Nel panorama mondiale della F1, l’assordante silenzio Ferrari in merito all’uscita di scena di Mattia Binotto è significativo. A differenza di quanto accaduto di recente, la storica scuderia italiana non ha ritenuto necessario fare nuovamente chiarezza su quelle che erano state definite “speculazioni apparse su alcuni organi di stampa”.
La sensazione è chiara: pare infatti che il team di Maranello e il manager di Losanna siano ormai separati in casa. Il giudizio di Benedetto Vigna (AD Ferrari, nda) sul mondiale 2022 in tal senso non lascia spazio a molte interpretazioni:
“Non sono soddisfatto del risultato ottenuto, anche perché il secondo è primo dei perdenti. Sono contento dei progressi fatti, ma non della posizione in finale nel campionato. Credo che la nostra squadra abbia le carte in regola per migliorare nel tempo”.
Valutazione dei risultati sportivi sensibilmente diversa rispetto a quella fornita agli azionisti in occasione dell’ultima trimestrale. Probabilmente il top management della Ferrari non ritiene più accettabile la sola piazza d’onore e soprattutto le modalità con la quale è stata raggiunta.
La sconfitta fa parte del gioco in qualsiasi contesto competitivo, tuttavia assume un valore diverso a seconda delle modalità attraverso le quale matura. Perdere una sfida sul filo di lana è dannatamente doloroso, siamo d’accordo, ma in questo caso può essere metabolizzata consci di aver massimizzato il potenziale a disposizione. Alzare bandiera bianca con clamoroso anticipo in quella che doveva essere la stagione del riscatto, al contrario, è stato percepito come grande disfatta.
Tuttavia vale la pena ragionare sull’accaduto, pensando che ricondurre gli insuccessi della rossa alla sola gestione di Mattia Binotto non sia del tutto corretto. Nel corso del suo mandato, l’ingegnere di origine svizzera ha fronteggiato diverse situazioni spinose: dalle presunte irregolarità della power unit 064 alla sofferta gestione piloti, troppo spesso insofferenti rispetto alle scelte operate del team.
F1: fallimento del modello Marchionne o della gestione Binotto?
Correva l’anno 2017 quando l’allora presidente della Ferrari, Sergio Marchionne, varò la politica autarchica promuovendo Binotto come uomo della svolta. Il ruolo affidato a Mattia non fu certo semplice. L’arduo compito era quello di riorganizzare completamene i reparti e, al medesimo tempo, elaborare una nuova organizzazione del lavoro valorizzando tutte le risorse interne a disposizione.
L’esempio lampante di tale provvedimento risponde al nome di Enrico Cardile, passato dal settore stradale al mondo della massima categoria del motorsport, coprendo il delicato ruolo di capo del comparto aerodinamico del Cavallino Rampante.
La Ferrari disegnata da Marchionne ha visto occupare quasi la totalità dei posti chiave da italiani: Simone Resta capo progetto, Lorenzo Sassi alla gestione power unit, Giacomo Tortora incaricato dello sviluppo del veicolo. Il tecnico spilungone mise in mostra eccellenti qualità organizzative, offrendo una possibilità di riscatto a molto specialisti del Reparto Corse che, conti alla mano, erano finiti in secondo piano con l’arrivo di James Allison alla conduzione tecnica della scuderia.
Nonostante il discreto biennio 2017/2018, la squadra modenese dovette soccombere allo strapotere Mercedes. Per di più, la prematura scomparsa di Sergio Marchionne nel luglio del 2018, segnò uno spartiacque nella storia recente della rossa.
Nel frattempo la convivenza tra Maurizio Arrivabene, team principal da oramai quattro anni, e Mattia Binotto, responsabile dell’area tecnica, poco a poco divenne insostenibile. Scenario che ahimè aveva da tempo lasciato intravedere una crepa insanabile nel modo di pensare dei due.
Il calo di risultati nella seconda parte del mondiale 2018 convinse John Elkann a consegnare le chiavi della GES a Binotto: era il 7 Gennaio 2019. Nel giro di pochi mesi Ferrari perse Marchionne, una delle figure più influenti nel panorama mondiale dell’automotive, e il manager bresciano Arrivabene, al quale era stato affidato il compito di risollevare le sorti della scuderia dopo la prima e disastrosa stagione dell’era turbo ibrida.
Dal 2019 Binotto ha seguito la politica autarchica di Marchionne, non senza alcune fughe di risorse alquanto discutibili e il perenne esilio di Simone Resta, brillante chief designer “accomodatosi” in Alfa Romeo e successivamente in Haas.
F1/Ferrari: quando il made in Italy non regge
Risultati alla mano, purtroppo, il “modello italiano” si è rivelato anacronistico e tutt’altro che fattuale con il passare del tempo. Red Bull sta costruendo i proprio successi attraverso un massiccio insourcing di risorse umane provenienti da Mercedes. Il sogno di una storia vincente a tinte tricolori ha mostrato tutti i propri limiti, in un contesto dove il knowledge transfer, operato attraverso il reclutamento di figure professionali straniere di altissima qualità, si attesta come virtù piuttosto che dimostrazione di inferiorità.
Del resto, proprio grazie al reclutamento di figure come Ross Brawn, Rory Byrne e Gilles Simon, si gettarono le basi del dominio Ferrari di inizio millennio. Probabilmente Binotto, nel raccogliere il testimone da Arrivabene, ha sottostimato le difficoltà che avrebbe incontrato nel corso della sua gestione, sovrastimato allo stesso tempo le proprie capacità nell’amministrare diversi aspetti che esulano dalla mera sfera tecnica.
Il fallimento della gestione Binotto è stata la logica conseguenza dell’accentramento di troppe deleghe alla medesima persona, alle quale l’ex motorista avrebbe dovuto sottarsi per il suo bene e per quello della scuderia.
Per troppi anni Mattia ha colmato l’assenza ingiustificata dei vertici Ferrari, pur non avendo carisma e potere per assumere determinate posizioni. Il famigerato “settlement agreement” con la FIA del Febbraio 2020 ne è un esempio lampante. In tal senso, sbirciando al prossimo futuro, la sostituzione di Binotto senza modificare il paradigma organizzativo e societario non sembra sufficiente per raggiungere l’anelito tanto bramato: tornare a vincere…
Autore e grafiche: Roberto Cecere – @robertofunoat
Foto: Scuderia Ferrari