Nono in partenza, sesto al traguardo. Detta così non suonerebbe un’epica impresa degna di occupare un posto d’onore negli annali della F1. Eppure, in quelle tre posizioni guadagnate, c’è tutta l’essenza di Fernando. A Zandvoort ha fiutato la pista, l’ha plasmata secondo le proprie esigenze, complice un’Alpine abbastanza accondiscendente, tale da garantirgli la top ten nel corso di tutte e tre le sessioni di prova. Novità come opportunità, esperienza diretta che non teme sorpresa, che si nutre dell’incognito per fare la differenza. Questo è Alonso, da sempre.
La qualifica è una conferma, una battaglia serrata con Ocon, terminata siglando tempi quasi identici, seppur con un vantaggio infinitesimale da parte del giovane francese. Ottava e nona piazza per i due alfieri dell’Alpine, perfetti a massimizzare il risultato. Zandvoort è pista insidiosa, che non fa sconti. Si paga l’errore, si patisce la foga, in una rapida sequenza che non perdona la minima sbavatura. Eppure qualcosa bisogna inventarsi per risalire da una posizione discreta, ma non irresistibile.
Fernando ne è consapevole e lascia emergere il suo lato felino. Grazie a uno spunto invidiabile mette nel mirino Ocon, lo bracca, gli si accosta, arrivando anche a un leggero contatto. Con fare da cannibale sfrutta ogni angolo della pista, s’inerpica per agguantare velocità e diventa una saetta pronta a scagliarsi oltre il compagno, pronta ad appropriarsi anche della settima posizione di Giovinazzi. Alonso sapeva di non avere altra opportunità se non quella offerta da un attacco cattivo e tenace. Lo mette a punto con astuzia, lo costruisce con innata ferocia. E alla fine avanza, pronto a cogliere ogni minima opportunità.
Poco si muove nella top ten, la gara è una gigantesca partita a scacchi, fatta di mosse ponderate e studiate a tavolino. Lo scambio di posizioni è funzionale alle soste, minime le variazioni che, mano a mano, si annullano ricomponendo l’ordine pregresso. Solo la bella e cocciuta rimonta di Perez porta vero scompiglio fino ai piani medi. Per il resto si attende, si valuta, si gestisce. Il Gran Premio d’Olanda ci restituisce una F1 molto tattica, poco spettacolare, ma per certi versi estrema.
Il livello di attenzione è massimo da parte di tutti i piloti. Nessuna safety-car porta scompiglio e la gara prosegue nella sua strenua ed estenuante regolarità. Ma Alonso non è pago e non è sazio, capisce che può fare ancora qualcosa, che esiste un minimo spazio di azione. Nell’ultimo stint recupera clamorosamente su Sainz, gli sta alle calcagna. Ci offre il brivido di un incontro ravvicinato con il muro, ma, proprio sul finale, ha la meglio sul ferrarista in crisi di gomme. Un sorpasso potente e spettacolare, che il buon Nando liquida citando il forte degrado presente sulle coperture di Carlos.
Fernando agisce, ma non infierisce, rimette a posto le gerarchie a suon di esperienza, conquista con rabbia, ringrazia con serenità. Non cerca l’impossibile, ma fa di tutto per confermarsi implacabile, non appena la situazione lo permette. Con fermezza convinta, ma privo dell’insolenza che troppo spesso gli hanno attribuito. Alonso è tuttora un monumento di questa F1, lo spot più bello per trasmettere la quintessenza della passione.
F1-Autore: Veronica Vesco – @VeronicagVesco
Foto: Alpine
