F1 – Seconda parte dell’intervento di Leo Turrini nella video-rubrica curata da Marco Santini e Beatrice Zamuner per FormulaUnoAnalisiTecnica. Nella prima sezione (che potete recuperare qui) il giornalista si è concentrato maggiormente sulla sfera sportiva, ora vi riportiamo le sue brillanti considerazioni circa la politica del motorsport e sul ruolo giocato da Maranello e dagli altri competitor all’interno del Circus iridato.
Partiamo dalla strettissima attualità. Oggi, in Bahrain, è prevista una riunione dei delegati tecnici della FIA coi responsabili dei team in cui si discuterà della maniera in cui alcune squadre hanno affrontato il regolamento 2022. All’ordine del giorno ci sarà anche l’interpretazione del supporto degli specchietti della Mercedes W13 che Ferrari ritiene non essere in linea con lo spirito delle norme.
“Anni fa – ha spiegato il giornalista di Sassuolo – la Ferrari aveva escogitato qualcosa di simile mettendo i retrovisori in una posizione tale da sfruttare dei vantaggi aerodinamici. Ma, dopo un paio di gare, la FIA emise una direttiva che diceva che gli specchietti dovevano influire sull’efficienza aerodinamica della macchina ma non in maniera determinante ma solo in via incidentale. Se questa era la linea della Federazione mi aspetto che facciano cambiare alla Mercedes la configurazione degli specchietti così come li abbiamo vista in Bahrain la settimana scorsa. Ovviamente va verificato se il sistema offre degli effettivi vantaggi“.
Argomento interessante toccato nella terza puntata stagionale di Spit Stop è quello relativo al potere politico della Ferrari. Un’autorevolezza che Maranello ha smarrito negli anni e che conta di ritrovare con una gestione più efficace della sua posizione in seno al grande carrozzone della F1. Stuzzicanti, come sempre, gli spunti offerti da Turrini:
“La Rossa ha avuto un lungo periodo in cui esercitava una sorta di carisma. Parliamo dell’era Jean Todt e di Luca Cordero Di Motezemolo. Le decisioni che vennero prese sul terzo pedale McLaren e sul berillio nei motori Mercedes erano state sempre più che favorevoli alle istanze del Cavallino. E questo spiega quale peso avesse Maranello in FIA. Poi le cose sono andate avanti fino ad arrivare al giudizio dei complottisti di Facebook secondo cui la Mercedes avrebbe vinto perché le hanno costruito regole ad hoc; che Todt doveva fare il vendicatore vietandolo perché veniva da Maranello. Magari qualcosa di vero c’è stato ma non si spiega un dominio di quasi dieci anni con le cospirazioni“.
“Ciò che sarebbe importante – ha proseguito il giornalista di lungo corso – è che la Ferrari riesca a far pesare di più quella che è la propria tradizione, il proprio ruolo nella storia della F1. Perché negli ultimi 10 anni, quando ha governato Todt (in FIA, nda), si è avuta l’impressione che le riserve e le perplessità che arrivavano da Maranello venissero liquidate in maniera abbastanza sbrigativa. Quello che è indispensabile è che ci sia, a livello federale, un rispetto assoluto della trasparenza. Ciò che non va bene è l’idea che ci sia un black channel. Questa è la grande colpa di Todt che aveva già iniziato ad agire così quando era in Ferrari. Perché, ad esempio, l’idea di non fare reclamo ma di fare richieste di chiarimento l’ha inventata Todt quando era nel team italiano ai tempi di Schumacher. Era un modo per sollevare la questione senza andare al fondo. Non va bene ora, non andava bene ai tempi della Ferrari. Servirebbe una linea molto chiara da parte di chi gestisce la governance della F1. Mi rifiuto di credere che sia impossibile operare così.
A proposito di governance, di politica e di gestione del motorsport, Turrini ha dato una chiave di lettura molto interessante sul processo che ha portando all’elezione un presidente emiratino: “Credo che sia scattato il rifiuto a Todt che appoggiava un altro candidato. Probabilmente nel suo mandato ha infastidito qualcuno dei grandi elettori perché si è fatto quadrato attorno all’uomo che viene dal Golfo Persico. E’ stata una sconfitta politica molto pesante per Jean Todt. Forse anche per questo è rimasta in stand by l’ipotesi di un ritorno di Todt in Ferrari come consulente. Essendo stato battuto il suo candidato dubito che la presenza di Todt a Maranello potesse favorire un recupero della centralità politica dell’azienda di italiana“.
