Scrivo ancora sull’onda delle emozioni per il documentario di Netflix sulla F1 dedicato a Michael Schumacher. Opera molto bella e necessariamente incompleta che però ha il merito di illuminare dall’interno (la vita in famiglia) un campione unico e irripetibile. Ne esce un ritratto inedito e commovente. Michael è il più grande? Che criterio possiamo usare per affermarlo o negarlo?
I numeri, ad esempio i campionati vinti, non sono solo numeri. E la loro grandezza deve essere passata sotto la lente di ingrandimento dello storico, della necessaria contestualizzazione di epoche motoristiche differenti, di regole, numeri di gare, campionati, gomme (da qualifica, con più costruttori, monomarca), qualifiche con format differenti anche da un anno all’altro.
Dunque se, come ampiamente possibile, sir Lewis Hamilton si fregerà del titolo mondiale numero 8 di F1, sarà superiore a Schumacher, fermatosi a quota 7? Sì. No. E spero di non essere troppo polemico se affermo che i titolo conquistati da Schumacher valgono molto di più, a mio parere.
E qui non si tratta di sminuire un talento assoluto come quello di Hamilton, ma semplicemente di andare a guardare il particolare, l’epica ed epopea irripetibile di Michael. Che s’era messo in testa di riportare la Ferrari in alto. Riuscendoci. Ma in mezzo quante fatiche… e dire il contrario sarebbe mentire sapendo di mentire.
Basti un dato per far capire il tipo di impresa di Schumacher: nessun pilota che ha corso per la Ferrari ha vinto 5 titoli mondiali (e di fila) in tutta la storia del glorioso marchio. Il massimo a cui erano arrivati gli altri alfieri della Rossa era due titoli: Ascari (consecutivi) e Lauda.
E già questo fa riflettere. Ma poi bisogna analizzare quei 5 anni di vittorie mondiali. In sostanza sono state due le stagioni di F1 in cui la Ferrari ha dominato senza problemi. Per gli amanti delle statistiche basterà andare a guardarsi gli annali 2000-2004, le classifiche, le percentuali di vittorie e le singole gare. E come poi la Federazione abbia cambiato le regole in corsa per castrare chi dominava (cosa usuale sino ad allora), tanto che nel 2005 la Ferrari non è mai stata in lizza per il titolo, vincendo una sola e assai criticata gara, Indianapolis).
E poi c’è tutta l’epica della ricostruzione, anzi della “costruzione” di un team. Quella è stata la vera impresa di Michael e degli uomini che in quel periodo si trovarono a far parte della scuderia. Certo, non è che Schumacher l’avesse fatto gratis. Ma da bicampione del mondo avrebbe potuto pilotare per qualsiasi team avesse voluto. McLaren e Williams sopra tutti.
Tuttavia, come ebbe a dirgli Lauda convincendolo, vincere con la Ferrari in F1 era qualcosa di unico. E sarebbe stato qualcosa che lo avrebbe per sempre proiettato nella leggenda (e così è stato), perché quando arriva alla corte di Maranello abbiamo un presidente ambizioso e capace (Montezemolo) ma la Rossa non vince il mondiale piloti da 1979 e le ultime annate sono state un disastro dietro l’altro, nonostante i nomi di grido e due buoni piloti.
Pochi forse ricordano, per non averle vissute, quelle Ferrari che si rompevano in continuazione, i progettisti che sbagliavano regolarmente progetto e che, nonostante i test liberi da mattina a sera a Fiorano e dintorni, non cavavano un ragno dal buco. La Ferrari era quasi diventata una barzelletta di cui ridere parlando di F1.
Schumacher arriva in quel contesto e per regalo ha quella balena della Ferrari 1996, la F310. E con quella cosa inguidabile ci vince tre gare, una nel diluvio. Impresa diventata ormai leggendaria. Sono stati anni di grandi speranze ma anche di enormi delusioni, di errori marchiani (la speronata a Villenueve figlio) e incidenti con tanto di frattura alle gambe a Siverstone (1999) oltre alla famigerata Spa 1998.
Quello lì, dico di Coulthard, permettetemi la divagazione, ogni volta che racconta quell’episodio sa benissimo di mentire. E poi la sfida infernale con Hakkinen, che sembrava sempre spuntarla. In mezzo, in quegli anni, quel dannato titolo sembrava non arrivare mai e io ricordo come si mettessero in discussione anche le doti di Schumacher come pilota e leader. Poi arrivò il 2000 e le cose cambiarono. Ma fu anche quella un’annata tiratissima…
Se fossi un regista holliwoodiano e volessi fare un film sulla F1 non avrei molti dubbi. Racconterei di come Michael ha preso una squadra quasi inesistente e l’ha trasformata in un team capace di vincere e imporre un dominio, assieme a uomini non comuni. Se pensassi ad Hamilton sarebbe certamente bello ricostruire la sua vita, gli sforzi del padre per farlo correre nelle categorie minori non avendo soldi (cosa che tra l’altro lo accomuna a Schumacher), gli episodi di razzismo. Ma poi resterebbe poco altro, di certo qualche gara impressionante ma non una “narrazione”, dopo le memorabili lotte 2007-2008. Vediamo.
Cosa ci sarebbe da raccontare di quel dominio cominciato nel 2014 con la Mercedes che si ritrova un regolamento più perfetto di un abito sartoriale e parte con due anni di vantaggio tecnologico? Se ben ricordate, addirittura quell’anno non era possibile alcuna evoluzione della power unit. Una roba che poteva avere senso in epoca di livellamento fra i vari propulsori, ma che era folle per un nuovo ciclo tecnico.
Dal 2014, inizio ufficiale dell’era turbo-ibrida in F1, dominio assoluto. Solo quest’anno abbiamo davvero un serio pretendente allo scettro di Hamilton, per il resto Rosberg nel 2016 è stato l’unico a batterlo, in una sua annata irripetibile per tanti motivi. Ma ecco, si trattava di duello in casa. Agli altri le briciole. La Ferrari ha sì e no reso la vita difficile a Mercedes per metà stagione nel biennio 2017–18. E poi poco altro. Altre briciole.
Dal 2014 ci sarebbe davvero poco di interessante e stimolante per farne un film. Il regista abbandonerebbe il progetto.Non è che sia “colpa” di Hamilton eh?! Si è trovato nel posto giusto al momento giusto (e anche questa, cioè saper scegliere è una dote) e con le sue indubbie capacità e talenti ha reso quel dominio ancora più feroce. E narcolettico.
Forse, di quegli anni, potrebbe essere interessante un film che parli di test illegali (con depistaggi via social pure dei piloti Mercedes) e di potere politico attuato astutamente da un team e da alcuni uomini (Brawn su tutti) per creare quel domino. E di come molte scuderie, compresa Ferrari, abbiano firmato allegramente la propria condanna a morte sportiva.
O, con una metafora forse più cruda ma calzante, si siano messi la corda attorno al collo e si siano stretti da soli il nodo scorsoio. Fatto tragicomico se ripensato a posteriori. E poi certamente abbiamo avuto anche un team che ha saputo costruire un metodo di lavoro quasi perfetto. Però dopo, a babbo morto. Ma, appunto, si tratterebbe di un altro genere di film. Assai poco avvincente, se non per pochi intimi, ne converrete.
F1-Autore: Mariano Froldi – @MarianoFroldi
F1-Foto: Scuderia Ferrari – Mercedes AMG F1 Team