sabato, Novembre 2, 2024

FIA e Liberty Media spettatrici di un conflitto che rischia di spaccare la F1

F1. Never ending story. Il titolo del fortunatissimo film uscito a metà degli anni ’80 caratterizzato da una colonna sonora indimenticabile sembra essere stato immaginato per il momento che la Formula Uno sta vivendo. A rischio di risultare noiosi e ripetitivi, siamo costretti a ritornare sulla questione, che si sta facendo annosa, relativa al budget cap.

Ormai i fatti sono chiari e noti. Sono due le fazioni che si contrappongono: da un lato i tre top team che operano in virtù di apparati e strutture così finanziariamente pesanti da andare in sofferenza. Questa frangia spinge per una revisione immediata dei limiti di spesa. Chiaramente al rialzo. Un provvedimento necessario, secondo Ferrari, Red Bull e Mercedes, per rispondere alla crescita inflattiva ormai fuori controllo determinata dall’aumento dei prezzi della materie prime che va a riverberarsi sui costi di logistica. E non solo.

Dall’altro lato ci sono le realtà di media e piccola “statura”. L’informe campo del midfield che sgomita in pista per un posto al sole e lo fa tenendo ben presenti i limiti di bilancio imposti dal decisore. Gli attori in questione ritengono che i paletti non debbano essere derogati in virtù di un cambio normativo auspicato dell’altra line-up.

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Christian Horner (Red Bull Racing Honda), Toto Wolff (Mercede AAMS F1 Team) e Mattia Binotto (Scuderia Ferrari) a colloquio

F1. Rimodulazione del budget cap: è impasse totale

Una sintesi al momento non è stata trovata. Servirebbero otto voti su dieci per arrivare ad una rimodulazione del budget cap introducendo una sorta di scala mobile che lo adegui ai livelli inflattivi europei e soprattutto inglesi, laddove si trovano le sedi della stragrande maggioranza delle scuderie di Formula Uno. Questa quota è ben lontana dall’esser raggiunta.

Le posizioni, ancora, vanno ulteriormente allontanandosi dopo che il “trucchetto” dei top team è stato smascherato (leggi qui): le franchigie più snelle nelle dimensioni e nelle procedure operative non ne vogliono sapere di una revisione perché hanno osservato che i premi pagati in dollari da Liberty Media – bonus che vengono elargiti mensilmente – stanno fluttuando al rialzo. La moneta “a stelle e strisce”, difatti, si è molto a apprezzata negli ultimi tempi rispetto alle valute europee. Cosa che ha praticamente coperto il buco di bilancio determinato dall’inflazione costantemente in salita.

Questa evidenza rappresenta il nuovo campo di battaglia sul quale si sta conducendo una guerra politica che ad oggi vede le squadre di vertice in una posizione di svantaggio, quasi soccombente. Servirebbe un clamoroso colpo di reni per convincere i team riottosi a sposare la visione degli altri. Da qui l’inasprimento mediatico dei tre dominatori della categoria.

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l’italiano Günther Steiner (Haas F1 Team) assieme allo svizzero Mattia Binotto (Scuderia Ferrari)

F1. Il “ricatto” di Toto Wolff

Qualche giorno fa Toto Wolff ha fatto sapere che nel medio periodo l’interesse di Mercedes a fornire troppe compagini va scemando. Una considerazione che possiamo leggere in due modi. Il primo è una risposta all’ingresso di Volkswagen nel Circus del gran premi. Cosa che di fatto determinerà un riassetto nel quadro dei fornitori di propulsori. La seconda chiave interpretativa è quella che conduce ad una sorta di ricatto operato verso le squadre che dipendono dai motoristi che minacciano di far mancare i V6 se non ci sarà un allineamento strategico.

In questa maxi operazione verbale che vede coinvolti molti media vicini alle realtà più influenti rientrano le parole del grande boss della Mercedes che vanno sulla falsariga di quelle proferite da Chris Horner secondo cui alcuni soggetti operanti in F1 non avranno sufficienti risorse per completare la stagione sportiva 2022. Uno scenario apocalittico che un sempre tagliente Gunther Steiner ha accolto con favore valutando i vantaggio finanziari che offrirebbe alla sua Haas.

