Poche settimane fa è stato presentato il modello statico che anticipa il layout delle vetture di F1 in configurazione 2022. Una versione “tangibile” di monoposto che avevamo potuto osservare solo in alcuni rendering forniti dalla FIA. La differenza con le auto attuali è evidente perché differente è la filosofia che sarà alla base di vetture che torneranno a sfruttare maggiormente l’effetto suolo. Un taglio tecnico netto resosi necessario per ravvivare la categoria e renderla più incerta nell’esito e più spettacolare nell’azione in pista.
L’obiettivo più o meno dichiarato è quello di permettere di restare in scia in curva senza risentire troppo degli scarti aerodinamici. A tutto vantaggio dei duelli serrati. Questo in linea teorica, sarà la prassi a dire se l’intento sarà stato raggiunto. Le monoposto figlie delle nuove regole spezzano, dunque, la normale linea di continuità evolutiva che si può avere da un anno all’altro. Non si parte ovviamente dal proverbiale foglio bianco, ma le sfide che i tecnici devono affrontare sono certamente più ardue che nel recente passato.
Quindi, qual è l’approccio che bisogna avere nelle definizione delle linee guida sulle quali basare il progetto? Va specificato immediatamente che le nuove regole sono estremamente restrittive. Ci sono aree di sviluppo ben definite, individuate da confini solidi. Inoltre, in quest’ottica, è necessario ottemperare alle imposizioni rigidissime sui crash test che sono la base da cui partire per impostare il telaio. Una limitazione ulteriore.
In una recente intervista Jan Monchaux, chief technology officer dell’Alfa Romeo Racing, ha parlato di come, nello specifico, il team elvetico stia approcciandosi al nuovo contesto. Sottolineando, tra le altre cose, come alcuni paletti vanno a condizionare l’intero progetto e, se vogliamo, a limitare l’estro degli ingegneri che risultano essere incatenati più di quanto accadeva del recente passato.
Il tecnico ha riferito che due elementi influenzano pesantemente il concepimento della nuova creatura di F1: da un lato le specifiche che la Ferrari impone per quanto riguarda l’unità motrice e, dall’altro, le nuove gomme da 18” sulle quali esistono già molto informazioni derivanti dalle sessione di test straordinarie concesse dalla Pirelli. Ulteriori difficoltà giungono dalle continue indicazioni che lo staff tecnico della FIA dà per creare vetture capaci di facilitare i sorpassi.
Un flusso continuo e talvolta cangiante che può stravolgere il processo progettuale. Si pensi al DRS il cui utilizzo per l’anno venturo non era chiaro fino a poco fa e che rientrerà dalla finestra stando alle parole di Ross Brawn (leggi qui per approfondire).
Disegnare una macchina di F1 sembra essere quasi uno slalom speciale nel quale si dribblano una serie di paletti tecnico-normativi che via via si presentano. In ogni caso esiste già un quadro di base chiaramente definito per un primo layout. Da questo, poi, parte il processo di ottimizzazione aerodinamica: si scende nei dettagli più piccoli per provare a trovare decimi di secondo che il nuovo regolamento dovrebbe rubare. Una monoposto è un compromesso tra meccanica ed aerodinamica. I reparti che sovraintendono a queste aree interagiscono tra loro.
Ma, lo spiega Monchaux, le nuove norme pongono l’accento su questioni aerodinamiche al centro delle quali c’è una questione chiave: l’aggravio di peso. Le monoposto dovranno pesare 790 kg. Armonizzare il tutto in ossequio di tale massa non è semplice. Una questione che sta parecchio a cuore ai tifosi è quella della velocità pura di queste macchine di nuova generazione. Stando a quanto riferiscono dall’Alfa Romeo, col primo layout si stimavano un aggravio dai cinque a sei secondi in più al giro. Si tratta di dati parziali che risentono di troppe variabili: i 40 chilogrammi aggiuntivi, la nuova benzina che potrebbe limitare la potenza dei motori e via dicendo.
