domenica, Dicembre 22, 2024

F1 2022: l’handling delle nuove vetture cancellerà i problemi del recente passato?

Sono giorni febbrili per la F1. Le presentazioni delle nuove monoposto si susseguono con grande intensità. Sinora sei sono le auto che si sono mostrate. All’appella mancano la Red Bull, di cui abbiamo visto solo la livrea, la Ferrari che domani vedrà sfilar via i veli dalla F1-75, la Mercedes campione del mondo che apprezzeremo venerdì e, a chiudere il giro, l‘Alpine di Esteban Ocon e di Fernando Alonso che osserveremo il 21 di febbraio, poco prima dell’inizio dei test spagnoli.

Siamo tutti più o meno concentrati sulla nuova era tecnica imposta da un regolamento che ha riportato al centro del discorso aerodinamico l’effetto suolo a scapito della generazione del carico tramite le ali e la parte superiore del fondo. Abbiamo potuto verificare che gli ingegneri hanno adottato, sinora, diverse filosofie per provare a massimizzare i benefici di un cambiamento che non facciamo fatica a definire epocale.

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La Williams FW44 in azione nel primo shake down a Silverstone

Avere una rimodulazione così massiccia non deve farci pensare che nel passato le F1 non abbiano seguito una parabola evolutiva altrettanto importante tale da costringere i piloti a rivedere le modalità con le quali affrontavano l’asfalto. Di queste dinamiche ha parlato Robert Kubica, un conducente che ha attraversato diverse ere tecniche e che ha “domato” sia i motori aspirati, alla fine del loro ciclo evolutivo, sia le power unit contemporanee che pretendono altre caratteristiche di pilotaggio e di gestione.

Il pilota polacco, confrontando le vetture del periodo 2007-2010 a quelle che ha potuto saggiare fino al 2021, ha osservato quelli che sono gli elementi che marcano una differenza sostanziale tra ere: peso della monoposto, propulsore, gomme e dimensione totale della macchina. Quattro elementi che, mixati, producono un genere di sfida del tutto diverso da quella che si affrontava quando si è affacciato alla massima categoria del motorsport.

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il britannico Lewis Hamilton a bordo della sua McLaren MP4/23 durante la stagione 2008

Le auto moderne, ha spiegato l’ex BMW in un’intervista ai colleghi di AMuS, sono enormi rispetto a quelle della fine degli anni 2000. Cosa che ha portato ad avere più superfici aerodinamiche e, di conseguenza, più spinta verticale. L’aderenza extra dell’aerodinamica è stata in grado di compensare l’aumento di peso. Che è stato considerevole visto che si è passati da 605 a 752 kg negli negli ultimi tre lustri.

Un tale incremento, seppur graduale, ha ovviamente prodotto effetti sensibili sulla guida. Kubica, che è stato lontano dalla F1 per l’incidente occorsogli durante una gara di rally, non ha potuto gestire questa gradualità. Fermatosi nel 2012, ha ripreso le ruote scoperte nel 2017 quando il balzo di peso era stato molto importante. Guidare in quel contesto è stato uno shock per il polacco che ha faticato ad adattarsi. L’auto, ha spiegato, reagiva più lentamente nelle curve lente. Si aveva l’impressione di passare da una macchina piccola ad una più grande, goffa.

Ma differenza più evidente è quella relativa all’inerzia, a cosa fa la monoposto quando perde aderenza. A quanto è più facile o difficile costringere l’auto a tornare nella sua traiettoria ideale. Le F1 del passato assecondavano di più i movimenti del volante, erano più reattive e maneggevoli. Oggi, ha spiegato l’ex Williams, è più difficile “maneggiare” l’uscita dalla traiettoria. La macchina risponde peggio. Una considerazione che smentisce una vulgata abbastanza comune secondo cui le Formula Uno odierne sono “giocattoli” che vanno su binari immaginari. Forse, forzando il concetto, è vero. Ma quando ne escono la situazione si fa molto complessa.

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Sebastian Vettel (Aston Martin Cognizant F1 Team)

Auto diverse per una gestione di gara diversa. Kubica dice lo scopo è sempre quello di coprire la distanza del Gran Premio nel minor tempo possibile. Evidenza alla quale si arriva percorrendo sentieri dissimili. Alla fine degli anni Duemila bisognava fare 60 giri da qualifica. Non si gestiva il mezzo, si pilotava sempre a pieno regime.

Ora l’approccio è mutato: rallentare in maniera intenzionale non è semplice perché bisogna tener d’occhio una serie di parametri che prima si ignoravano quasi del tutto: carburante, protezione degli pneumatici, gestione della potenza del motore e così via. Non che un modello sia più semplice dell’altro: entrambi presentano delle difficoltà peculiari per le quali è impossibile sostenere che un’era tecnica offra sfide più complesse di un’altra.

