La F1 è uno sport strano. E’ una disciplina all’interno della quale coesistono due competizioni: una che disputa per raggiungere la gloria personale, l’altra che si affronta per far sì che un team primeggi sugli altri. Due campionati in uno che spesso presentano difficoltà diverse per essere agguantati. Un’anomalia alla quale siamo abituati e che non ci sorprende più. Finché osserviamo, ad esempio, un pilota di un data scuderia correre per il suo compagno siamo disposti ad accettarlo.
La storia della categoria si regge su dinamiche analoghe. Ciò che crea qualche sfumatura di disappunto è constatare come soggetti di altre compagini possano gareggiare per un terzo pilota, sacrificare la propria gara per avvantaggiare qualcun altro e addirittura ammettere candidamente l’ordine arrivato dall’alto.
Inutile girarci ulteriormente intorno. Stiamo parlando del caso Yuki Tsunoda e del suo piano tattico sviluppato durante il Gran Premio di Turchia. Il giapponese dell’Alpha Tuari scattava in decima piazza, proprio davanti a Lewis Hamilton che si trovava a centro gruppo in seguito alla sostituzione della parte endotermica della power unit Mercedes. Due urgenze centrifughe: il campione del mondo con la fretta di scalare posizioni, il pilota dell’AT02 intento ad issarsi nei punti per dare una svolta ad una stagione deludente che verrà ricordata per certi team radio diseducanti piuttosto che per le gesta offerte in pista.
Veniamo ai fatti. Durante il primo giro Hamilton si “beve” con facilità l’Aston Martin di Sebastian Vettel. Da quel momento si incolla negli scarichi della vettura bianco-blu e ci rimarrà per otto lunghe tornate attraverso un duello sì pieno di insidie… Ma corretto ed entusiasmante. Lewis resta in coda alla vettura faentina sino a quando il nipponico va leggermente lungo in curva 1, all’ottavo passaggio. Fattore che ha permesso al britannico di sopravanzare il nipponico all’esterno di curva 3 con una manovra spettacolare vista la dinamica, le condizioni della pista e la posta in palio.
Rischi che il campione del mondo deve calcolare in ottica di un battaglia tiratissima con Max Verstappen. Un duello che si sta giocando su distacchi infinitesimali. Ecco che bisogna trovare un equilibrio in ogni “corpo a corpo” e dosarne l’intensità a seconda delle circostanze. Nel caso Tsunoda c’è stato un punto in cui il britannico non voleva avvicinarsi abbastanza per stare alla larga dai guai. Uno studio durato diverse tornate prima dell’affondo decisivo. Una fase in cui è stato necessario essere rispettoso, offrendo molto spazio al rivale del momento per evitare conseguenze più serie.
La resistenza di Tsunoda è stata molto più convinta rispetto a quelle offerte da Vettel, Lance Stroll e Lando Norris. Qualcuno potrebbe insinuare il dubbio che la “mollezza” sia dipesa dalla medesima motorizzazione. Ipotesi che viene smontata con l’operato di Pierre Gasly che, a conti fatti, è stato superato con relativa facilità. Non che il francese non avesse, come confermerà Helmut Marko, il mandato di tenere a bada Lewis per proteggere Verstappen.
Semplicemente, in quella fase di gara, non ne aveva per sollevare un muro. Cosa che al contrario il soldatino Tsunoda ha potuto realizzare sin dalle primissime battute di gara, quando gli pneumatici della sua monoposto gli hanno permesso di allargare le spalle e rendere assai difficile la manovra a sua maestà sette titoli mondiali.
“Voglio che Max vinca… è l’ultimo anno della Honda“. Queste le parole che il driver nipponico, a bocce ferme, ha espresso con candida normalità. “Ho cercato di fermare Lewis il più possibile. Non so per quanti quanti giri ci sia riuscito. Speravo di tenerlo dietro più a lungo“. Legittimo? Assolutamente sì. Produttivo per la sua gara e la sua stagione? No.
Tsunoda, dopo aver innalzato la linea Maginot (che è durata quanto la fortificazione che doveva proteggere i confini della Francia dall’avanzata tedesca) è scivolato nelle retrovie proprio per aver stressato gli pneumatici nel duello col sette volte campione del mondo. Cosa ammessa dallo stesso protagonista che successivamente è andato anche in testacoda per poi chiudere con un mestissimo quattordicesimo posto, incalzato da George Russell.
