giovedì, Novembre 21, 2024

Il patteggiamento di Masi è generato da un codice sportivo inadeguato

Michael Masi, in questo momento, non è una persona che gode di chissà quale fama nell’ambiente della F1. Il GP dell’Arabia Saudita ha riconsegnato alle cronache un uomo confuso, indeciso, con scarso polso. Come se non bastasse, dopo la seconda partenza, è sembrato un bazarioto intento a mercanteggiare posizioni in griglia di partenza come se fossero paccottiglia di bassa lega. Tutto fatto in diretta mondiale, con le conversazioni in bella evidenza ed in favore di un pubblico che non ha perdonato la gestione dei momenti critici succedutisi durante le operazioni di gara.

Sono tante le controversie che Jeddah lascia insolute. Proprio per tale ragione è conveniente focalizzarci sui casi più clamorosi per capire se c’è stato dolo, incompetenza o se, più semplicemente, il direttore di gara ha operato nell’alveo di norme comunque fumose, interpretabili e generalmente mal scritte. Cosa di cui non si può fare una colpa al dirigente sportivo australiano.

Il primo episodio da mettere sotto la lente di ingrandimento è di sicuro la bandiera rossa introdotta senza apparenti validi mortivi e con estremo ritardo in occasione del botto di Mick Schumacher. Inutile girarci intorno: le barriere non necessitavano di sostituzione, erano integre e potevano continuare ad adempiere al compito per il quale sono progettate. Ecco perché Masi è stato ampiamente – e giustamente – investito da uno tsunami di critiche. Ma c’è da valutare un retroscena che, parzialmente, potrebbe sollevarlo dall’accusa di aver deliberato bandiera rossa per favorire lo spettacolo.

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Mick Schumacher (Haas) contro le barriere durante il Gran Premio dell’Arabia Saudita edizione 2021

La conformazione del tracciato saudita non consentiva ai mezzi di verifica della FIA di raggiungere il luogo dell’impatto senza passare direttamente per la pista. Far gironzolare nel teatro di gara dei mezzi di servizio è l’antitesi del concetto di sicurezza. Ecco che s’è reso necessario lo stop. Naturalmente resta l’approssimazione perché una valutazione dello stato delle cose poteva – e doveva – essere operata affidandosi al giudizio dei commissari di pista presenti in loco.

Dunque, se il dolo può essere escluso, resta l’evidente incapacità nel gestire al meglio un momento critico che sfocia in una seconda partenza che di certo non è dispiaciuta né a Masi, né ai vertici di Liberty Media, né allo sponsor Crypto che ha visto il suo brand sovraesposto per molti minuti.

Ma l’accadimento più controverso dell’intero GP è sicuramente quello relativo alla trattativa a tre andata in scena dopo che, alla seconda partenza, Max Verstappen ha tratto illecito beneficio forzando ancora una volta fuori pista Lewis Hamilton. Una manovra che doveva sfociare in una automatica restituzione della posizione che, se non effettuata, avrebbe generato cinque secondi di penalità sul tempo totale di gara.

Il direttore di gara, in una conversazione apparsa oggettivamente grottesca e svilente, stava suggerendo al muretto della Red Bull che l’olandese agevolasse il passaggio del rivale britannico per non incappare in un’investigazione da parte dei commissari che sarebbe sfociata nella succitata penalità. Si può discutere sull’idea secondo cui chi nota l’episodio non possa prendere questo genere di decisioni, ma Masi non è un giudice di gara. Le penalità vanno comminate dal collegio appositamente costituito. Il direttore ha facoltà sollevare il caso, non di dirimerlo.

E qua si ritorna a bomba sulle norme del codice sportivo che lasciano margini di manovra che spesso scadono nell’inopportuno. La questione è semplice: non c’è stato nessuno accordo sottobanco. Anche perché la trattativa è avvenuta in chiaro. E questa trasparenza andrebbe evidenziata come fattore positivo.

Ancora, è necessario specificare che il direttore di gara ha la copertura normativa per proporre la restituzione della posizione ad un pilota che s’è avvantaggiato indebitamente dal superamento dei limiti della pista. Quindi l’idea del “patteggiamento” che quella conversazione a tre ha dato sarebbe da rivedere sotto un’altra luce. Anche in questa fattispecie, comunque, resta una certa goffaggine procedurale che indispettisce il tifoso e che non contribuisce a produrre un quadro di chiarezza che sarebbe invece necessario.

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l’australiano Michael Masi, F1 racing director

Tralasciando la gestione, apparsa ancora una volta indecifrabile e confusionaria, delle virtual safety car dopo la ripartenza, l’ultimo episodio chiave del Gp di Jeddah è certamente quello che vede coinvolti, una volta ancora, Lewis Hamilton e Max Verstappen con quest’ultimo autore di un “brake test” in piena regola.

