F1 – Disagio. Questa è la sensazione che stanno provando in Mercedes dopo otto anni di trionfi senza soluzione di continuità. Una striscia record i cui semi erano stati piantati due stagioni prima. Esattamente dieci anni fa. Era il quindici aprile 2012 quando Nico Rosberg, a bordo della W03, ottenne la sua prima vittoria in F1 e soprattutto portò al trionfo una vettura della Stella a tre Punte dopo un digiuno che durava dal Gran premio d’Italia del 1955.
Parlare di titolo mondiale dopo aver osservato le prestazione offerte dalla W13 sembra una bestemmia in un luogo di culto. Due podi, uno con Hamilton a Sakhir e l’altro con Russell in Australia, che non fotografano il reale valore tecnico di una vettura tenuta a galla dalla grande affidabilità.
Quel valore sul quale la Red Bull non può contare e che sta continuando a regalare punti alla concorrenza. Ma prima o poi le gentili offerte di Milton Keynes termineranno e quei secondi posti in entrambe le classifiche potrebbero tramutarsi in qualcosa a cui gli esponenti di Brackley non sono abituati.
Proprio perché non v’è più l’assuefazione alle parti meno nobili della graduatoria, “i grigi” non perdono le speranze iridate. Illusione? Forse. Fatto sta che, almeno a parole, il grido di battaglia si inizia risuonare forte. Nonostante una macchina saltellante, nonostante una Ferrari che sembra correre nell’iperspazio sciorinando prestazioni che delineano una schiacciante superiorità (leggi qui). L’atto di forza di Charles Leclerc all’Albert Park è un segnale molto forte lanciato al campionato.
Ma quante sono le possibilità della Mercedes di vincere il mondiale? Realisticamente pochine. Lo ha ammesso lo stesso Toto Wolff che, d’un tratto, ha però acceso la lampadina della speranza rimettendo tutto in discussione facendo traballare certezze che andavano sedimentandosi dopo le prime tre gare stagionali.
Il team principal viennese ha ammesso che la compagine che dirige vive un momento di difficoltà in cui il ritardo tecnico è palese. Tanto da fargli ritenere che, al momento, le possibilità di correre per il titolo sono al di sotto del 20%. Ma la F1 sa sorprendere e ciò che vale oggi potrebbe decadere domani. “Nelle corse automobilistiche può succedere di tutto. Le squadre possono non ottenere punti (ogni riferimento a Red Bull è chiaramente voluto) e se sblocchiamo il potenziale della macchina torniamo subito in gioco“.
Parole che nascondono l’esistenza di un piano operativo per il rientro in corsa? Semplice speranza? Sogni ad occhi aperti? Nulla che possiamo sapere. La verità è che Wolff continua a crederci. Forse è la storia recente che lo impone, forse è il non volersi abituare all’idea di mollare quando mancano 20 gare alla fine. Chissà. Toto crede, da ex pilota, che sia un sostanziale 40-60 sulle possibilità di assaporare ancora il dolce sapore della gloria. Il deficit pagato nelle prime tre tenzoni stagionali, che il manager individua in una media di sette decimi, fotograferebbe solo la situazione attuale.
I problemi odierni della F1 concepita dallo staff diretto da Mike Elliott sono ormai noti. Il porpoising è quello più in vetrina ma ce ne sono altri di minore entità che, sommati, determinano un quadro non proprio incoraggiante. Ma Wolff crede che, come avvenuto ad esempio l’anno scorso, il team sarà in grado, nello svilupparsi del campionato, di capire la macchia estraendo un potenziale che oggi resta ben celato dietro una cortina di difficoltà piuttosto spessa.
Quello del pompaggio non deve diventare l’oggetto esclusivo di ogni analisi. Altre macchine se soffrono tutt’ora senza che la prestazione ne risenta. La Ferrari F1-75 è l’esempio più lampante di convivenza con il fastidioso fenomeno. A Maranello sono riusciti ad incatenarlo anche grazie a sospensioni molto efficaci.
A Brackley stanno ancora lavorandoci ed ecco perché, domenica scorsa, Hamilton ha disputato la gara con un bel po’ di sensori a bordo per raccogliere dati che in questi momenti sono oggetto di analisi approfondite nei capannoni inglesi.
Proprio quello della correlazione dei dati simulatore – pista, uno dei punti di forza su cui Mercedes ha creato il suo imperio sportivo negli otto anni precedenti, sta generando qualche grattacapo di troppo agli ingegneri stellati che non sono stati in grado di fornire validi modelli analitici per prevedere e soprattutto per gestire il pompaggio aerodinamico prima che la macchina scendesse fattivamente in pista.
Problemi acuiti dalla scarsa possibilità di adoperare la galleria del vento e il CFD come il nuovo regolamento tecnico impone. Ecco che quanto si è definito nei sistemi presenti in fabbrica non trova riscontro in pista. E non c’è possibilità di correggere il tiro sprecando preziose ore contingentate. Questo aspetto delle norme sta pesantemente condizionando l’agire di un team che era abituato a mettere sul piatto ingenti somme di danaro a vantaggio dei suoi specialisti che potevano contare su orari di lavoro quasi illimitati per uscire dalle difficoltà.
Serve un nuovo e più snello modo di analizzare i dati aerodinamici provenienti dalla pista. Un inedito modo di correlarli tra loro. Una processo di comprensione appena avviatosi e che è lungi dall’esser stato completato. Chiaramente il fatto che gli ingegneri stiano lavorando su macchine filosoficamente nuove è un’aggravante.
Non vi sono più quei paletti conoscitivi ben noti che caratterizzavano le F1 di vecchia generazione. Effetto Venturi, gomme con diametro interno da 18 pollici e tutta una serie di novità collegate impongono tempi di reazione più lenti. Saranno compatibili con la necessità di chiudere il gap con la vetta in tempi brevi? Lo scopriremo nelle prossime due o tre gare.
F1-Autore: Diego Catalano – @diegocat1977
Foto: F1, Mercedes AMG F1