Tsunoda ha perfettamente – o quasi – svolto il lavoro richiesto da Helmut Marko che, dopo le operazioni, ha mostrato una certa soddisfazione: “Hamilton avrebbe potuto fare meglio, ma non è riuscito poiché Tsunoda e Perez lo hanno rallentato. Questo è il piano che avevamo studiato“.
Ed è qua che qualche dubbio di natura etica – e non solo – assale l’osservatore. Bisogna stralciare la posizione di Perez che, in quanto compagno di Verstappen, aveva ogni genere di “copertura morale” per operare in quel modo. Più traballante la posizione del giapponesino che, carte alla mano, guida per un altro team.
L’azione coordinata da Marko non sorprende affatto. Tuttavia, forse, invece di essere esaltata oltremodo andrebbe “condannata” esattamente come accadde nel 2018, a Montecarlo, con le dichiarazioni post gara di Esteban Ocon, reo e soddisfatto di aver portato a termine l’ordine impartito da Toto Wolff. Le concentrazioni di potere in F1 andrebbero regolamentate ad ogni livello. Invece si assiste un certo lassismo che, di volta in volta, viene criticato o esaltato a seconda dei protagonisti che vede coinvolti.
Estremizzando il pensiero possiamo dire che se “certe cose si fanno è meglio non dirle“. Bastava un pizzico di buon senso mediatico per evitare l’ennesimo capitolo torbido in una F1 già martoriata dalla dietrologia e da certe scelte poco leggibili. Tsunoda aveva, ha ed avrà tutto il diritto di resistere in pista a chicchessia. Ma dovrebbe farlo per difendere la sua posizione e non per aiutare un pilota coinvolto in una lotta mondiale che potrebbe decidersi per poche lunghezze.
Questo il nocciolo del discorso che dovrebbe farci riflettere invece di arroccarci in posizioni figlie più del tifo che del buon senso. Magari ricordando come in altre circostanze Red Bull, usando la morale a proprio favore, abbia cercato di mettere in cattiva luce il nome Mercedes e quello dei suoi protagonisti agli occhi della FIA (vedi episodio Silverstone).
In ultima analisi possiamo osservare la vicenda sotto un altro punto di vista, quello del team faentino che è in piena lotta per la quinta posizione in classifica. Perchè Franz Tost o qualsiasi altro dirigente della scuderia accetta di sacrificare punti preziosi per favorire qualcun altro? La risposta è scontata e rimanda a quelle concentrazioni di potere di cui sopra. Alpha Tauri è stata sovente un laboratorio per la Red Bull. Si pensi, a tal proposito, all’anno in cui funse da muletto per far crescere i motori Honda, poi installati sulle vetture di Milton Keynes.
Sul fronte piloti, poi, Marko ha ampiamente dimostrato di non avere scrupoli quando ha deciso che un professionista non era più utile agli scopi. Basterebbe chiederlo a Kvyat e Alexander Albon. O magari allo stesso Gasly, retrocesso senza lodi dalla squadra top al satellite di Faenza dove peraltro ha dimostrato di essere une eccellente pilota. Ecco perchè la riflessione ultima assume interrogativi interessati che vale la pena porsi.
Il piegarsi alla ragion di stato quali effetti positivi di lungo termine offre ad un pilota come Tsunoda? Ottenuta la riconferma dopo un anno assolutamente sotto le attese, è questo lo scopo della permanenza nella massima categoria del motorsport? Essere “usato” alla bisogna per le necessità della squadra controllante?
Curioso di conoscere il vostro parere al riguardo…
F1-Autore: Diego Catalano – @diegocat1977
Foto: Red Bull Racing Honda – Mercedes AMG F1 Team
La F1 é talmente lontana dallo spirito dello Sport que questo fatto resta irrilevante a fronte di altri ben più gravi. Senza contare che lato pettacolo non é stato poi cosi male, e che Tsunoda avrà (forse) perso uno o due punti ma ha guadagnato un minimo di rispetto, quando altri piloti si scansano letteralmente perché arriva Hamilton.
Almeno Tsunoda non ha fatto politica, contrariamente a coloro che fanno dichiarazioni tendenziose con il solo scopo di trarne un vantaggio psicologico.
