La marcia trionfale di Hamilton in F1 si interrompe in Turchia. Lewis non riesce ad apporre il suo sigillo là dove svettano i minareti, rimanendo confinato in quinta posizione. Non allunga, si limita a contenere, in una gara dove avrebbe potuto facilmente stravincere, complice una Mercedes rinata. Invece si trova a fare i conti con una penalità che lo costringe a partire nel mezzo e con le insidie dell’asfalto bagnato che suggeriscono prudenza. La cautela è d’obbligo quando la posta in gioco è così alta, quando anche un accenno di esuberanza si potrebbe trasformare in un passo falso.
Hamilton lo sa e fa tutto di conseguenza. Guardingo al via, attendista nella prima fase di gara. Non è il momento adatto per strafare, non è ancora il tempo di stupire. Lewis il saggio non sperpera, consapevole del poi. Per puntare in alto bisogna innanzi tutto stare attenti a non scivolare. Poi, al momento propizio, libera il graffio del campione, la manovra perfetta, l’istante sublime che vale la ola. Lo fa dopo una impegnativa lotta nei confronti di Tsunoda, che per l’occasione si trasforma in un implacabile samurai, sfoderando una strenua difesa a colpi di katana. Ma questo non basta per trafiggere le velleità del pilota Mercedes, abilissimo a sorprendere il giapponese.
Tra qualche sorpasso in scioltezza e un buon ritmo ritrovato, Lewis si fa avanti, lasciando presagire un finale acceso. Ma la gara di F1 è di difficile lettura a causa di una pioggerellina sfrontata che fa capolino proprio quando la pista sembra virare verso l’asciutto. C’è poco da inventare e troppo da rischiare. Meglio inanellare un giro dopo l’altro, confidando nella solida leadership di un impeccabile Bottas, nella quieta resa di un Verstappen appagato dalla piazza d’onore. L’obiettivo minimo è il terzo gradino del podio, nulla che non sia alla portata di Hamilton.
Le gomme intermedie sembrano eterne, armature inscalfibili alle quali affidarsi senza timori. O almeno questo è il pensiero di Lewis, che vorrebbe tentare il colpaccio evitando una logica sosta. Non rischia Verstappen, prostrato al calcolo, non osa Bottas, che ha nel mirino la sua prima vittoria stagionale. Hamilton però vorrebbe mandare al diavolo la ragione e compiere un’impresa quasi impossibile in F1, consapevole di potercela fare. In effetti, chi potrebbe riuscirci se non lui, il pilota più gentile con le gomme, colui che le accarezza senza strigliarle, complice una vettura ben bilanciata?
Infatti Lewis ci tenta, non vuole arrendersi all’anonimato. Chiede a gran voce di restare fuori, di giocarsela al di là dei calcoli e in barba alle strategie. Un uomo e una macchina possono bastare per inseguire un sogno, per accogliere l’azzardo. Il rischio non è contemplato da Hamilton: una variabile dimenticata, seppellita sotto la cenere di un ardore che non è un fuoco fatuo. Eccolo lì il demone del pilota, assatanato e ribelle, pronto a inseguire una missione tanto eroica quanto incredibile. Valtteri e Max, egregi capofila, paiono macchie sbiadite rispetto all’incedere deciso di un sette volte campione del mondo che rivela la sua lucida follia.
Ritrovo l’Hamilton dei primi anni, quello senza le treccine, con il casco giallo. Il ragazzo arrembante e disposto a rischiare. E quasi penso sia stato un peccato vederlo approdare su una vettura tanto vincente, che ci ha privato dei suoi guizzi, delle sue impareggiabili imprese. Abbiamo ammirato le danze dei suoi giri perfetti, lo abbiamo visto volteggiare come una farfalla su tutti i circuiti, con una leggiadria che faceva apparire la vittoria come una cosa semplice, il giro veloce come una banale formalità. Abbiamo assistito alla sua consacrazione, privandoci però di lotte estreme e di tutte le situazioni che avrebbero potuto esaltare la vera grandezza del pilota Lewis.
Ora Hamilton si mostra e ci dimostra che nulla avviene per caso. Che non ha bisogno di condizioni perfette per emergere, ma che sa rendersi indimenticabile proprio quando il gioco si fa duro. Mercedes tuttavia lo richiama, non accetta di osare, mette a tacere quell’anelito di eroismo e tarpa le ali all’unica velleità rimasta, quella di ricorrere a una mescola soft.
Così Lewis rientra in pista con nuove corazze a banda verde, per nulla agili attanagliate dal graining su di una pista che, finalmente, va facendosi più asciutta. Si deve accontentare di un misero quinto posto, mentre Verstappen ringrazia e Bottas festeggia. Dieci punti non sono da buttare in ottica mondiale, specie dopo aver smarcato una penalità. Eppure, questo, a Hamilton non basta più. Lewis sa che per vincere è necessaria la ragione. Ma per convincere serve l’istinto.
F1-Autore: Veronica Vesco – @VeronicagVesco
Foto: Mercedes AMG F1 Team
Articolo meraviglioso.
Pensi di leggere il solito, interessante ma arido, commento di cronaca sportiva, invece scopri riga dopo riga un crescendo di stimoli emozionali, poetici, ma al contempo, fortemente correlati alla reale vicenda agonistica.
Complimenti Veronica.