Negli ultimi anni la F1 ha imparato a cambiare pelle, non solo per quanto riguarda l’innovazione tecnologica. La massima categoria del motorsport, infatti, sembra aver preso una deriva differente da quella pura competizione per cui è nata. Una strada che risponde principalmente al denaro, grazie anche all’enorme interesse cresciuto con il tempo. Una Formula Uno che incentra il focus sul business tralasciando spesso i fatti sportivi.
La ricerca di nuovi mercati da conquistare e nuovi orizzonti da esplorare, quindi, non arriva dalla voglia di produrre un mondo elitario, ma bensì dalla mera volontà economica. Un interesse nutrito dalle vicende “drammatiche” come quelle abilmente prodotte da Drive to Survive. La F1 appare pertanto quasi snaturata, nonostante qualcuno sostenga ancora il contrario…
La nuova strada della F1
Durante gli ultimi anni, il lavoro per mettere in pista nuove vetture ha portato a diverse innovazioni in campo motoristico, e non solo. Una strada naturale per uno sport fatto di team e piloti che lottano per giungere primi al traguardo. Un cambiamento inevitabile che col passare del tempo ha però toccato altri ambiti. Come spesso abbiamo, negli anni la categoria si è allontanata dall’Europa (leggi qui l’approfondimento), con una forte spinta verso luoghi come Stati Uniti e paesi arabi.
Scelte spesso criticate, con la consapevolezza che tali decisioni sono state prese per puro business. Con l’aumentare del pubblico si sono moltiplicati i GP e le città ospitanti un weekend di gara. E se è vero che da un lato il puro spettacolo offerto dalla competizione in pista resta, dall’altro il contorno di ogni gara è spesso solo economico.
Così come lo sono determinate scelte rispetto ai luoghi in cui correre; decisioni che hanno portato la Formula Uno in paesi avvolti dalla guerra o in stati dove i diritti umani praticamente non esistono. Tutto questo promuovendo un modello di sport che sposa il messaggio “We race as one”.
La maggior richiesta del pubblico ha inoltre prodotto un’altra questione: parliamo dei prezzi esorbitanti per l’acquisto dei biglietti, anch’essi parte di quel business che la F1 prova a nascondere dietro a scuse che francamente non reggono. D’altronde se i fine settimana ospitano una folla infinita su prati e tribune, perché pensare di abbassare i costi?
Nell’ultimo periodo, inoltre, abbiamo assistito a discussioni che riguardano i Gran Premi storici, che vagliano l’ipotesi di eliminare dal calendario tappe iconiche come il del Belgio. Tutto questo accade per fare spazio a chi quel posto vuole comprarlo sborsando cifre più onerose. Una rotta che affonda le radici nel medesimo scopo finanziario.
F1, davvero non è solo business?
Analizzando il lavoro svolto da Stefano Domenicali, il percorso intrapreso da poco spazio a storia e DNA di questo sport. Il congelamento dei motori ne è un ulteriore esempio, con le scuderie limitate nel loro lavoro creativo verso innovazione e ricerca del limite. Il mantenimento dello spettacolo diventa dunque fondamentale.
Lo stesso CEO ex ferrarista appare in difficoltà nel “mascherare” i voleri della governance. Se la scelta di muoversi verso un futuro più sostenibile pare sensata, risultano incoerenti i fitti calendari proposti. Le gare aumentano ma la vera anima di questo sport la fanno prima di tutto le persone. Tuttavia dire di “no” al Dio denaro diventa sempre più complicato.
E allora ecco l’ingresso in calendario di gare come Miami, Las Vegas o Arabia Saudita, mentre Spa-Francorchamps rischia e la Germania si vede chiudere le porte in faccia. Un secco “no” che lascia poche speranze ad uno dei paesi che ha contribuito alla storia della F1. Il motivo? Sempre il medesimo: un basso ritorno monetario menzionato dallo stesso Domenicali che, al contempo, sostiene che la categoria non giri solo intorno ai soldi. Una serie di scelte che provano a nascondere la vera natura che viene abbracciare.
Le tante, forse troppe decisioni prese durante le ultime annate stanno cancellando poco a poco anni di storia e tradizioni. Non importa se la maggior parte del nuovo pubblico compra il biglietto per uno spettacolo diverso da quello in pista. Iil fattore più importante riguarda il mero acquisto del biglietto. Malgrado l’ingente massa che riesce a muovere la F1, in questo modo, perde…
Autore: Chiara Zambelli
Foto: F1 – Scuderia Ferrari
Come rilevato dalla Giorgi, non c’é spazio per il romanticismo in F1.
D”altronde con l’avversità fiscale e politica della EU alle auto non c’é proprio nulla di strano.