Da qui una valutazione di ampio spettro sull’apporto che dei consulenti più o meno interni possono dare ad una compagine di F1: “Credo che si debbano fare dei distinguo. Lauda non era un advisor, bensì il presidente della scuderia. Zetsche lo volle per mettergli in mano l’indirizzo delle line guida che il team doveva seguire. E’ un fatto dimostrato che fu Lauda a volere Hamilton. Bisogna smetterla con questa, questa cavolata (è stato un altro il termine utilizzato) di Mercedes che si è scritta il regolamento (idea di Ecclestone che viene definito “suonato”, nda).
“Lewis non voleva andarci in Mercedes alla fine del 2012. Tutti scrissero che stava facendo una scelta folle, che si sarebbe buttato via rovinando la sua carriera. E’ stato Lauda col suo carisma e la sua storia a convincerlo e non quella barzelletta dei regolamenti scritti ad hoc. Lauda ha convinto Lewis con un progetto. Niki non era quindi un consulente. Lo era Prost e lo stesso Lauda in Ferrari all’inizio degli anni ’90 quando arrivò Montezemolo“.
“Questo tipo di figure non servono. Sono inutili quelle persone – ha proseguito Turrini – che prendono un gettone e poi non sono addentrate nelle questioni della squadra. Todt non può pensare di tornare a lavorare a Maranello per 14 ore al giorno data l’età. Il suo reintegro avrebbe senso solo con un ruolo operativo, se venisse realmente esercita una funzione. Ma poi, alla fine, le macchine da corsa le fanno i progettisti. La Red Bull vince non per Marko ma per Adrian Newey. I manager servono ad altro. Tipo Horner che fa l’accordo con la Honda “sfanculata” da Alonso in McLaren. Mercedes ha vinto non per queste storie dei regolamenti scritti per sé ma perché prende i tecnici bravi.
“Prima che arrivasse Hamilton hanno preso Aldo Costa genialmente licenziato da Montezemolo. Poi Sergio Marchionne ha licenziato Allison e loro l’hanno preso. Così come Lorenzo Sassi. Elkann ha lasciato a casa Tortora e loro l’hanno preso. La F1 è un lavoro di squadra in cui le competenze migliori devono essere messe in condizioni di lavorare bene. E’ come alla Red Bull adesso che ha voluto una Honda arrabbiata dopo l’esperienza McLaren, che ha Newey e che può contare su un fenomeno come Verstappen. Non si inventa nulla“.
Sulla possibilità che le nuove regole tecnico-finanziarie possano produrre un effettivo rimescolamento di valori Turrini è perentorio: “Nel mondo dei sogni vorremmo avere un mondiale con 6-7 scuderie capaci di vincere delle gare. Chi conosce la storia sa che non è così perché entrano in gioco le risorse, la strutture, le possibilità di far lavorare bene le maestranze. Quello che dovremo capire, sin dal Bahrain, è se la rivoluzione avrà centrato il suo obiettivo. Da un lato il rendere più vicine le macchine agendo sulla tecnica. Dall’altro sul budget cap che non so da chi sarà rispettato né da chi sarà controllato. Se ci sono riusciti o meno lo vediamo in pista.
“La storia dei sorpassi e dei duelli dura dagli anni ’70. Non è che la F1 è diventata noiosa negli ultimi dieci anni. Negli anni ’80 c’erano i trenini, quando vinceva Schumacher, tre gare su quattro erano di una noia pazzesca perché la Ferrari era talmente superiore perché dopo due curve scappava via. Con queste regole tecniche e finanziarie si vuole livellare il campo, si cerca di fare in modo che ci possano essere più macchine che possano pensare di vincere delle corse. Non so se ci sono riusciti. Vediamo domenica.
Ecco il video completo della trasmissione Pit Stop con ospite Leo Turrini.
F1-Autore: Diego Catalano – @diegocat1977
Foto: F1, Mercedes AMG F1
Gran bell´ articolo.
Grazie mille. Merito di chi era in trasmissione ????