di onboard, produce sensazioni differenti che non possono essere affatto replicate fuori dall’abitacolo.
“La curva di apprendimento è stata notevole. Tuttavia viverla in prima persona, potendo palpare con mano gli step in avanti realizzati, ha reso tutto più rapido. Avevo sotto controllo la situazione mentre imparavo.”
Lo abbiamo sottolineato più volte sulle pagine di FUnoAnalisiTecnica. Il salto qualitativo effettuato da Charles durante il mondiale 2020 è stato davvero grande. Il ferrarista ha trascinato una squadra, smarrita e insicura, in parecchie gare durante la sciagurata stagione. Mettere in discussione se stesso, magari più tardi sceso dalla vettura, a caldo risulta un pelo più difficile, ha senz’altro contribuito a smussare alcuni lati spigolosi del carattere oltre che completare il corridore con una visione di insieme decisamente superiore.
“Sono cresciuto molto come pilota e come persona. Mi sento migliore rispetto al passato. Esaminare i dettagli dopo la gara, anche quando le cose sono andate bene, è risultato parecchio utile oltre che interessante. Ogni volta che salgo in macchina imparo.”
Da assiduo frequentatore di on board Ferrari non posso far altro che confermare le parole di Leclerc. E se posso, aggiungo una fattore non menzionato nelle sue parole: la capacità di non mollare mai e di non accontentarsi di un secondo posto totalmente inaspettato (vedi Silverstone), incarnando alla perfezione la mentalità di Enzo Ferrari. Cosa che sarebbe interessante veder fare anche a chi parla di pit stop. A buon intenditore…