Domenica 5 dicembre non è una data come le altre per il mondo della F1. il carrozzone sbarcherà in Arabia Saudita per l’inedito Gran Premio di Jeddah. Le maestranze saudite stanno facendo i salti mortali per ultimare la pista nei tempi previsti. Tuttavia non c’è al momento alcun dubbio sullo svolgimento dell’evento e il vasto dispiegamento di forze sarà sufficiente a portare a termine le operazioni che mancano. Non tutti, però, si struggerebbero se il Circus non riuscisse a fare tappa nella terra araba.
Perché? La questione è semplice: il Paese che sorge tra le rive del Golfo Persico e del Mar Rosso non eccelle, usiamo un eufemismo, nella tutela dei diritti umani. L’ennesima testimonianza di ciò è arrivata con le pubblicazione di quello che sarà il dress code che dovrà necessariamente essere utilizzato in occasione degli eventi ufficiali. Guillaume Capietto, team manager della scuderia italiana Prema che guida entrambe le classifiche della F2, ha mostrato, in una serie di tweet facilmente reperibili, una sfilza di prescrizioni che gli uomini e, soprattutto, le donne dovranno osservare sul suolo saudita.
La dinastia saudita che regge il paese dall’inizio del ‘900 fa rispettare con un certo rigore la dottrina wahhabita che consta in un’interpretazione fondamentalista del Corano. Questa evidenza, a cascata, si riverbera nella decisa nella negazione di alcune libertà fondamentali che sono codificate nella dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. La pena di morte è ampiamente usata e, in linea generica, i regolari processi sono un miraggio. Inoltre le minoranze religiose e politiche sono tutt’altro che tutelate. Strumenti anacronistici e incompatibili col vivere civile come la tortura dei prigionieri sono tutt’oggi utilizzati. Si osserva una generale chiusura verso gli stranieri, le donne e l’omosessualità.
Se per i maschietti non sarà tollerato l’utilizzo delle t-shirt smanicate, del petto nudo, ma anche dei bermuda e dei jeans strappati, ben più restrittiva è la serie di regole che il gentil sesso dovrà osservare. La lista è lunga. Sarà fatto divieto di mostrarsi in pantaloncini, bikini e minigonne. Bannati anche abiti senza maniche o semplicemente corti. Il vademecum prevede, inoltre, un uso di una “scollatura decente”. Chi non sarà conferme alle prescrizioni verrà rimbalzato ai tornelli. Benvenuti nell’anno Mille.
Le autorità governative, rintuzzate da organismi internazionali che osservano la puntuale applicazione dei diritti umani, negano la perpetrazione di tali pratiche. Ma la limitazione della libertà d’espressione, d’associazione e riunione con conseguenti arresti di molti difensori dei diritti umani, sono fatti conclamati e dissimulabile nell’era della comunicazione globale.
Un quadro arcinoto a chi scrive i calendari della F1. Perchè Liberty Media si tura il naso e organizza comunque le gare in quelle aree nonostante, da qualche anno, abbia avviato battaglie di inclusione e di equità sociale? In un paese dove si viene giudicati dal modo in cui si ci veste – e forse questo è il male minore – è il caso di mettere su un evento e pubblicizzarlo in pompa magna?
“Pecunia non olet” diceva Vespasiano. La massima funziona molto bene nel mondo di una F1 alla continua ricerca di fatturati ad alto voltaggio e di introiti da accumulare. Il Circus dei GP è un ambiente con una morale ondivaga ed è la perfetta riproduzione dell’economia capitalistica mondiale.
La sua etica è porre al centro di tutto la creazione del profitto e la volontà, quasi maniacale, di reinvestire incessantemente quanto guadagnato per attivare una sorta di circolo virtuoso. Questo è ciò che postulava, nel XIX secolo, Max Weber. Ciò che non veniva contemplato in un’analisi sociologico-filosofica molto famosa, è che esistono delle derive negative ed incontrollabili che trasformano un meccanismo sano in una una macchina disumanizzante, pronta a dimenticarsi dei propri valori di riferimento per arrivare a completare quel circolo la cui principale ragione d’essere è l’accumulazione.
