F1 e coerenza. Due concetti che non sempre si coniugano. È notizia di qualche giorno fa quella che vuole i vertici della categoria, ossia Liberty Media, impegnati a redigere il divieto delle esibizioni della pattuglie acrobatiche in tutti i Gran Premi. A partire già della prossima stagione che scatterà tra meno di due mesi, in Bahrein.
Una notizia che ha preso a volteggiare come un aereo che descrive traiettorie ardite ma che non ha ancora i crismi dell’ufficialità. Quindi qualche margine non misurabile di manovra è possibile. Fosse confermata l’indicazione, non vedremmo più le gloriose Frecce Tricolori a Imola ed a Monza. Né osserveremmo gli aeromobili della Royal Force, altra iconica pattuglia, il cui volo nei cieli di Silverstone era una tradizione consolidata del Gran Premio di Gran Bretagna.
Perché si sta pensando a questo stop che avrebbe del clamoroso e che indebolirebbe ulteriormente quel muro della tradizione che la nuova proprietà americana sta “spicchettando” con una maniacalità che ha del patologico? Ecosostenibilità. Questo è il principio alla base del possibile “ban”.
Il rispetto dell’ambiente in una categoria che – ed è iniziativa assolutamente lodevole – si è prefissa l’obiettivo zero emissioni entro il 2030. In quest’ottica, ve ne abbiamo parlato in diversi focus dalla colonne di Formula Uno Analisi Tecnica, sarà introdotta una nuova composizione di carburante: un ibrido fossile – etanolo al 10% alimenterà i V6 turbo-ibridi.
Proporzioni che negli anni dovranno essere ribaltate per affrancarsi del tutto dal tradizionale petrolio proprio per arrivare all’abbattimento totale delle emissioni di CO2. Non solo. Questo “spirito green” si dispiega anche in politiche mirate alla riduzione dell’utilizzo della plastica all’interno dei paddock con l’annessa volontà di imporre involucri biocompatibili, riciclabili o al più riutilizzabili.
Bene. Il mondo è in sofferenza e puntare alla salvaguardia dello stesso è una priorità. E lo sostengo in maniera pienamente convinta. Ma quel che stona è l’incoerenza di cui all’incipit. Vero che certe mutazioni filosofiche si ottengono anche con dei segnali estetici che hanno più valore mediatico che effetti concreti, ma stavolta si sta esagerando. 23 gare. Che negli anni potrebbero diventare 25. E chissà quante altre in un futuro che non posso né voglio teorizzare.
Sapete cosa c’è dietro la F1, no? Immaginante quanti camion, mezzi, aerei, navi, muletti e chi più ne ha più ne metta servono per muovere in tutto il mondo quantità enormi di merci e di persone? Cos’è il librarsi nel cielo di pochi secondi di una pattuglia acrobatica confrontata alle ore di volo di migliaia di aeromobili che servono per spostare il Circus dal punto A al punto B per poi andare al punto Z, passando per il punto G (non fate pensieri sconci), H, J, W e qualsiasi altra lettera vi soggiunge alla mente? Non posso quantificare la percentuale, ma siamo di certo allo zero virgola molti zeri e uno sparuto e solitario 1.
Io capisco, amici di Liberty Media, che volete dare un segnale forte, ma a tutto c’è un limite. Perché state erodendo le basi culturali e tradizionali di questo sport. Si possono mettere in campo sacrosante e necessarie politiche ecologiste senza scadere in divieti grotteschi ridicoli e, lasciatemelo dire, ipocriti. Nonché stupidi.
E mi spiego. Anno 2020. Test invernali di Barcellona. Chiunque abbia frequentato la sala stampa del Montmelò ricorderà due cose: il rumore del gruppo elettrogeno situato proprio sotto la balconata dalla quale si accede alla spazio dedicato ai media e l’odore sgradevole del diesel combusto che saturava l’aria ogni volta che la porta dello stanzone si apriva sotto il controllo del povero addetto al controllo dei pass stordito dai miasmi mortiferi. Ne parlo e naso e orecchie prendono a reclamare.
In vetrina si mette l’efficienza, la svolta green, la voglia di mostrarsi belli e migliori e basta girare l’angolo per trovare all’opera motori di filosofia superata che sputano fumo nero e consumano quantità immorali di carburante grezzo per produrre elettricità. Perché quella fornita dalle autorità catalane, evidentemente, non bastava per alimentare un carrozzone avido di elettroni.