Le gomme, negli anni, sono divenute un punto focale nell’interlocuzione tra pilota e ingegneri perché devono resistere molto di più. La gestione dello pneumatico assume un carattere decisivo in gara. Ma anche in qualifica dove non è possibile guidare al massimo nel primo settore perché la cosa determinerebbe il crollo prestazionale nell’ultimo “T”. Kubica è arrivato a dire che, in un ottica di massima performance cronometrica, è meglio perdere due o tre decimi nel primo intertempo per guadagnare un secondo nell’ultimo. Apparenti contraddizioni che inverso si basano su una logica ben precisa.

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Uno scatto dell’ultima specifica della power unit italiana, dotata della nuova tecnologia ibrida che verrà implementata nella versione 2022

Tra le differenze principali tra epoche tecniche vi è quella relativa ai motori. V8 aspirati da 750 cv contro V6 turbo-ibridi che hanno sfondato la soglia dei 1000 cv. Una disomogeneità lampante che implica tante diversità d’approccio. Ecco il pensiero di Kubica: “Sì, sentirai più coppia per via del turbo e del motore elettrico. L’auto reagisce in modo completamente diverso al pedale dell’acceleratore“.

Anche all’interno della stessa era ibrida, ha detto il pilota di riserva Alfa Romeo ad AMuS, c’è stata una significativa evoluzione nell’erogazione della potenza. Nel primo anno dell’era elettrica-combustione la macchine erano “follemente” veloci sui rettilinei e “terribilmente” lente in curva.

Ciò supporta un evidenza piuttosto inconfutabile: in otto anni le power unit hanno fatto passi da gigante. Ovviamente supportate da un contesto aerodinamico e meccanico che si è adeguato alla pinguedine di cavalli di questi gioielli di tecnica sprigionano. Perché è bene ricordare che dal 2014 si sono susseguiti molti cambi regolamentari. Quindi ridurre il dominio Mercedes a semplici questioni motoristiche è decisamente errato.

Naturalmente, tra i progressi fatti in queste stagioni, anche la frenata ha subito una drastica evoluzione. Una volta il sistema era più convenzionale. Oggi c’è un software che fa da filtro e che rallenta l’asse posteriore. Siamo dinnanzi ad un mix di freno meccanico e freno motore quando il sistema è in modalità di ricarica. Inoltre, attualmente, è possibile “giocare” maggiormente col brake balance.

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Sistema frenante Mercedes 2019

Abbiamo ampiamente raccontato che il cambio regolamentare voluto dai vertici di Liberty Media deve produrre vetture meno sensibili all’aria sporca. Un obiettivo da centrare per evitare il verificarsi ulteriore di uno dei problemi che attanagliavano le monoposto che hanno girato fino all’anno scorso. Kubica ha spiegato come una vettura in scia perda fatalmente carico aerodinamico andando a modificare tutto l’equilibrio. Le auto già sono iper-sensibili al vento, figuriamoci quando smarriscono il 70% di downforce seguendo un’altra F1.

Su questo versante il pilota ha svelato un trucchetto malizioso che gli ingegneri pongono in atto: quando i progettisti hanno due pacchetti aerodinamici simili in termini di tempi sul giro tendono sempre a puntare su quello che emette più turbolenza. Una mossa strategica per mettere in difficoltà l’avversario che dovrà seguire in gara. Un fatto che spiega quanto la gestione dei flussi che passano sopra al corpo vettura fosse diventata estrema. Da qui il giro di vite della FIA che, attenzione, potrebbe non bastare come vi abbiamo riferito in passato (leggi per approfondire).

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Una cosa si è semplificata rispetto al passato: l’individuazione del giusto setup. Quando l’auto arriva al circuito la maggior parte del lavoro è già fatto. Non si opera nei turni di libere per rendere la vettura più veloce, ma per ottimizzare quanto è stato deliberato in fabbrica, al simulatore.

Questa considerazione conclusiva spiega quanto la F1 abbia spostato il suo range operativo dalla pista alla sfera virtuale. Ecco perché i team hanno investito – e continuano a farlo – in tecnologie simulative. La differenza, oggigiorno, si fa anche e soprattutto grazie a sistemi computazionali all’avanguardia e ad uomini che li sappiano settare nella maniera più efficace.

Robert Kubica ha offerto una lucida fotografia di cosa sia oggi la F1 e di quali siano gli strumenti necessari per capirla e, di conseguenza, estrarre il massimo del potenziale. Uno sport che cambia molto rapidamente ma che lascia costanti alcuni elementi basici. La ricerca tecnica, la facoltà di interpretare i regolamenti e la capacità di gestire strutture sempre più complesse sono quei fattori che hanno fatto, fanno e faranno la differenza. Sempre.


F1-Autore: Diego Catalano – @diegocat1977

Foto: F1, Scuderia Ferrari, Mercedes AMG F1, Aston Martin, McLaren, Williams

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