F1. Alcune tra le icone del motorsport sono diventate leggenda attraverso le proprie gesta in pista nonostante un palmares non ricco di vittorie e titoli. Una delle figure immortali della Formula 1 è Gilles Villeneuve, il ragazzo del Quebec che, a cavallo tra gli anni settanta e ottanta, attraverso il suo coraggio, fece innamorare un’intera generazione di fan.
Ancora oggi al cognome Villeneuve viene universalmente associato il nome Gilles, nonostante il figlio Jaques abbia saputo arricchire la bacheca di famiglia con un titolo mondiale e più vittorie del padre. Gilles era la variabile impazzita di un Circus che stava cambiando pelle e che si proiettava verso nuovi standard di professionismo che vedevano in Niki Lauda il suo massimo interprete.
Il minuto ragazzo canadese, in un’epoca in cui i giovani piloti iniziavano a correre nei modi più disparati, si era messo in luce nelle gare di motoslitte. Esperienza assai singolare anche se nel suo paese di origine quel tipo di gara era molto popolare. Guidare quei mezzi assurdi su neve e ghiaccio consentì a Gilles di affinare la sua leggendaria sensibilità di guida.
Il funambolico canadese si cimentò in diverse categorie minori del motorsport nordamericano come la Formula Atlantic in cui raccolse diversi successi. La svolta nella sua carriera avviene nella penultima gara del 1977 a Trois Rivieres.
In quel periodo diversi piloti di Formula 1 partecipavano anche a competizioni di categorie inferiori alla continua ricerca di ingaggi per arrotondare lo stipendi: l’organizzazione di Trois Rivieres era molto ricca e poteva permettersi di attirare grandi nomi grazie a profumati ingaggi. Gilles riuscì a battere piloti del calibro di James Hunt e Alan Jones aggiudicandosi la corsa.
Proprio James Hunt segnalò al boss della McLaren, Teddy Mayer, la velocità fuori dal comune di quel ragazzo canadese. Le parole del campione del mondo inglese furono talmente convincenti che Gilles fu ingaggiato dalla scuderia come terzo pilota nel 1977.
L’apparizione nel gran premio di Silverstone del 1977 segnò il debutto del canadese in Formula 1 a bordo della McLaren che tuttavia decise di non rinnovargli il contratto per la stagione successiva.
Quando Enzo Ferrari si trovò a dover sostituire Niki Lauda per le ultime gare del campionato 1977 ascoltò il consiglio di Chris Amon, ormai ex pilota e team manager di Gilles Villeneuve in Can-Am, il quale lo esortò a prenderlo a occhi chiusi. Il resto è storia e leggenda. Che negli anni viene associata ciclicamente a piloti dal gran cuore e dal coraggio innato che ricordano le gesta del grande Gilles.
F1. Ferrari: quel giudizio azzardato di Mattia Binotto
Ma quando a sbilanciarsi in paragoni così improbabili è il team principal della Scuderia Ferrari il confronto assume un significato diverso. Mattia Binotto descrivendo le qualità di Charles Leclerc e la passione che si sta generando intorno al talentuoso pilota monegasco ha dichiarato:
“Ci sono solo pochi piloti in grado di farlo. Penso che Charles sia uno di quelli, così come Gilles. Se guardo a Charles, al modo in cui guida, al suo talento e soprattutto alla sua passione e alla passione dei tifosi per lui è qualcosa che chiamo ‘essere Ferrari’. Gilles è stato fantastico. Nonostante abbia vinto solo sei gare rimane per tutto il nostro team e per i tifosi il nostro pilota. Erano davvero unici il suo modo di guidare, il suo modo di comportarsi e la sua passione. Penso che anche Charles abbia queste tre qualità. È qualcosa che appassiona la squadra. Speriamo solo che vinca più di sei gare”.
E’ sempre un esercizio molto complesso paragonare piloti di generazioni diverse in quanto figli del proprio tempo sia nel modo di concepire le corse che per il livello tecnologico del proprio mezzo. Entrambi francofoni, Gilles e Charles, hanno guidato le peggiori monoposto della storia del Cavallino Rampante (1980 /2020, nda) e sono amati dal popolo della rossa per la generosità che mettono nella loro professione.
Le affinità tuttavia finiscono qui perché Gilles era la fantastica eccezione che il sistema Formula 1 non potrebbe permettersi. Su 67 gran premi disputati, l’aviatore (nomignolo coniato dalla stampa italiana, nda) si ritirò per incidenti in 13 occasioni, alimentando la sua fama di pilota combattivo e audace.
Tornando ai nostri giorni, quale team manager o consiglio di amministrazione sarebbe così indulgente verso un pilota cosi temerario quanto poco redditizio in termini di risultati sportivi?
Il Drake adorava Gilles in quanto rivedeva nel giovane ragazzo del Quebec lo spirito di Tazio Nuvolari. Villeneuve era un diamante grezzo tanto amato proprio perché non schiavo del risultato; un driver animato dall’innato istinto di portare al limite qualsiasi mezzo a motore avesse a disposizione. E Ferrari perdonò tutto a Gilles nonostante strapazzasse le proprie creature, perché come ebbe modo di confessare nel libro “Piloti che gente”:
“Quella di Villeneuve fu un’assunzione a sorpresa, che scatenò un plebiscito di critiche, forse giustificate in quel momento. Di Gilles avevo avuto informazioni da un amico che risiede in Canada, da Chris Amon e da Walter Wolf che si era valso di lui in alcune gare della categoria CAN AM. Lo vidi poi in televisione, in corsa a Silverstone su una McLaren. La sua origine era curiosa: idolo delle motoslitte e vincitore del campionato Atlantic”.
“Assunsi la decisione di ingaggiarlo – si legge nello scritto – indotto dalla convinzione che con un’adeguata preparazione è possibile, se esistono predisposizioni e talenti naturali, “costruire” un pilota. Villeneuve, con il suo temperamento, conquistò subito le folle e ben presto diventò… Gilles! Sì, c’è chi lo ha definito “aviatore” e chi lo valutava svitato, ma con la sua generosità, il suo ardimento, con la capacità “distruttiva” che aveva nel pilotare le macchine macinando semiassi, cambi, frizioni, freni, ci insegnava cosa bisognava fare perché un pilota potesse difendersi in un momento imprevedibile, in uno stato di necessità. È stato campione di combattività e ha regalato e ha aggiunto tanta notorietà alla Ferrari. Io gli volevo bene”.
Inoltre Gilles rappresentava la prova tangibile dell’assioma del “Grande Vecchio” secondo il quale a vincere è la Ferrari prima del pilota di turno.
Quale colosso dell’automobile sarebbe disposto a vendere emozioni in cambio di modesti risultati sportivi? Nessuno, Ferrari compresa.
Charles è un grande pilota e riesce a emozionare il pubblico ma è consapevole che il sistema F1 nel suo complesso non concede troppo credito all’eroismo se non finalizzato al raggiungimento degli obiettivi sportivi individuali e del team.
La logica del risultato prima dello spettacolo ha bruciato tanti, troppi, piloti negli ultimi decenni e l’ingresso dei marchi più prestigiosi del settore automobilistico hanno di fatto esteso la logica del profitto che lascia poco spazio all’epicità e al coraggio dei cavalieri della velocità.
Siamo certi che Charles a modo suo e nell’attuale contesto del motorsport riuscirà a tramettere emozioni ed a raccogliere il successo che il suo talento merita ma senza per questo evocare leggende irripetibili ed inarrivabili…
F1-Autore: Roberto Cecere – @robertofunoat
Foto: F1, Scuderia Ferrari F1