La F1 che cerca in maniera spasmodica l’equilibrio prestazionale potrebbe essa stessa determinare delle divergenze di performance insanabili nel medio periodo. Detta così sembra brutale, ma il rischio è concreto e dipende dalla maniera in cui sono state scritte le regole. E non ci riferiamo (solo) a quelle aerodinamiche, ma anche e soprattutto a quelle che investono la sfera motoristica.
E’ chiaro che potrebbero esservi uno o più team che interpretano meglio il nuovo corpus normativo acquisendo un vantaggio immediato e corposo sulla concorrenza. Ma la storia della F1 racconta che i guadagni sul frangente aerodinamico non durano a lungo. La capacità di reazione delle scuderie è grande e anche quando un singolo competitor ha trovato la soluzione geniale è certo che questa verrà replicata – e forse migliorata – nel giro di qualche mese. Ovviamente non si tratta di un regola scritta, ma l’esempio della Brawn GP del 2009 è emblematico.
La suddetta vettura, grazie al doppio diffusore, prese immediatamente il largo in classifica. Gli avversari, seppur spiazzati, reagirono con forza colmando il gap in mezzo campionato. Ciò non bastò per strappare il titolo a Jenson Button, ma la bianca monoposto non riuscì a portare fino al termine dell’annata il suo vantaggio cronometrico. Questo esempio per dimostrare che non bisognerà dare per scontato che un dato team che eventualmente emerge nelle prime gare possa poi fare da lepre per 23 appuntamenti.
Ciò che potrebbe mantenere aperta la forbice prestazionale è il congelamento negli sviluppi delle power unit. Non un inedito assoluto per la F1 che si trovò a fronteggiare un simile scenario nelle ultime stagioni dei V8 aspirati da 2,4 litri. Ma all’epoca si poteva osservare una sostanziale parità – o quanto meno una marcata prossimità – nelle prestazioni dei vari propulsori presenti in griglia. Cosa che oggi non abbiamo.
E la cosa deriva soprattutto dall’architettura delle due diverse tipologie di propulsore. I V8 che imperversavano fino al 2013 era decisamente più semplici. I V6 odierni sono molto più complessi e aprono a diverse interpretazioni filosofiche che, è una normale conseguenza, possono produrre sensibili differenze di potenza a seconda del motorista.
Tutti i quattro costruttori presenti nel paddock hanno accettato che le norme tecniche subissero un congelamento dal 2022 al 2025. Se diamo uno sguardo all’anno scorso vediamo che Mercedes e Honda erano decisamente davanti a Ferrari e Renault. Motivo per il quale baseranno i loro progetti 2022-2025 sulle certezze espresse nel 2021: solidità e poco scadimento prestazionale in base ai km per Honda e potenza pura per quanto riguarda Mercedes che lavora per affinare l’affidabilità specie quando la power unit diventa più datata.
Al momento sono il Cavallino Rampante e la Losanga a dover effettuare un recupero tale da evitare di risultare attardate per ben quattro stagioni. A Maranello lo sanno e l’anno scorso, in Russia, hanno portato una nuova parte ibrida che sarà la base di quella 2022. Per il resto l’ICE sarà profondamente rinnovato e non solo per rispondere alle esigenze scaturenti dai biocarburanti E10 che dovrebbero, da soli, produrre una perdita di una ventina di cavalli. Anche in Renault si preannuncia uno sviluppo abbastanza drastico tanto da pensare che si possa parlare di power unit completamente rivista nei principi fondanti.
Sono queste ultime due aziende che rischiano di più perché devono operare i cambiamenti più massicci per stare al passo con Mercedes e Honda che, da par loro, non sono state con le mani in mano durante la pausa invernale. Per come sono conformate le unità di potenza turbo-ibride, un eventuale errore in una singola area può determinare effetti devastanti sul funzionamento dell’intero motore. Questo perché gli elementi sono strettamente correlati ed ognuno contribuisce al funzionamento dell’altro.
Il regolamento incatenato non offre margini di manovra se una data parte è stata mal progettata e risulta inefficace. Esiste un solo metodo per correggere eventuali problemi di un motore: “giocare” sull’affidabilità. Il regolamento sportivo prevede che un motorista possa chiedere alla FIA di apportare modifiche agli elementi del propulsore omologato ai soli fini di affidabilità, sicurezza, risparmio, installazione della vettura e problemi di alimentazione.
In questi ambiti si potrebbero avere degli spiragli per eventuali correzioni. Ma viene da sé che non sarebbe facile riprogettare un componente che non si rompe ma che non genera prestazioni di buon livello. Come giustificare la richiesta di omologazione di una parte nuova?
L’unica, remota, strada da percorrere sarebbe quella della riscrittura regolamentare. Se, per caso, si acclarasse che le prestazioni di una data power unit sono talmente scadenti da tenerla fuori dai giochi si potrebbe pensare di offrire la possibilità a quel costruttore di avere sviluppi liberi. Una cosa che certamente necessiterebbe dell’avallo di tutte le parti in causa e che potrebbe generare non poche polemiche in un contesto, quello della F1, in cui il buon senso non la fa da padrone.
Regole sui motori così stringenti potrebbero dunque essere un pericoloso boomerang per l’intera categoria. La speranza è che nessuno dei quattro costruttori abbia fatto scelte tecniche errate e che le distanze tra i V6 montati sulle venti vetture siano tanto limitate da non risultare penalizzanti. Un deficit di grandi proporzioni potrebbe non essere recuperabile in quattro anni. Condizione che metterebbe alcuni team in una situazione di inferiorità sportiva senza precedenti.
F1-Autore: Diego Catalano– @diegocat1977
Foto: F1, Renault, Red Bull Racing, Ferrari