F1 – Non è semplice parlare di sport quando un Paese si trova a doversi difendere da un attacco militare violentissimo e che fatichiamo a capire pur cercando di analizzarne le cause scatenanti. Non è questa la sede per una dissertazione sulle Relazioni Internazionali, quindi eviteremo di impelagarci in teorie e tecnicismi tipici delle scienze diplomatiche. Il mondo dello sport, in generale, e del motorsport, in particolare, si sta interrogando in questi giorni su come reagire ad un momento così particolare da avere pochi precedenti cui appellarsi.
La Russia sta subendo diverse limitazioni dalla comunità internazionale. Mosse atte a farla desistere dal proseguimento di un’azione militare che sta mietendo vittime innocenti causate da pratiche che deviano dalle norme basilari del diritto di guerra. Perché anche i conflitti, seppur marci come filosofia legittimante, hanno un’etica da rispettare. O dovrebbero averla. La F1, adeguandosi ad altri mondi, ha reagito dopo pochi giorni dall’inizio delle ostilità.
Martedì, in serata, la FIA ha comunicato le sue decisioni provando a tutelare i piloti che, a meno di pubbliche esternazioni di continuità al governo del Cremlino, non possono essere ritenuti corresponsabili delle azioni di Vladimir Putin. Per sommi capi, l’ente di Place de la Concorde ha deciso che tutto ciò che è riconducibile alla Russia sarà bandito.
Il GP di Sochi di F1 è stato ufficialmente cancellato. Gli sponsor provenienti da quell’area sono stati rimossi. Così come i funzionari federali. I driver potranno continuare a correre a patto che lo facciano con nazionalità neutrale. Un espediente per permettere a Nikita Mazepin di non lasciare il volante della Haas. Cosa che potrebbe comunque accadere visto che lo sponsor Ulralkali di proprietà di papà Dmitrij non potrà più garantire il supporto finanziario al team statunitense che sta vagliando una rosa di possibili sostituti. Tra cui Antonio Giovinazzi.
Quella di Ben Sulayem era una posizione di compromesso. Dura ma non durissima. Escludente ma non totalizzante. Una mossa che rispondeva alle legittime lamentale espresse da chi si sentiva ingiustamente penalizzato. Come Daniil Kvyat che si era fatto portavoce delle istanze dei piloti russi che corrono anche nelle altre competizioni organizzate sotto l’egida federale. Tutto sembrava definito finché non è intervenuta una novità che rischia di far saltare il banco creando un precedente che anche altri Paesi, a cascata, potrebbero seguire.
L’organo di governo del motorsport britannico, evidentemente supportato dal governo Johnson, ha vietato ai titolari di licenza russa di gareggiare nel Regno Unito. Dopo poche ore, anticipando quell’effetto domino di cui sopra, anche la Finlandia ha manifestato la stessa intenzione. Che è lecita perché il diritto di uno stato sovrano è fonte normativa più alta delle note organizzative di un’ente privato quale è la FIA. La mossa dei due Stati è contraria alla posizione della Federazione e di fatto estromette Mazepin dal GP di Silverstone di F1 che si terrà domenica 3 luglio. Cosa che rende ulteriormente pericolante la sua già traballante posizione.
Nello stile non di certo ammirevole che la Russia sta mostrando in queste ultime settimane, la reazione non poteva che essere pesante. Ma stavolta c’è poco da fare perché non c’è Kalashnikov che tenga per far desistere gli inglesi dai loro propositi. Per onor di cronaca ecco alcuni passaggi salienti della nota dell’ente automobilistico del paese euro-asiatico: “La Federazione Automobilistica Russa (FAR) ha considerato l’eventuale decisione di escludere gli atleti russi dalla partecipazione alle competizioni come discriminatoria e contraria allo statuto della FIA. Che, al paragrafo 1.2, afferma di promuovere la protezione dei diritti umani e della dignità umana e di non discriminare per motivi di razza, colore, sesso, orientamento sessuale, origine etnica o sociale, lingua, religione, opinioni filosofiche o politiche, stato civile o disabilità nelle sue attività. La FAR ritiene che tutti gli organismi sportivi, compresi la RAF e la FIA, devono assumere una posizione neutrale su queste questioni, concentrarsi sulle prestazioni e non usarle come strumento di pressione politica“.
Verrebbe da dire che nella lista dei diritti di cui all’articolo 1.2 manca il motivo per il quale la federazione automobilistica britannica ha deciso di estromettere i piloti russi. Una questione di diritto e di regole interne che potrebbe avere degli strascichi nei tribunali preposti ma che difficilmente vedrà la soddisfazione dell’istanza presentata dal FAR. Estromettere i driver russi è evidentemente un tentativo imporre una sorta di deterrenza ulteriore in un quadro diplomatico mutevole. Morbida, non risolutiva, ma che forse fa presa su quella parte di cittadinanza che avversa Putin e che, per un’azione scriteriata di quest’ultimo, si trova a non poter seguire i propri idoli.
L’unica, flebile, speranza di rimettere i conducenti nati sotto la bandiera bianca blu e rossa è quella che riconduce alle loro licenze. Se ottenute in altri paesi potrebbero ancora sperare di correre aggirando il ban. Roba da esperti di diritto sportivo che, in queste ore, saranno all’opera per sciogliere questo nodo gordiano.
I piloti si trovano nel bel mezzo di una guerra a distanza che cerca di fermare, per ora vanamente, il conflitto vero. Quello fatto di bombe, di devastazione, di cadaveri. Chi è chiamato a calarsi nell’abitacolo ora gioca il ruolo della pedina di uno scacchiere vastissimo di cui non si riescono a cogliere i confini e le dinamiche di funzionamento. Ecco perché ogni punto di vista, sia quello dei conducenti che quello dei politici del motorsport (e non), è legittimo ed al contempo sbagliato. Perché ogni guerra è un errore concettuale. E in questo scenario la razionalità, ahinoi, non trova spazio.
F1-Autore: Diego Catalano– @diegocat1977
Foto: F1, Haas