Non è nostra intenzione fare un saggio di pensiero filosofico, non è questa la sede (ci perdonino Weber e Giovanni Calvino per aver banalizzato le loro correnti di pensiero), ma, nel piccolo, la F1 è la riproduzione di un modello operante in larga scala. Un paradigma che si regge su una serie di insanabili ed inconciliabili contraddizioni: il profitto come entità da perseguire in ogni costo, anche a scapito dei messaggi id inclusione di cui la categoria si fa latrice ed araldo.
Ci sarebbe da contemplare, in una valutazione dei fatti più ampia, l’altro lato della medaglia. Ossia quel modo di approcciarsi all’altro in maniera “colonialistica”. Non bisogna fare l’errore di ritenere i nostri valori come universalmente efficaci, vincenti, esportabili. In quest’ottica non bisogna rifiutarsi di calarsi nei panni altrui, nelle culture terze che spesso non si conoscono alla perfezione. Non è una giustificazione delle limitazioni di libertà fondamentali, sia chiaro. La questione è se ritenere anche il modo di vestirsi un diritto inalienabile. Ci sembra che sia piuttosto un fatto che afferisce alla sfera culturale.
Perché un conto sono i costumi, un altro le censure sistematiche che soggiogano pezzi di popolazione. Sarebbero, dunque, ben altre le critiche da muovere a chi organizza e gestisce la F1. Focalizzarsi sul dress code equivale a vedere il dito e non la luna. Andrebbero avversate le continue contraddizioni di cui si alimenta questo mondo. “We race as one” e poi ci si vende, è il caso di dire, al miglior offerente. E fa nulla se quel danaro arriva da chi certi diritti li calpesta.
E’ una F1 concettualmente incoerente. Ed ogni giorno arriva una conferma. Prendiamo ad esempio la battaglia sui biocarburanti e sulle emissioni zero. Ancora una volta si ha la sensazione di inscenare una manovra populista, di vetrina. Le monoposto di F1 contribuiscono in misura irrisoria ad inquinare. Ciò che davvero produce quantità smodate di CO2 sono gli spostamenti che il Circus fa da circuito in circuito. Aerei, camion, mezzi di ogni genere e sorta alimentati, nella migliore delle ipotesi, a kerosene e benzina.
Chi ha deciso di aprire ad una politica di limitazione delle risorse a mezzo budget cap va invece alla ricerca sfrenata di nuovi palcoscenici dove far esibire macchine e piloti. Si snatura una categoria trasformandola in una specie di serie endurance stante la durata dei motori ma si sente la necessità di infarcire come un tacchino il calendario che l’anno prossimo conterà 23 appuntamenti. Le risorse utilizzate per gli spostamenti e non per la sfida tecnica che è essa la vera essenza della F1.
Si corre verso le motorizzazioni green e, contestualmente, si organizzano calendari folli intasati di gare che obbligano a spostamenti illogici di attrezzature pesanti. Guardando il calendario 2022 recentemente pubblicato dalla FIA, salta all’occhio l’ennesima incoerenza: il 10 aprile la F1 è di scena a Melbourne, Australia. Dopo 14 giorni la truppa si sposta sulle rive del Santerno per il GP di Imola. Altre due settimane e si vola a Miami, USA. Il giro del mondo in un mese quando si potevano ottimizzare le date ed evitare che mezzi inquinanti spostassero in giro per il mondo i materiali necessari a mandare in scena lo spettacolo. Incoerenze coerenti con la spasmodica ricerca di danaro. Profitto e accumulazione. Ancora una volta.
La massima categoria del motorsport predica bene e razzola male. La banalità della frase arci conosciuta rende a meraviglia il senso dello scritto. L’atteggiamento finto moralista della F1 si manifesta laddove lo scenario abbracciato non collide con l’interesse monetario. Sino a quando la presenza in calendario di una gara risulterà utile, quindi, per la governance nessun problema sarà così importante da mettere in discussione una data e anche un dress code sarà visto come ragionevole malgrado in linea di principio non lo sia affatto.
Ed ecco che il concetto sbandierato con giustezza ai quattro venti in ogni singola immagine legata alla F1 si trasforma in “We monetize as one“. Qualora il beneficio dovesse risultare insufficiente, al contrario, la lealtà verso una scelta operata di colpo troverebbe la scusa perfetta per virare su nuovi lidi. Anche questa è Formula Uno…
F1-Autore: Diego Catalano – @diegocat1977
Foto: Formula Uno