F1. Domenica 3 luglio, Anno Domini 2022, Silverstone. La vittoria avvelenata.
Carlos Sainz, figlio d’arte e cognome di piombo, aveva appena vinto un rocambolesco gran premio d’Inghilterra, battendo lo squadrone Red Bull.
Ma infuriavano le polemiche. Sembrava quasi che la Ferrari quella prestigiosa gara, a casa loro (il 90 per cento dei team di F1 aveva sede proprio da quelle parti) non l’avesse vinta, ma persa.
La causa era la solita: il muretto aveva pasticciato e aveva vinto, se così si può dire, la Ferrari “sbagliata”.
Avrebbe dovuto vincere Leclerc, anche perché era l’unico serio pretendente alla vittoria del titolo contro il velocissimo e concreto Max Verstappen. Ma il monegasco si doveva accontentare di un ridicolo quarto posto, recuperando briciole sul campione del mondo in carica e leader della classifica, attardato da noie alla monoposto. Era la classica occasione d’oro da non perdere, dopo il pasticciaccio brutto di Montecarlo, dove una prima fila si era tramutata, cosa che sembrava assolutamente impossibile nel tortuoso toboga monegasco, e sempre per i “casini” del muretto, in un beffardo secondo (Sainz) e quarto posto (Leclerc).
Finita la gara inglese, il fratello del presidente della supermegaditta non se ne capacitava. Compulsava avidamente i social, soprattutto il suo preferito, Twitter, e aveva la faccia più rossa dei completi che portava quando, da arcinoto tifosissimo della Rossa, andava a vedere le gare di F1.
Aveva le mani fra i capelli corti e arricciati. Rimuginava fra sé e sé e ogni tanto si lisciava, quasi per calmarsi, la sottile barba dorata sulla mascella.
“Ma come si fa, ma come si può…” ripeteva in soliloquio a bassa voce.
Fu così che decise un atto, a suo modo, rivoluzionario.
A inizio gran premio aveva twittato sul terribile (ma per fortuna senza conseguenze per il pilota) incidente di Zhou. Ora no.
Le dita rimasero ferme sulla tastiera del suo portatile.
Decise di tacere. Nessun commento.
Eppure aveva vinto una Ferrari. A Silverstone.
Tuttavia sapeva che chi doveva capire, avrebbe capito.
Silenzio. Assordante.
Quando, si suol dire, il silenzio vale più di mille parole.
Lunedì 4 luglio. Montecarlo. La cena “riparatrice”.
Le polemiche sui social e sui principali quotidiani sportivi del globo terraqueo non si placavano. Chi sghignazzava per l’ennesima prova balzana del muretto e dei suoi “strateghi”, chi si doleva (soprattutto nell’italico stivale) dei punti ancora una volta persi dalla Ferrari.
Della serie “così li fai vincere facile”.
Fu così che non passò inosservata una strana cena. A memoria di appassionato, non s’era mai vista una roba del genere. Il “capo” di una scuderia, che da qualche anno si chiamava pomposamente Team Principal (questi inglesi quanto amano i titoli pomposi, soprattutto nella Formula Uno), andava a far visita ad uno dei due piloti della propria squadra.
In un lussuoso ristorante in quel di Monaco. Insomma a casa di un suo “dipendente”.
Le illazioni si sprecavano, ma nonostante i sorrisi di circostanza e le pacche sulle spalle, le mani strette fra i due, era evidente che bastava mettere assieme i puntini.
Mattia da Losanna era andato, metaforicamente e letteralmente, a Canossa. Soprattutto per calmare il pilota di punta della scuderia, che aveva tutte le caratteristiche del campione e che però era stato, per usare un eufemismo, defraudato dal suo team di una marea di punti. Impresa quasi impossibile, ad inizio mondiale, ma perfettamente riuscita in quel di Maranello. Con viva gioia ovviamente delle lattine volanti, che ringraziavano sentitamente.
Charles aveva dato più di un segnale d’insoddisfazione, soprattutto dopo la beffarda Monaco, dove a casa sua voleva, e voleva fortissimamente, vincere. Vai a dargli torto.
Ma anche a Silverstone, non aveva lesinato qualche velata critica alla sua amata scuderia. E vai anche qui a dargli torto…
E dunque, Mattia da Losanna, per molti non adatto a quel ruolo così delicato in un team di F1, figuriamoci in una scuderia unica come quella del cavallino rampante, aveva deciso la mossa riparatrice.
