F1 – Due mesi. Tanto è durato il silenzio di un Lewis Hamilton rimasto evidentemente scottato dopo gli accadimento di Abu Dhabi. Il sette volte iridato è tornato a parlare a margine della presentazione della Mercedes W13 e, da quel momento, non ha lesinato esternazioni. Tra i tanti temi toccati non poteva mancare qualche riferimento al controverso processo decisionale di Yas Marina.
Nulla di eccessivamente polemico, sia chiaro. L’inglese ha mostrato un tono piuttosto pacifico, come a voler superare una fase delicata dalla quale sono scaturite profonde riflessioni che non hanno però scalfito la sua voglia di ritornare in pista e di provare a conquistare quell’ottavo titolo sfuggito per pochi metri.
Più pepate, invece, sono stati alcuni pareri espressi sui commissari di gara: “Dobbiamo assicurarci di avere degli steward imparziali perché certi piloti sono molto amici di alcune persone. Viaggiano con loro e tendono a provare una maggiore simpatia. Ritengo che abbiamo bisogno di persone che non abbiano pregiudizi e siano super partes quando si tratta di prendere decisioni. Vorrei anche vedere più donne nella stanza degli commissari. Sarebbe un ottimo modo per promuovere la diversità”.
Parole di chi evidentemente è ancora provato. Parole che però non erano dirette al grande accusato, ossia quel Michael Masi rimosso prontamente dal Ben Sulayem dopo la gestione, a questo punto ritenuta errata dalla stessa FIA, dei momenti topici del GP di Yas Marina di metà dicembre. Le affermazioni del britannico hanno un target diverso e forse si riferiscono ad episodi come quelli di Jeddah e di San Paolo in cui è stato il collegio giudicante il protagonista di scelte forse non pienamente condivise.
Frasi ad effetto, non certo leggere, che Toto Wolff ha inteso stigmatizzare in un ecumenismo pacificatorio che da qualche tempo caratterizza il modus operandi dell’astuto manager austriaco: “Penso che ci sia bisogno di professionalità nella stanza degli steward. Non credo che ci sia un pregiudizio cosciente. Ritengo che nel collegio dei commissari ci siano delle persone molto brave su cui possiamo contare“.
Hamilton e Wolff, su questa materia assai spinosa, sono su di piani al momento non intersecabili. Forse la differenza sta nel fatto che il team principal e co-proprietario di Mercedes AMG F1, durante l’inverno, si è costantemente relazionato con gli altri colleghi e con le autorità del motorsport avendo garanzie su una linea di condotta interpretativa finalmente unificata e coerente. Un qualcosa che può concretizzarsi grazie a regole meglio scritte ed a strumenti innovativi come la sala VAR che sarà un preziosissimo supporto per chi dovrà stabilire colpevoli e pene in pochi istanti.
E’ proprio Wolff che lascia intendere questa differenza conoscitiva quando afferma che “[…] Le regole sono le regole e, considerando che è tutto in fase di ristrutturazione, ho fiducia nel presidente Mohammed Ben Sulayem che sta ottimizzando tutte queste strutture“.
La sensazione è che si proprio il dirigente emiratino il grande architetto, l’equilibratore tra istanze assai divergenti come quelle manifeste da Red Bull e quelle di cui si fa latore il mondo Mercedes. Soggetti che non sono gli unici interessati visto che vi sono altri otto team che non possono essere ritenuti dei semplici sparring partner.
La FIA sta dando dimostrazione di voler ristrutturare seriamente il processo di “decision making” della F1 e per questo ha fatto scelte tanto dure quanto risolute. Hamilton parla ancora da uomo amareggiato che deve ricostruire la fiducia verso chi, nella sua visione delle cose, gli ha tolto un mondiale praticamente vinto.
Dall’altro lato c’è Toto Wolff che, con le sue osservazioni e con quelle dei suoi colleghi, ha contribuito a creare un contesto più solido di quello esistente sotto la guida di Jean Todt. Sarà, come sempre, la prassi a dire se questa riscrittura globale avrà dato i suoi frutti. C’è da augurarselo.
F1-Autore: Diego Catalano– @diegocat1977
Foto: F1, Mercedes AMG F1