Le cronache della F1 sono spesso animate da intrighi, polemiche e sospetti che hanno poco o nulla a che vedere con l’aspetto che più entusiasma i fan di tutto il mondo, l’azione in pista. Stiamo parlando della disciplina sportiva in cui convergono e concorrono interessi economici enormi derivanti dalla presenza dei principali colossi dell’industria automobilistica.
E’ del tutto evidente che all’interno del nuovo ordine della Formula 1 i piloti siano l’anello debole della catena per diverse ragioni. In primo luogo i lauti emolumenti dei driver, soprattutto nella nuova era del budget cap, ne limitano la libertà di pensiero, allineato inesorabilmente alla strategia politica e comunicativa del proprio team. Ne abbiano avuto un eclatante esempio non più tardi di tre mesi fa in Arabia Saudita con la farsesca riunione dei piloti nella tarda notte del 25 Marzo.
Durante le prove libere del venerdì a circa 20 chilometri di distanza dal tracciato di Jeddah, un attentato terroristico rivendicato dagli Houithi, gruppo ribelle dello Yemen, aveva fatto esplodere un deposito petrolifero della compagnia nazionale saudita. Le goffe rassicurazioni delle autorità locali e la forte pressione dei team portò a migliori consigli lo sparuto gruppo di piloti che non intendevano scendere in pista nel restante programma del weekend.
F1. Mancano leader carismatici nella GPDA
Solo i veterani del Circus, in relazione al loro carisma, assumono posizioni indipendenti come ad esempio Sebastian Vettel, che anche nello scorso weekend in Canada ha sfoggiato sulla livrea del casco una dura critica contro l’estrazione di petrolio nella provincia dell’Alberta.
E gli altri? Troppo giovani per poter compromettere le proprie carriere attraverso parole o azioni difformi dal pensiero del padrone di turno o semplicemente interessati a correre sempre e comunque.
Premessa doverosa: la salute e la sicurezza dei piloti è la priorità della Formula 1 che, nonostante i progressi degli ultimi decenni, resta sempre e comunque uno sport ad elevato rischio.
L’opinione dei conducenti è tornata strettamente di attualità in merito alle estreme condizioni di guida a cui sono sottoposti i driver di quei team che continuano a soffrire del fenomeno del porpoising, termine entrato inaspettatamente nella letteratura della Formula 1 del terzo millennio.
Il portavoce dell’associazione piloti GPDA, George Russell, ha da tempo richiamato l’attenzione sulla problematica del pompaggio delle monoposto essendo uno tra i piloti che ne subisce maggiormente gli effetti deleteri.
In questi mesi la federazione internazionale ha sperato che gli ingegneri aerodinamici dei team riuscissero a eliminare l’effetto collaterale derubricandolo a semplice malessere di gioventù delle nuove wing car. L’eliminazione della terza zona DRS, nel corso del weekend in Australia, è stata una prima timida azione della FIA per mitigare il saltellamento delle monoposto.
L’immagine di Lewis Hamilton che faticosamente esce dall’abitacolo alla fine del gran premio d’ Azerbaigian è stata un’immagine troppo potente affinché potesse essere ignorata dall’ente regolatore. Cosa hanno in comune il giovane talento di King’s Lynn e il sette volte campione del mondo?
Guidano entrambi la monoposto che saltella anche da ferma, la Mercedes W13 versione “B” che proprio non vuole saperne di eludere l’enorme oscillazione del carico verticale. A pensare male degli altri si fa peccato, ma spesso si indovina, celebre frase di un noto politico della Prima Repubblica.
F1. La presenza di George Russell in GPDA determina conflitto di interessi?
Il duplice ruolo di driver Mercedes e direttore della Grand Prix Drivers’ Association rappresenta un caso di conflitto di interessi abbastanza evidente. Partendo dalla premessa che l’opinione dei piloti è fortemente allineata agli obiettivi politico/strategici dei rispettivi team è altrettanto evidente che le istanze del portavoce dei piloti non debbano in alcun modo nuocere al team di appartenenza.
Se Max Verstappen fosse il portavoce della GPDA avrebbe portato all’attenzione dei media e degli organi federali un problema così invalidante per i colleghi quanto nullo sulla propria monoposto? La risposta è no, senza nulla togliere all’eventuale spirito solidale di Max che non potremo mai conoscere per due ordini di motivi.
Il primo attiene alla volontà di preservare un vantaggio competitivo del proprio mezzo rispetto alla concorrenza. Il secondo è da ricercare nella natura stessa del pilota da corsa, egoista per antonomasia. Ci sono svariati casi nella storia della Formula 1 in cui, anche a fronte di evidenti problemi di sicurezza, la solidarietà è stata sopraffatta dall’egoismo dei driver.
F1. La farsa di Indianapolis
Il caso più eclatante si è verificato nel gran premio degli Stati Uniti sul circuito di Indianapolis nel 2005. Altre monoposto, altri piloti ma medesima forma mentis. Ebbene durante il weekend le monoposto gommate Michelin accusarono grossi problemi sulla spalla dei pneumatici posteriori che cedevano di schianto sotto il carico su di essi esercitato durante la percorrenza del banking che conduceva sul rettifilo principale.
La farsa continuò fino al giro di schieramento, alla fine del quale si posizionarono in griglia le sole sei monoposto gommate Bridgestone. Era lecito attendersi un’azione compatta dei piloti in quanto alcuni loro colleghi avevano rischiato la vita nei primi due giorni del weekend in terra americana.
Non se ne fece nulla, e a vincere il gran premio più squallido della storia recente della Formula 1 fu Michael Schumacher (mia fonte di ispirazione in modo da non essere frainteso, nda), allora direttore della GPDA.
Ritornando ai giorni nostri, l’incessante grido di allarme di Russell su una problematica che diversi team hanno saputo risolvere con ingegno, e la successiva direttiva della FIA deve far riflettere.
Al netto della sincera sofferenza patita dal portavoce della GPDA ad ogni weekend di gara, che valore può avere la sua posizione in uno scenario globale in cui le dichiarazioni dei piloti sono, nella totalità dei casi allineate, alla strategia politica dei rispettivi team?
Autore: Roberto Cecere – @robertofunoat
Foto: F1, Mercedes AMG F1 Team, Aston Martin