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Mick Schumacher (Haas F1 Team) GP monaco 2022

F1, Mercedes: il grido d’allarme di Toto Wolff

Non siamo interessati a generare profitto. Ciò che vogliamo è che le persone che lavorano per noi possano ricevere regolarmente gli stipendi concordati. L’inflazione è incredibile – ha argomentato il manager viennese ai taccuini dei colleghi di Autosport – e ne stiamo soffrendo”.

Non vogliamo avere improvvisamente più soldi, ma le condizioni mondiali sono cambiate. Per lo sport è bruttissimo avere delle posizioni così chiuse. Alcune squadre più piccole pensano che le grandi stiano cercando di ottenere un vantaggio nei loro confronti, ma non è affatto così. Io, come proprietario di una scuderia, non voglio alzare il limite del budget cap, perché avrei una spesa in più“.

Però – ha proseguito l’ex Williams voglio che il mio personale sia regolarmente pagato specialmente in circostanze difficili. I nostri costi a Brackley sono aumentati da 2,5 a 6,5 milioni di sterline, così come i costi di trasporto, da 2 a 6 milioni, lo vediamo nei nostri conti economici. Noi chiediamo questo un cambio così da poter dare uno stipendio adeguato ai nostri dipendenti“.

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Moahammed Ben Sulayem (FIA) e Stefano Domenicali, CEO della F1

F1. Due visioni strategiche inconciliabili nel totale silenzio di FIA e Liberty Media

Messa così la questione è piuttosto seria e la lotta di posizione che le scuderie stanno inscenando sembra non avere un senso logico. Al centro del contendere c’è una visione evidentemente non condivisa. I top team, nonostante i limiti di spesa, fanno fatica a riallocare il personale. Ferrari ha introdotto il suo programma ufficiale Endurance. L’ha fatto per amore per le corse e per mission filosofica. Ma lo ha anche messo in pratica per piazzare il surplus di manodopera e di cervelli che rinfoltivano le fila del Reparto Corse in era pre budget cap.

Mercedes, al pari di Maranello, ha utilizzato parte del vecchio staff nel programma America’s Cup col team Ineos. Evidentemente le riallocazioni non bastano per superare le difficoltà che andrebbero valutate profondamente dagli organi federali. Dall’altro lato della barricata ci sono realtà che possono contare su strutture più agili che non hanno determinato affanni finanziari nonostante il tetto di 140 milioni di dollari.

Queste compagini vorrebbero che i top riducessero i loro apparati senza ricorrere a lamentele plateali: agire invece di sperare in rivoluzioni. Cosa, questa dell’assottigliamento del personale, che in realtà era nei programmi di Liberty Media che vuole arrivare ad azzerare le differenze prestazionali tra le venti vetture presenti in griglia.

Forse anche per questo motivo né il colosso americano dell’intrattenimento né la FIA stanno giocando un ruolo attivo. I due enti di controllo-gestione del motorsport si sono messi alla finestra in attesa di sviluppi. Vogliono probabilmente capire se le difficoltà di Mercedes, Ferrari e Red Bull siano oggettive e se ci sono margini per riassettare le suddette aziende che si sentono col cappio stretto al collo.

Pare improbabile, dopo 1/3 di campionato, che qualcosa possa muoversi. E’ più concreto ritenere che quelle cui stiamo assistendo siano grandi manovre in vista di un 2023 in cui dovrebbero raddoppiare anche le gare sprint in un quadro di 24 gran premi totali. Più eventi, più soldi necessari. Più richieste di revisione dei vincoli sul tavolo. Sarà un’estate rovente. In ogni senso.


F1 – Autore: Diego Catalano@diegocat1977

Foto: F1, Scuderia Ferrari, Mercedes AMG F1, Oracle Red Bull Racing.

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