Qualcuno immaginava che la mossa fosse stata decisa dopo una telefonata non proprio cordiale ricevuta da Mattia. Ma erano solo ipotesi, nessuno aveva prove di una cosa del genere.
Sabato 9 luglio. Austria. Red Bull Ring. Liberi di lottare.
La gara sprint si era appena conclusa. Max aveva vinto, racimolando qualche punto (che non fa male) contro le due Ferrari. Charles secondo, Carlos terzo. Ma la cosa incredibile era che Carlos aveva battagliato per ben due giri contro il compagno di squadra, lasciando Max libero di prendersi un confortante cuscinetto di sicurezza di oltre due secondi dai diretti inseguitori.
Carlos s’era fermato solo perché in un tentativo un pò troppo garibaldino aveva spiattellato uno pneumatico, e allora aveva dovuto tirare i remi in barca.
Le comunicazioni fra i box erano, poi, incredibili. Pareva di sentire due squadre dentro la Rossa che si incitavano a vicenda per lottare fra di loro e non contro il comune avversario… (?!)
il fratello del presidente della supermegaditta era di nuovo incredulo. Anzi, forse di più. Diciamo abbastanza incavolato.
Non si poteva fare una critica precisa ai piloti, e il motivo era a dir poco solare.
Mattia da Losanna si era peritato di dire, alla stampa, il giorno prima, che non c’era una gerarchia fra i due piloti del cavallino. D’altronde i punti di differenza fra i due (11 a favore di Leclerc) erano troppo pochi per giustificare ordini di scuderia. Sempre il TP, sostanzialmente, assolveva il muretto dopo le ultime chiacchieratissime e criticatissime scelte strategiche.
“E allora quando di punti di differenza ce n’erano 50?” bofonchiava il rampollo italo-americano… aggiungendo “Incredibile, incredibile…”
Il nostro ci pensò su qualche minuto, e decise di usare twitter. Di nuovo.
Con calma vergò un messaggio cristallino.
Le congratulazioni di rito ai due Carli, e poi la raccomandazione “uniti si vince”, rivolta evidentemente alla vera gara, quella di Domenica. E per rimarcare il concetto, che non guastava, l’emoticon di un cervello e quella di mani giunte a preghiera. Della serie: “Usate il cervello, per l’amor di Dio”.
Avrebbe funzionato? Avrebbero capito, in primis Mattia?
Anche questa, era una scelta plateale.
Il fratello del presidente avrebbe dovuto attendere 24 ore per capire se la sua sottile ma costante “moral suasion” avrebbe raggiunto il risultato desiderato.
Eppure il Team Principal lo avrebbe dovuto capire… non si può sprecare un’occasione simile per riportare l’iride a Maranello… sai mica se ti ricapita…
Ma no, quello con la testa quadrata da ingegnere continuava a dire che l’anno buono era il prossimo…
Per ora era meglio agire così. In maniera collaterale, diciamo così… da tifoso illustre. Forse bastava.
Poi, se le cose non fossero andate come sperava… bé, in quel caso avrebbe dovuto sentire il fratello e poi avrebbero dovuto prendere qualche decisione antipatica.
Ma era ancora presto.
Non era ancora il momento.
P.S.: Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, istituzioni, luoghi ed episodi sono frutto dell’immaginazione dell’autore e non sono da considerarsi reali. Qualsiasi somiglianza con fatti, scenari, organizzazioni o persone, viventi o defunte, veri o immaginari è del tutto casuale.
Autore: Mariano Froldi – @MarianoFroldi
Foto:
“E’ il clamoroso esempio della maleducazione di una discreta fetta del pubblico nostrano, che da anni confonde le tribune di un autodromo con gli spalti di uno stadio.”
“Un triste repertorio disponibile solo in Italia dove – del tifo contro – siamo i veri campioni del mondo. Triste constatare che qualcuno cerchi pure di trovare una giustificazione a questi atteggiamenti demenziali.”
“Imola, 1 maggio 1994: si sentiva arrivare qualche coro ferrarista intonato lungo un (ridanciano?) “Devi morire” diretto a Senna quando questi era disteso al lato della vettura circondato dai medici.”
Ecco, questi sono i “tifosi” ferraristi. Anche gli attuali sono messi uguali, vedasi vittorie Ros e HAM a Monza. “Tifosi”..complimenti,bella roba…????????????