È difficile, ad oggi, capire quanto l’aerodinamica possa sopperire a queste limitazioni. Alla fine del processo, ritiene Monchaux, le vetture saranno più lente di tre secondi. Un dato di base che potrebbe migliorare fino ai due secondi durante lo svolgimento del campionato, anche in presenza del budget cap. I grandi team potrebbero essere avvantaggiati in questo recuperare stante le maggiori risorse a loro disposizione.
Si è detto in apertura: i nuovi regolamenti sono parecchio restrittivi. Ma nel DNA dell’ingegnere di F1 c’è l’attitudine a trovare aree grigie, vie traverse, scappatoie per aumentare il livello prestazionale. Quest’anno, però, la situazione potrebbe essere più difficile perché i team hanno collaborato – e continuano a farlo – con la FIA proprio per limitare al massimo la presenza di zone torbide nel regolamento. Una difficoltà in più che, alla lunga, potrebbe portare le vetture ad essere molto simili tra loro. Un effetto indesiderato della semplificazione richiesta dagli americani di Libery Media.
Monchaux ha tra l’altro riferito che i team hanno una sorta di dovere morale di comunicare alla FIA eventuali zone griglie. Non un obbligo, ma una necessità dettata dal buon senso. Lavorare in “un’area d’ombra” è rischioso perché i commissari potrebbero valutare fuori legge un determinato particolare. E ciò comporterebbe una perdita sanguinosa di danaro in era budget cap. Una cosa non ammissibile. Ecco che la trasparenza diventa una necessità. Meglio ottenere l’ok preventivo della FIA che rischiare la bocciatura postuma avendo speso anche ore di galleria del vento che, come sappiamo, sono contingentate e dipendenti dalla classifica costruttori dell’anno precedente.
Quelle 2022 saranno dunque vetture a effetto suolo. Tornano automaticamente alla mente le auto degli anni 70-80 che erano basate su questo principio. Ma vi sono delle differenza concettuali importanti. Le suddette monoposto, per sigillare il fondo, facevano massiccio ricorso alle minigonne. Strumenti aerodinamici che il regolamento attuale non prevede. La zona intorno al fondo dovrà essere pulita. E lo impone anche la logica visto che le monoposta, rispetto a quelle 2021, saranno più basse di ben 50 millimetri. Una superfice incatenata in quella zona rischierebbe di saltare nell’impatto costante con l’asfalto.
Quindi la sigillatura aerodinamica del fondo avverrà con principi diversi rispetto a quelli del passato. Con le conoscenze e gli strumenti di oggi non si dovranno più affrontare molti dei problemi con cui hanno dovuto fare i conti gli ingegneri del passato. All’epoca, ad esempio, l’uso delle gallerie del vento era pressoché nullo. O agli albori. Oggi si riesce a capire il comportamento aerodinamico della vettura in ogni sua condizione. Un tempo lo si poteva valutare solo sul rettilineo. Un passo in avanti drastico che di fatto stravolge l’approccio alla progettazione.
Una vettura ad effetto suolo, in linea di massima, dovrebbe produrre più carico. Anche in questo caso in Alfa Romeo non ne sono così certi. Monchaux ritiene che probabilmente parte delle perdite dovute al peso saranno compensate dal sottoscocca. In alcune fasi ci sarà un carico aerodinamico maggiore rispetto ad oggi, specie nelle curve veloci. E questo dovrebbe favorire il contatto tra le auto. Ma tutto dipende dall’altezza da terra: se la macchina è un po’ più alta a basse velocità allora si perderà carico. Il problema dell’ altezza è pertanto cruciale. Tutto sarà completamente ridefinito. Anche a causa della corsa delle sospensioni che devono adattarsi a penumatici dalla spalla più bassa. Quindi più rigidi.
Il nuovo corpus regolamentare, pertanto, presenta sfide inedite in un contesto operativo che ormai era ben oleato. Si imporrà, almeno all’inizio, chi riuscirà ad armonizzare la mole di dati inediti da gestire. E non è detto che possa farlo il team con più risorse. Il 2022 è un’opportunità per tutti, specie considerando la presenza del tetto di spesa. Questa, in fondo, è la volontà di Liberty Media che ha fortemente spinto affinché si introducesse un F1 2.0.
F1-Autore: Diego Catalano – @diegocat1977
Foto: F1, Alfa Romeo