In una riunione della F1 Commission di due giorni fa si sono scritte le linee guide per la massima categoria del motorsport dal 2026 in poi. Una serie di principi che poi andranno specificati in nuovi quadri regolamentari che si baseranno due pilastri: riduzione dei costi ed ecocompatibilità. Le risultanze dell’incontro potete consultarle in questo focus (leggi qui). Gli effetti più immediati di questo fiume del costante cambiamento introdotto da Liberty Media è quello di arrivare ad una importante semplificazione delle power unit che abbia il compito di attirare nuovi costruttori.
Orami è cosa nota: la Volkswagen è in procinto di sciogliere le riserve circa il suo ingresso nelle ruote scoperte della classe regina e i dettami pubblicati dopo il round della F1 Commission hanno dato un’accelerata ad un piano strategico ormai impostato e che prevede la presenza di uno (o entrambi) i marchi a vocazione sportiva del gruppo tedesco: Audi e Porsche.
Al 2026 non guarda solo il gruppo industriale tedesco che detiene il record di vendite di automobili al mondo. C’è anche una realtà più piccola, ma parimenti ambiziosa, che vorrebbe imporsi al grande pubblico. Non parliamo di un costruttore, bensì di un assemblatore che rivendica il diritto di sedersi al banchetto delle feste. Ci riferiamo naturalmente a Michael Andretti che ha fatto domanda alla FIA per schierare un nuovo team di F1 a partire dal 2024.
La Andretti Global sta aspettando la determinazione della FIA in un percorso che vuole anticipare il nuovo contesto operativo. Un cammino non certo semplice perché, in prima battuta, non ha incontrato i favori della maggioranza dei team attualmente schierati in griglia (piuttosto esplicita e “sbarrante” la posizione in merito di Toto Wolff, nda).
L’operazione non è di facile realizzazione e non è quindi detto che vada in porto. Perché? Ci sono i soldi di mezzo. Come sempre. Il regolamento sportivo della F1 prevede che si possa arrivare ad un massimo di 13 team iscritti. Ma non è così automatico superare l’attuale numero di 20 auto in griglia. Le dieci realtà che oggi compongono lo scacchiere del Circus iridato ritengono di aver creato un modello di business molto stabile e decisamente fruttuoso. Per se stessi.
Risulta pertanto complicato immaginare che le altre compagini vedano di buon occhio l’ingresso di un altro attore che deve ingurgitare una cospicua fetta di dividendi regolati da un Patto della Concordia la cui stesura ha rischiato, non più di un anno fa, di far saltare l’intero carrozzone. Andretti – F1 è più di una suggestione, è un matrimonio che si sta provando a consumare. Ma sussistono diverse difficoltà che potrebbero pesare sulla buona riuscita. Liberty Media, per ora, è alla finestra. Ma, per interessi geostrategici, potrebbe presto rompere gli indugi facendosi sponsor della trattativa.
Un fautore di questo incanto è Luca De Meo, CEO della Renault. Il dirigente italiano ha ammesso che esistono delle discussioni in corso gestite da Laurent Rossi, numero uno di Alpine. Quello di Andretti è un progetto solido fondato su una realtà credibile fatta da gente competente e che ha i mezzi per far bene in e alla F1.
Un’ammissione molto onesta alla quale ne è seguita un’altra. Ossia quella relativa al poco entusiasmo nel fornire semplicemente dei motori alimentando una schema molto in voga nella F1 odierna: la presenza di squadre satellite: “Non sono un gran sostenitore di quest’idea di avere coppie di squadre. Penso che la Formula Uno meriti dieci team che lavorino dalla A alla Z. Sarebbe, viceversa, un po’ come avere il campionato spagnolo con una squadra Barcellona A, Barcellona B, Barcellona C, Real Madrid 1, 2… Non ci sarebbe un Atletico e penso sarebbe strano“. Ha spiegato De Meo a OnlyF1.
E proprio per questa natura De Meo si dice galvanizzato dal paventato ingresso della Volkswagen. Un costruttore a tutto tondo che si insinua in una lotta tra titani alzando ulteriormente l’asticella tecnica di una categoria votata alla continua e spasmodica ricerca tecnica.
Il dirigente ha riferito che ritiene molto più stimolante – e produttivo per la F1 – gareggiare contro una casa leggendaria come la Porsche. Sarebbe chiaramente più comodo fronteggiare chi fa solo “pezzi di ricambio” (riferimento velato alla Haas?) ma la natura nella competizione è vedersela con grandi gruppi capaci di esprimete grande know-how.
Da qui l’avversione alle squadre satellite che non inquadrerebbero lo spirito della F1. De Meo sostiene convintamente che chi alberga nella massima serie deve saper produrre tutto. Questa visione strategica cozza con l’idea di volersi legare ad Andretti. e racconta forse una verità: i top team hanno bisogno di avere squadre satellite che facciano il “lavoro sporco”.
Innanzitutto che paghino per avere i motori abbattendo le spese di produzione e di progettazione degli stessi. In secondo luogo per essere usate da laboratorio sul campo. Vedasi cosa Red Bull ha fatto con Toro Rosso quando anticipò di un anno l’installazione dei propulsori Honda che potettero crescere a Faenza sotto indicazione di Milton Keynes e di Sakura.
Ancora, i “Team B” sono spesso un trampolino di lancio, una palestra operativa, per formare quei piloti che, una volta entrati in un top team, sono pronti per competere ai massimi livelli. Potremmo fare decine di nomi, ci limitiamo ai due che stanno animando il mondiale 2022: Max Verstappen e Charles Leclerc. Esiste quindi una differenza tra le ambizioni di un manager che vorrebbe una F1 di costruttori e le necessità operative che la serie richiede.
F1 – Autore: Diego Catalano – @diegocat1977
Foto: F1, Renault, AlphaTauri F1, Audi, Alfa Romeo Racing