mercoledì, Dicembre 18, 2024

La F1 presta attenzione alla psiche dei suoi piloti?

Vi siete mai chiesti come ci si sente ad essere parte dell’universo della F1? Cosa significa avere gli occhi del mondo puntati addosso ogni domenica? Cosa si prova nel sapere che per quanto possa sembrare un mix di sport individuale e di gruppo, i ceffoni in viso alla fin fine li becca sempre in primis il pilota?

Spesso e volentieri, riusciamo a cogliere solo l’aspetto positivo di questa disciplina (che poi è a tutti gli effetti un lavoro), ma ci sono tantissime altre sfaccettature che a veder meglio, di positivo hanno poi ben poco.

Certo, è evidente che ciò che maggiormente risalti agli occhi di “noi comuni mortali” possa essere esclusivamente la scintillante vita che conducono i protagonisti de Circus più famoso del mondo, ma dietro c’è davvero molto altro.

Innegabile che sia una vita agiata e ricca di privilegi, non da ultimo la fama e l’ingaggio stellare: l’entusiasmo dei tifosi che identificano nel proprio beniamino l’icona della scuderia, l’affetto che trasmettono loro quando li riconoscono in giro, e perché no, anche il privilegio di essere parte di quella che a tutti gli effetti è una vera e propria élite globale.

F1
L’affetto della “Orange Army” per Max Verstappen (Oracle Red Bull Racing F1)

Lungi dal voler essere un’analisi commiserevole di una vita palesemente agiata, ma il rovescio della medaglia potrebbe contenere delle sfumature che non potremmo neppure immaginare.

L’universo della F1 è un mondo così tanto lontano per coloro che vivono una quotidianità cosiddetta “normale”, che non può che suscitare ammirazione e idealizzazione negli occhi di chi non ne fa parte: per quanto sia uno sport unico nel suo genere, e per quanto coloro che lo compongano siano uomini straordinari, sono pur sempre proprio questo. Uomini.

Persone con dei sentimenti, dei pensieri, delle preoccupazioni, esattamente come la gente comune. Chiaramente facile fare del qualunquismo a questo punto, e scadere nel banale stereotipo del ricco che non soffre mai perché tanto a tutto il resto ci pensa il vil danaro, ma non è necessariamente così.

Avete presente la citazione: “I soldi non fanno la felicità, ma non ho mai visto piangere nessuno sul sedile di una Ferrari”? Bene, andate pure a dirlo a Charles Leclerc a bordo della F1-75 durante il Gp di Francia

F1. Quando Formula 1 è sinonimo di élite

Ironia a parte, è un mondo che può darti tanto portandoti letteralmente sul tetto del mondo, ma allo stesso tempo, può toglierti tutto in un battibaleno, facendoti sprofondare nel baratro più oscuro.

Essere parte di uno sport così elitario e chiuso, in cui solo pochi eletti riescono a farcela (ed alla fin fine non è neanche detto), comporta uno stress perpetuo di un livello inimmaginabile.

Per quanto alcuni paragoni non siano adatti, a volte sono necessari per rendere l’idea: in una squadra di calcio ci sono almeno 11 giocatori con annesse riserve in panchina, con svariate squadre in campionato e tantissime altre a livello mondiale in cui poter sperare di far proseguire la propria carriera, qualora le cose non prendessero la piega desiderata.

Diciamo tutto sommato, una statistica favorevole: se va male percorrendo una strada, ipoteticamente c’è sempre posto per intraprenderne un’altra.

In F1 no. Ci sono chiaramente delle formule minori da cui “passare” prima di poter arrivare all’acme della disciplina, ma di fatto c’è posto per pochi team e solo due piloti per ognuno (salvo poi le poche opzioni di riserva).

Per dirla in soldoni se in F1 va male, o si torna a casa o si procede verso altre branche che, inutile prendersi in giro, non godono della stessa visibilità e notorietà.