Fossero finite qua le contraddizioni. La F1 si sta spostando sempre di più verso i grandi produttori di petrolio. Ci flirta, li coccola, li seduce e si fa ammaliare. Un uomo che sull’oro nero ha costruito le sue fortune ce l’abbiamo come presidente della FIA. Bin Sulayem è uno sceicco. È emitarino. Un Paese che ha nell’85% delle esportazioni il petrolio e annessi. Il motorsport ammicca a quelle zone perché sono sfacciatamente ricche e maledettamente attratte dal culto della velocità. E pagano. Aprono i cordoni della borse senza farsi scrupoli né problemi. Organizzano gare e si pongono come main sponsor della serie.
Saudi Aramco è uno di questi. Si tratta della compagnia nazionale saudita di idrocarburi che può vantare una produzione di più di 10 milioni di barili al giorno di greggio. 10 milioni di barili al giorno, avete letto bene. Saudi Aramco è tra le più grandi compagnie petrolifere al mondo nonché il più importante finanziatore del governo saudita visto che è posseduta quasi al 100% da quest’ultimo. Nel 2020 ha chiuso con un fatturato 229,9 miliardi di dollari. Nel 2020, quando la pandemia stava facendo crollare le certezze economiche della F1, è stata Aramco a salvare la stagione facendo una bella iniezione di liquidi in una categoria che stava agonizzando.
Vero è che le esibizioni delle pattuglie aree – torniamo or dunque all’inizio della questione – potrebbero essere vietate anche perché percepite come una dimostrazione della forza militare di una nazione, ma resta che la loro esistenza sia messa in discussione per ragioni ecologiche. Cosa incompatibile con la presenza di certi sponsor finanziatori. Cosa incompatibile con la necessità che la F1 ha di restare ancorata al petrolio. Stando così i fatti, cosa volete che siano pochi litri di cherosene per alimentare i motori a turbina delle squadre acrobatiche?
Basterebbe semplicemente mostrare un po’ di buon senso invece di ricorrere politiche nelle quali poco si crede. Si fa la guerra all’alcool e uno dei finanziatori della F1 è il più grande produttore di birra al mondo che si lava la coscienza pubblicizzando la bevanda a zero gradi. Una schifezza imbevibile quasi quanto la Red Bull che rappresenterà lo zero virgola qualcosa del fatturato globale della multinazionale della Stella Rossa. Si porta lo champagne Ferrari sul podio e lo si sostituisce con l’acqua di rose quando si è in paesi a vocazione islamica. Assurdità.
Ci si fa sponsor della tutela dei diritti umani e si flirta con il governo saudita che non rispetta i minimi standard riconosciuti dalla comunità internazionale sulla materia. E ci limitiamo a scrivere ciò perché questo articolo non vuole entrare nel merito di questioni ben più grandi, annose e gravi.
Un’incoerenza su tutta la linea che spesso è figlia dello spiccato moralismo di copertina insito al popolo americano. E che nessuno s’offenda se mi metto a stereotipare un po’. Signori, questi di Liberty Media sono coloro i quali, nel 2018, hanno vietato le “ombrelline” sulle griglie di partenza. Salvo poi fare qualche eccezione qua e là. Tra queste, contraddizione suprema, quella del GP di Austin. Texas, Stati Uniti. La patria di chi ha messo “la fatwa”. Illogico. E pure ridicolo.
La materia ecologica, in chiusura, è cosa molto seria. I cambiamenti climatici sono un fatto incontrovertibile. Contenere i gas nocivi prodotti dall’uomo è una politica che deve essere messa in cima alle agende dei singoli Stati e della comunità internazionale. Finora non abbiamo trovato mondi colonizzabili nella Via Lattea, per vivere ci resta solo la nostra amata ma bistrattata Terra.
Quindi va salvaguardata con ogni sforzo ed ogni politica attiva e reattiva. Che di certo non può realizzarsi nel divieto di volo di aerei da acrobazia durante un week end di gara di F1 a caso. Serve risolutezza, non provvedimenti spot che hanno il solo, negativo, effetto di mandare alla malora la tradizione consolidata di questo sport.
F1-Autore: Diego Catalano – @diegocat1977
Foto: F1, Mecedes AMG, Scuderia Ferrari