Tanto tuonò che piovve in F1. Ma non è questo il caso. Dopo una settimana di polemiche, accuse incrociate, prove omesse e poi riproposte, ricorsi, difese, dibattimenti, congetture e previsioni più o meno azzeccate tutto si è dissolto in una bolla di sapone. Ci riferiamo ovviamente alla querelle che visto protagonisti, ancora una volta, Lewis Hamilton e Max Verstappen che si sono incrociati durante il GP del Brasile creando un altro momento di tensione in un mondiale di F1 mai avaro di colpi di scena.
Stavolta, tra i duellanti, si sono inserite altre figure che erano chiamate a dirimere la questione e che invece, come spesso accade, hanno contribuito ad ingarbugliare i fili procedendo con una logica imperscrutabile, di sicuro non votata alla chiarezza che tutti auspicavano. Dopo un giovedì passato a sentire i ricorrenti (Mercedes) e gli accusati (Red Bull), il collegio giudicante, con una solerzia degna di una balena spiaggiata, ha semplicemente stabilito di non accogliere la richiesta di revisione inoltrata dalla scuderia guidata da Toto Wolff offrendo così a Verstappen la possibilità di conservare il secondo posto nel GP paulista e di non incorrere in ulteriori sanzioni da scontare a Losail.
I giudici hanno deciso di non decidere. Motivo? L’elemento che doveva sovvertire il giudizio, ossia la prova regina rappresentata dal video dell’on board della Red Bull n°33, quel filmato invocato dallo stesso Michael Masi e individuato essere la dimostrazione di colpevolezza dell’olandese, è stato considerato un particolare che non forniva ulteriori evidenze oltre a quella analizzate dopo il giro 48.
Caso chiuso? Formalmente sì. La decisione è inappellabile ed è stata recepita dai ricorrenti con mugugni che mostravano ben poca soddisfazione. Quel che resta di questa vicenda è l’atteggiamento pilatesco di chi è chiamato a decretare, oltre ad una maldestra spettacolarizzazione che può piacere agli amanti di Drive to Survive ma che fa sorgere crampi allo stomaco in chi vorrebbe procedimenti rapidi, trasparenti ed efficaci.
I commissari chiamati ad individuare un reo hanno rigettato la richiesta dei campioni del mondo in carica in via pregiudiziale. Hanno ritenuto il nuovo fatto probatorio inammissibile. In soldoni – e senza sperticarsi in tecnicismi giuridici tediosi – non sono entrati nel merito della vicenda.
E questo avrà delle conseguenze. Ricordiamo le parole che Charles Leclerc ha riferito un paio di giorni fa sul caso: “Se consentiranno quella manovra di Verstappen senza sanzioni allora adatterò anche io la mia guida a quella decisione“. No Charles, non è così che andrà. Ieri non è stata definita alcuna linea interpretativa. I commissari hanno semplicemente fatto spallucce archiviando il caso senza analizzarlo a fondo. Non solo non hanno identificato un reo, non l’hanno nemmeno cercato. Non c’è stata sentenza, insomma. E questo, a livello giurisprudenziale, significa che il fatto non ha contribuito a creare una linea interpretativa da usare in seguito su analoghe fattispecie.
Ragionando per assurdo, in un caso simile per dinamica a quello che ha visto coinvolti in due capofila del campionato di F1, un’altra commissione giudicante potrebbe decidere di entrare nel merito in base ad evidenze probatorie che reputa valide e penalizzare uno dei due piloti. Quindi, è bene essere chiarissimi, non è stato stabilito nessun “tana liberi tutti”.
Non è stato formalizzato il “Let them race” da molti invocato. Le linee guida restano le medesime che hanno portato, ad esempio, alla penalità di Hamilton a Silverstone. O a quelle di Perez e Norris in Austria. Giusto per citare due casi che non coinvolgono i duellanti all’iride. Verdetti che avrebbero potuto generare, in base ad una linea interpretativa coerente, una sanzione anche ai danni di Verstappen.
Prediamo proprio il caso relativo al GP di Inghilterra. Fu lo stesso Masi ad evidenziare un principio elementare: non si punisce in base all’effetto di un incidente. Si condanna la causa. Nel comunicato della penalità si potette leggere che Hamilton era colpevole di non aver centrato l’apex della Copse. In Curva 4 di Interlagos, Max non solo non centra il vertice della piega, ma va oltre l’asfalto e porta con sé il rivale, forzando evidentemente la manovra.
Le immagini nuove fornite sono chiare, così come lo erano anche quelle che mostravano le riprese dall’alto e che testimoniavano la deliberata manovra del pilota di Hasselt di accompagnare fuori dalla pista la Mercedes del contendente. Non è questo luogo per decretare responsabili, ma è la sede per sollevare un’incongruenza che nasce nei minuti successivi l’episodio, quando i quattro steward hanno rigettato la richiesta di verifica inoltrata dal direttore di gara.
La gestione di questa storia è stata pessima. Martedì fu proprio Masi a dare un assist a Mercedes nel produrre il ricorso: “In gara non abbiamo a disposizione tutte le visuali, le abbiamo richieste. Quando le otterremo – aveva spigato il dirigente australiano – ci daremo un’occhiata. Il video mancante potrebbe essere la pistola fumante, assolutamente”.
Il direttore di gara è colui il quale nota degli episodi e li sottopone alla giuria. Forzando il paragone, è come se giocasse il ruolo della pubblica accusa. Da qui, probabilmente, un atteggiamento più giustizialista comunque giustificato a fronte delle evidenze a disposizione di chi doveva emettere un verdetto la cui definizione necessitava di pochi minuti.
E non di una settimana passata ad inasprire toni già di per sé bollenti. I commissari investiti dal ricorso hanno quindi inteso sconfessare la linea del direttore. E l’hanno fatto senza analizzare il caso con un non luogo a procedere. Un tecnicismo procedurale che ha l’effetto di far sparire il casus belli. Comodo no?
Come si esce da questo impasse decisionale? Il diritto sportivo sembra vivere di regole sue, dinamiche che spesso non vivono in ossequio della logica e della prassi. Questo può accadere anche perché manca una figura di raccordo tra chi solleva il caso e chi deve stabilire l’eventuale colpevolezza. Servirebbe un esperto di materie giuridiche da affiancare in pianta stabile alle parti. Qualcuno che conosca a menadito il regolamento tecnico-sportivo, le procedure e soprattutto la prassi giurisprudenziale.
Sarebbe altresì utile predisporre, come avviene in altri sport, una sorta di sala VAR dalla quale attingere immagini e prove in tempo reale. La mancanza dell’on board di Verstappen è apparsa grave. Ancor più scottante è stato verificare che sono servite 48 ore per avere un filmato che ogni tifoso poteva reperire con un abbonamento mensile di pochi euro.
Un giudice, in chiusura, è chiamato ad esprimersi. Soprattutto nello sport che deve vivere di linee guida ferree che gli stessi protagonisti devono conoscere e praticare con correttezza pena automatica punizione. Invece troppo spesso assistiamo ad applicazioni ondivaghe. Serve un cambio di passo per rendere il processo decisionale più agile e più credibile. Netflix deve lecitamente raccontare certe dinamiche. Quel che non bisogna assolutamente fare è creare ad arte circostanze ed eventi per darli in pasto al pubblico delle serie tv. E questa volta pare che sia accaduto proprio questo.
F1-Autore: Diego Catalano – @diegocat1977
Foto: Mercedes AMG F1, Red Bull Racing, F1