“Is not over!“. Così Lewis Hamilton ha commentato sui propri canali social il Gp di F1 degli Stati Uniti che ha rilanciato prepotentemente le velleità di successo iridato di Max Verstappen. Alla fine di una gara tiratissima in cui il muretto Mercedes è stato l’antitesi del concetto di perfezione (leggi l’approfondimento), l’olandese ha visto raddoppiare il suo vantaggio nella classifica pilota passando da sei a dodici lunghezze. La F1 potrebbe vedere, dopo sette stagioni, un comandante che non ha appuntato in petto lo stemma della Stella a Tre Punte.
Ma i vecchi dominatori ci credono ancora. Non vogliono abdicare, restano aggrappati all’idea di poter allungare una striscia di trionfi senza precedenti. Desiderata che devono scontrarsi con la dura realtà che vede la Red Bull come entità tecnicamente soverchiante in un’annata che potrebbe decretare il tramonto di un’era sportiva probabilmente irripetibile.
Nella massima categoria si perpetra una dinamica alla quale abbiamo assistito spesso in questo 2021: Milton Keynes si impone e da Brackley fanno proclami di pronti riscatti che puntualmente crollano come un castello di carte. Dopo la batosta texana lo scenario si è presentato ancora una volta in una ciclicità quasi disarmante. Gli uomini in nero hanno ammesso di aver gestito male il week end di gara, tra assetti errati e strategie fallaci, e hanno strombazzato ai quattro venti che nelle ultime cinque sfide suoneranno la carica. Come mai hanno fatto in precedenza. C’è da creder loro?
Intanto bisogna scalare la prima montagna che ha le sembianza del circuito Hermanos Rodriguez che sorge a Città del Messico, ad un’altitudine di oltre 2000 metri. Una condizione che spesso è rimasta indigesta all’aerodinamica a basso rake delle Frecce Nere nonché ai propulsori prodotti a Brixworth che soffrono di crisi asfittiche determinate dalla rarefazione dell’aria. Il tracciato più ostico per sperare di recuperare su una Red Bull che in queste particolari condizioni ci sguazza come un salmone in acque fredde.
Ma in Mercedes si sentono forti e sicuri e hanno intenzione di sfidare un destino che pare segnato. Toto Wolff ci spera. O almeno lo fa pensare. Forse per motivare i suoi. O forse perché ragiona con la mente obnubilata dalla frenesia di restare aggrappato ad un sogno che piano piano si sta trasformando in un incubo sportivo.
“Il Messico è tradizionalmente una pista difficile per noi. Ma abbiamo visto che in questa stagione tutto può cambiare. Penso che ce la giochiamo gara per gara, abbiamo bisogno di mantenere il morale alto. Siamo lì, abbiamo la possibilità di vincere ogni gara“. Parole apparentemente decise che celano il timore che tutto possa andare alla malora senza possibilità d’appello.
“L’unica cosa che dobbiamo evitare – ha proseguito il manager viennese ai microfoni di Sky Sports – sono i ritiri. Uno stop in gara azzererebbe le nostre possibilità. Ma sono convinto che, per il resto, possiamo farcela. Siamo sotto pressione, ma è una pressione positiva. Siamo abituati a combattere. Abbiamo avuto lotte dure con la Ferrari nel 2018 e nel 2019 e abbiamo vinto sette volte di fila. Ma questo – e qui l’atto di consapevolezza – non è di aiuto in un campionato così difficile. La storia non ha alcuna rilevanza al momento. Le statistiche del passato non interessano a nessuno“.
Il team principal non predica nel deserto. A Brackley si stanno (auto)convincendo che l’impresa sia possibile, che sia più concreta di quanto gli andamenti stagionali raccontino. Andrew Shovlin ha affermato che arriveranno in Messico con una monoposto che si esibirà al massimo delle sue possibilità. Cosa che avverrà indipendentemente dal fatto che sia una pista che storicamente ha favorito la Red Bull e la power unit Honda. Evidentemente ci sono dati ed elementi che a noi sfuggono e che consentono agli anglo-tedeschi di sperticarsi in toni così ostentatamente ottimistici.