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Antonio Giovinazzi (Alfa Romeo) si allaccia il casco pront a scendere in pista, Gp Olanda 2021

È il caso di Antonio Giovinazzi: dal 2019 al 2021 in F1 con l’Alfa Romeo Racing (ma attivo già dal 2017 in qualche gran premio), non essendo stato autore di prestazioni brillanti e costanti, ha dovuto salutare il Circus per “ripiegare” militando in Formula E con il team Dragon Racing.

E proprio a proposito di popolarità, molto probabilmente l’italiano medio non sa nemmeno quale tipologia rappresenti questa Formula (sebbene talvolta alcune gare siano trasmesse in chiaro sui canali nazionali).

F1. Non è tutto oro quello che luccica

Di contro però, se le cose vanno bene, psicologicamente può essere ugualmente gravoso: a tal proposito, cosa ne pensate dell’Instagram story di Lewis Hamilton pubblicata di recente?

Il Re Nero, il sette volte campione del mondo, l’icona dell’hammer time, Sir Lewis, l’immagine principale della Mercedes, mette a nudo il suo animo confidando apertamente le sue debolezze. Lo avreste mai detto?

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L’Instagram story di Lewis Hamilton (Mercedes AMG F1)

“A volte mi sento così solo” – confessa – “Se anche tu ti senti così, per favore sappi che va tutto bene e che riuscirai a superare anche questa! Sei un unicorno, non c’è nessuno come te ed hai tanta forza nonché un grande obiettivo su questa terra: non ti arrendere. Continua a combattere, io sono qui con te. Ti mando un abbraccio, affetto e luce. Sbalorditivo.

Colui che ha rappresentato la storia di questo sport, “ridotto” a banale essere umano con delle debolezze come tanti: impensabile. Lewis sporadicamente diffonde anche messaggi di questo genere, ma così tanto pregni di pathos, mai.

E dire che al suo fianco c’è sempre la sua life coach Angela Cullen (o come affettuosamente la chiama lui, il suo angelo), ma nonostante questa confortante presenza costante, Sir Lewis si è sentito in dovere di esternare questo suo senso di solitudine.

Chi penserebbe mai che un campionissimo di tale caratura e col mondo ai suoi piedi, potrebbe sentirsi così. Eppure non è la prima volta che assistiamo a storie di questo genere: lo stesso Nico Rosberg ha più volte dichiarato che per concentrarsi sulla conquista del mondiale 2016, ha dovuto immergersi completamente nella F1.

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Stagione 2016: Nico Rosberg (Mercedes AMG F1) e sua moglie Vivian festeggiano il titolo mondiale

Non esisteva null’altro al di fuori del paddock: né vita privata, né moglie, né figli (solo una, Alaϊa avuta nel 2015), né altri interessi. Fu stesso sua moglie Vivian a dichiarare che a quell’epoca Nico per la famiglia non c’era mai, nonostante l’anno di età della loro piccola.

Una condizione mentale devastante, che col senno di poi ad anni di distanza lo ha portato a riconsiderare il tutto, comprendendo di aver perso anche alcune tappe nella crescita della bambina.

La componente psicologica è un tratto fondamentale per questi ragazzi: chiamati ad essere i migliori del mondo, mantenendo saldo l’obiettivo in pista, con il peso incombente del perenne giudizio di chi supporta come tifoso e di chi fa parte dello stesso mondo, spesso con ben poco tatto.

Come nel caso di Helmut Marko, il quale con delicatezza e tatto definì Yuki Tsunoda: “Un ragazzino problematico che deve essere mandato dallo psicologo”. Come se andare dallo psicologo a quei livelli sportivi non fosse la base, o quantomeno qualcosa per sentirsi un po’ meglio con se stessi.

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il gesto di intesa tra Helmut Marko e Yuki Tsunoda (Red Bull Racing Honda)

Se è vero che dallo sport c’è sempre qualcosa da imparare, questo spaccato ha insegnato a chi segue la F1 (ma anche a chi non), che patire delle sofferenze a livello psicologico, o avere delle défaillance in termini di atteggiamento mentale, non è una debolezza. Anzi, riuscire ad ammetterlo è solo una forza.


F1 Autore: Silvia Napoletano@silvianap13

Foto: F1, Lewis Hamilton, Nico Rosberg, Yuki Tsunoda

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