Siamo al passaggio 37 del Gran Premio. Verstappen, mentre transitava in Curva 21, riceve la comunicazione dall‘ingegner Lambiase di restituire la posizione. Indicazione arrivata a seguito del “suggerimento” di Masi a farlo dopo l’ennesima manovra al limite dell’olandese a mezzo della quale aveva forzato la Mercedes n°44 fuori dalla pista. Si è molto discusso su un Hamilton che avrebbe troppo tergiversato, ma la linea temporale conferma che la direzione gara non è riuscita a comunicare in tempo al muretto Mercedes dello switch. A cascata, quindi, Hamilton è rimasto ignaro sul da farsi. Almeno fino al momento del contatto.

Nello sviluppo di un evento che può essere considerato l’architrave della gara si osservano gli approcci di due piloti che intendono trarre vantaggio dall’episodio. Verstappen, da un lato, che voleva lasciarsi sfilare prima della Curva 26 in modo tale da ritornare ad attaccare Hamilton a Curva 1 e con DRS; l’anglo-caraibico, dall’altro lato, che ha scientemente cincischiato per evitare di farsi uccellare nel rettilineo principale del tracciato saudita.

Bisogna essere molto chiari: il brake test operato dalla RB16B n°33 è una mossa estremamente pericolosa. E lo è anche in virtù dei dati emersi dai tabulati telemetrici che hanno evidenziato una decelerazione di 2,4 g frutto di una pressione sul pedale sinistro operata con una forza di 69 bar. Il tutto condito da una scalata in pieno rettilineo dall’ottava alla terza marcia. Si è trattato di un’azione intenzionale, deliberata e profondamente scorretta. Quindi passibile di pena. Che è giunta dopo la gara. E che ha lasciato più di una perplessità per quanto concerne l’entità del provvedimento che non ha mutato l’ordine d’arrivo del GP.

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Gp Arabia Saudita 2021: il tamponamento tra Verstappen (Red Bull Racing Honda) e Hamilton (Mercedes AMG F1 Team) nel cors del 38° giro

La sensazione, comunque, è che il gesto di Verstappen non volesse produrre l’incidente, bensì fosse orientato a mettersi alle spalle di Hamilton per poi “fregarlo” grazie al DRS. Cosa che, per un prassi consuetudinaria sfociata in un gentleman agreement, stabilisce più o meno che, in caso di restituzione di posizioni, non si possa attaccare prima di due curve chi è passato. Quindi Max avrebbe provato ad infrangere anche questa regola non codificata.

Il “dribbling” di Hamilton, quindi, sarebbe alla base della decisione dei commissari che hanno aggiunto dieci secondi al tempo totale della gara di Verstappen. Ennesimo bizantinismo decisionale di cui, va detto, Michael Masi non ha alcuna responsabilità.

Infatti il direttore di gara, da regolamento, non può entrare nel merito. Questo non solleva il manager dalle sue responsabilità: il GP di Jeddah è stato un momento molto basso nella stagione di F1 2021 e non solo. Ma la critica andrebbe estesa a tutto il processo decisionale apparso ancora una volta fallace.

Se il Belgio, in occasione del GP fantasma, le colpe ricadono tutte su Masi che arbitrariamente stabilisce di ratificare una messinscena da teatro dell’orrido, in Arabia Saudita è in buona compagnia nel creare un minestrone indigesto di cui si parlerà molto a lungo e che, come Spa Franchorchamps, potrebbe pesare come un macigno nell’assegnazione del titolo iridato.


F1-Autore: Diego Catalano – @diegocat1977

Foto: Mercedes AMG F1

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4 Commenti

  1. Gentilissimo Diego, non mi illuderei molto. A Spa è stato probabilmente obbligato a comportarsi in quel modo, lo definirei più una pedina che un protagonista… Il copione improvvisato messo in scena a Jeddah funziona benissimo per gli autori di Netflix, è oro colato!!! Non illudiamoci…

  2. Mi permetto di osservare un aspetto dell’incidente di Hamilton con Verstappen. Nessuno ha ancora evidenziato che il tamponamento è da considerarsi un errore di Lewis: come lei giustamente osserva, accortosi del rallentamento del rivale, cincischia con l’acceleratore e il freno, ma perde l’attimo e lo tampona, quindi sbaglia. Deve ringraziare la fortuna o i suoi santi se non ha distrutto l’ala, in quel caso avrebbe perso gara e mondiale.

    • Sposo il tuo punto di vista. Masi fa e deve fare gli interessi della proprietà americana che evidentemente trae molti benefici da una gestione siffatta.

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