La difficoltà sarà invertire una rotta abbastanza chiara. I numeri non mentono e non danno spazio ad interpretazioni di comodo. In stagione Red Bull si è accaparrata nove gare. Mercedes sei. Verstappen ne domina otto contro le cinque del campione del mondo in carica. Che ha ottenuto tre trionfi nelle prima quattro gare. Il resto della stagione, quindi, ha visto la RB16B imporsi in maniera abbastanza netta. Evidenza confermata da un nastro di cinque vittorie consecutive laddove il team della Stella si è fermato a due. Che rappresentano non altro che i GP del Portogallo e della Spagna in cui Hamilton si è imposto. Tempi che sembrano lontanissimi per come si è poi dipanato il campionato.
Numeri che inchiodano Mercedes. Dati impietosi e che lasciano ben pochi margini alla fantasia e alle speranze. Come può AMG F1 invertire la rotta? Innanzitutto servirebbe normalizzare la gestione delle operazioni domenicali. La confusione strategica e l’approssimazione tattica cui abbiamo assistito dovrebbe cessare di colpo per sperare di giocare ad armi pari almeno su questo fronte. Difficile che d’un tratto James Vowles rinsavisca e che il muretto in generale prenda a spizzare lucidità in una fase si mondiale in cui la pressione zampilla furibonda come in pozzo petrolifero.
Tecnicamente c’è ben poco da fare. Gli sviluppi sono bloccati. Le vetture presentano solo adattamenti ai diversi tracciati che si vanno ad affrontare. Nessun team ha risorse da spendere considerando la scure del budget cap che evidentemente ha limitato la tipica capacità di reazione della Mercedes. Non resta che spremere quanto più possibile dal materiale in possesso ma non sembra che la W12 possa dare più di quanto offerto sino a questo momento. Stessa cosa dicasi per la power unit che ha palesato, specie con Bottas, più di un problema di affidabilità.
Questo delle rotture è un altro tema da attenzionare. Hamilton rischia di incorrere in un’altra penalità visto che al cambio di parte endotermica operato in Russia non è corrisposta la sostituzione delle componenti elettriche. Anche su questo versante Mercedes non ha molte alternative.
Potrebbe essere l’affidabilità altrui a giocare un ruolo nell’assegnazione del titolo. Ma siamo alle macumbe considerando che Mercedes non ha alcun facoltà di incidere su questa dinamica. E visto che la F1 afferisce alla scienza e non alle magie nere anche questa ipotesi è da cestinare. Per come ha guidato sinora Verstappen, ancora, pare assai improbabile che possa incorrere in errori tanto marchiani da compromettere un intero Gran Premio.
Ecco che gli elementi per essere ottimisti sono ben pochi. Quella che Mercedes vive è una realtà distopica venduta come una dolcissima utopia che, per definizione, non è suscettibile di essere praticamente realizzata. I fatti nudi e crudi dicono che Reb Bull le sta suonando di santa ragione ai “men in black”. I numeri e le statistiche supportano questa evidenza e, a sole cinque gare dal termine, servirebbe uno tsunami per invertire il trend.
Dodici lunghezze non sono tante ma c’è la netta sensazione che questo gap sottostimi le differenze tecniche intercorrenti tra la RB16B e la W12. In Mercedes hanno tutto il diritto di mostrarsi sicuri, di credere di potercela fare, di gonfiare il petto. Sono i detentori dello scettro. Ma certe dichiarazioni sembrano quasi dei capricci di chi non ha mai assaporato l’amaro gusto della sconfitta e non vuole prepararsi ad ingoiare il dolente boccone. Il back to back Messico – Brasile (dove si terrà anche la sprint qualifying, nda) dirà praticamente tutto sul prosieguo di questo avvincente campionato. Basterà un solo tonfo per chiudere in maniera pressoché definitiva dei giochi ancora parzialmente aperti.
F1-Autore: Diego Catalano – @diegocat1977
Foto: Mercedes AMG F1 Team, Red Bull Racing Honda