Adesso facciamo pure finta di scandalizzarci scoprendo ciò che è alla luce del sole: AT è un team B di RB.
La proprietà è la stessa, l’accademia piloti è unica e ci sono pure porte girevoli con scambio fra piloti a metà stagione. Accademia gestita da Marko.
Se la formula 1 non vieta le comproprietà o compartecipazioni azionarie queste cose succedono.
Piuttosto sono più scandalosi certi conflitti di interesse di Wolff, e Mercedes. Perfino McLaren da da maggiordomi in certe gare. Non parliamo di Aston Martin.
È esattamente ciò che si sostiene nell’articolo.
L’intero articolo si può riassumere con il commento di Estaban Ocon dopo Monaco 2018: “Se ho reso la vita troppo facile Lewis Hamilton quando mi ha sorpassato? Sono un pilota Mercedes, devi chiedere al boss.”
Per non citare il Brasile dello stesso anno.
Dopo che lo hanno sdoganato i grigi lo fanno tutti, è inutile scandalizzarsi.
L’episodio è riportato. Ed è stato ugualmente criticato. Naturalmente si commenta il fatto recente. Così come si è fatto quando Alonso, in favore di telecamere, si è scusato per non aver tenuto dietro Hamilton. In Ungheria.
Grazie per la risposta. In realtà, anche se ammetto di non essere stato in grado di esprimerlo al meglio, sono d’accordo con il tuo articolo, infatti il mio non era un riferimento relativo al pezzo nello specifico, ma ad un comportamento generico in cui mi sono imbattuto spesso, sopratutto all’estero, teso (all’epoca) a giustificare gli eventi del 2018 adducendo la scusa che “i 2 non erano in lotta, era inutile tenere Lewis dietro” mentre oggi chiede punizioni corporali fantozziane per il giapponese (immagino per campanilismo anglosassone più che altro).
Dal mio punto di vista, l’importante è che la difesa, per quanto strenua, sia sempre corretta, e quella di Tsunoda mi pare lo sia stata (a differenza della tendenza allo zigzag del da te già citato Alonso, e lo dico da ferrarista legato affettivamente al record di MSC eguagliato, nella speranza “egoistica” che resti tale, da LH).
Sulle difese di Tsunoda e di Alonso siamo tutti d’accordo: manovre corrette, lecite, auspicabili in chiave sportiva. E’ il corollario verbale che ha lasciato qualche perplessità.
Mi piace la misura pacata dei commenti.
Su di un altro periodico venivano lanciati anatemi, maledizioni o pure peggio a coloro che non avevano lo stesso punto di vista, tanto che le risposte sono state soppresse.
Spero che si possa continuare sempre cosi
I pezzi di opinione recano in sé il seme della polemica. Proprio perchè chi li legge può avere idee opposte a chi scrive. Questo è ben chiaro a noi che ci cimentiamo con questo tipo di articolo ed ecco perchè, nei graditissimi commenti, cerchiamo di spiegare e circostanziare il punto di vista espresso nel pezzo. I feedback fanno sempre bene e aiutano a crescere e a vedere le cose sotto altre angolazioni.
L’unica cosa che proprio non mi piace dell’articolo è l’epiteto soldatino, allora Ocon a Montecarlo cos’è stato, un servo? Tralasciamo certi atteggiamenti a ultrà o persone antisportive, perché il “soldatino” ci ha regalato uno spettacolo bellissimo. Riguardo al gioco forza RB-AT il problema è a monte mentre l’articolo ne fa un problema a valle, mi spiego meglio: il problema sono le comproprietà o le eccessive collaborazioni (Ferrari-Haas), e ultimamente pare anche le motorizzazioni stiano avendo il loro peso. Per non sapere ne leggere ne scrivere direi che i contratti di motorizzazione devono essere depositati in FIA, chi mi garantisce non ci sia una postilla che garantisca uno “sconto” in caso di favore in gara? I problemi della F1 sono più legati alla burocrazia e assenza di trasparenza. Da qualche anno ho anche la convinzione che la FIA abbia un atteggiamento lassista perché mettersi a fare le pulci risulterebbe controproducente con relative fuoriuscite di alcuni team.
Nel pezzo parlo brevemente dei centri di potere. Che sono il problema che la F1 non vuole nè può – por motivi economici – risolvere. Comunque queste osservazioni potrebbero essere lo spunto per un approfondimento dedicato 😉