Durante gli ultimi giorni, la cronaca della F1 riguarda principalmente aspetti che esulano da novità tecniche o evidenze emerse in pista. A tenere banco è infatti la posizione del team principal della scuderia italiana Mattia Binotto. L’involuzione prestazionale della F1-75 non è il solo fattore che mina la credibilità del manager italosvizzero.
La stagione 2022, nelle speranze di tifosi e management della Ferrari, doveva rappresentare l’anno del riscatto. Il nuovo regolamento tecnico era da tempo idealizzato come l’opportunità da cogliere per tornare almeno in lotta per due i titoli mondiali. In tal senso, l’area tecnica della squadra di Maranello ha realizzato una monoposto innovativa dal punto di vista aerodinamico, quanto ardita per quanto concerne l’unità di potenza.
Purtroppo però, nel corso del mondiale sono emerse ataviche carenze e imprevedibili criticità che hanno totalmente modificato l’inerzia del campionato. Analogamente al recente passato, Ferrari non è riuscita a sviluppare la specifica di base della vettura con la medesima reattività ed efficacia della concorrenza. Il freeze degli update in estate certifica questa congettura.
L’imprevedibile criticità delle wing car sotto forma di porpoising ha evidenziato la debolezza diplomatica della dirigenza. Dall’alto del suo prestigioso ruolo, Ferrari avrebbe potuto e dovuto costruire un sistema di alleanze fattuale, affinché la problematica del pompaggio fosse risolta dai team e non da una direttiva della FIA.
Federazione Internazionale che non poteva certo assistere impassibile all’impasse tecnica di alcune squadre e, di conseguenza, ha dovuto agire nel proprio interesse a tutela dell’integrità fisica dei piloti. La gestione di Binotto è stata caratterizzata anche da una strategia comunicativa a tratti controversa.
Basti ricordare il comunicato relativo all’indagini condotte sulla power unit di Leclerc a valle del Gran Premio di Spagna che, in teoria, escludeva problemi di natura strutturale poi smentiti dalle numerose omologazioni a cui sono stati obbligati tutti i team motorizzati Ferrari.
F1: la difficile amministrazione dall’introduzione delle power unit
Il parallelismo relativo ai numerosi avvicendamenti con l’introduzione della tecnologia turbo ibrida, facendo mente locale, con ogni probabilità può essere definito qualcosa di più che una coincidenza.
E’ innegabile, di fatti, che la storica scuderia modenese abbia quasi sempre patito un gap tecnologico rilevante nei confronti delle power unit prodotte a Brixworth, senza dubbio almeno sino alla stagione 2018.
Successivamente, il controverso “settlement agreement” stipulato con la federazione internazionale nel febbraio 2020, è andato ad annullare il vantaggio competitivo racimolato dal Cavallino Rampante proprio nell’ambito delle unità di potenza, obbligando la scuderia pluri premiata ad una lenta risalita per tornare ai massimi livelli prestazionali.
F1/Ferrari: e se il problema non fossero i manager?
Nonostante l’elevato spessore professionale e il diverso background dei team principal che si sono succeduti nel recente passato, all’interno della Ferrari sembrano riproporsi ciclicamente i medesimi problemi. Pertanto una riflessione è d’obbligo: e se le difficoltà non dipendessero dal capo dell’aria tecnica?
Secondo il più classico degli stili manageriali, quando un reparto o divisione d’azienda non raggiunge i risultati assegnati, a farne le spese è la figura che ne detiene la responsabilità. Una caccia alle streghe che spesso però non produce l’effetto desiderato.
La linea autarchica promossa da Sergio Marchionne, così come il modello di fabbrica a “comando orizzontale” traslato in Ferrari dal manager italo canadese, potrebbe non risultare lo schema organizzativo più efficiente per una realtà atipica come quella di una scuderia di F1.
La valorizzazione dei talenti nostrani ha per anni precluso l’insourcing di risorse provenienti dai principali competitor. Dinamica consueta nella massima categoria del motorsport, volta ad acquisire parte della conoscenza dei principali concorrenti.
Viceversa, negli ultimi anni, abbiamo assistito ad una lauta migrazione di menti brillanti in fuga Maranello verso altri lidi. Tale opera di knowledge transfert ha potenziato la competenza. Basti pensare al sensibile insourcing messo in atto da Red Bull ai danni di Mercedes. In sostanza una struttura chiusa su sé stessa e poco aperta al cambiamento.
Benché il change management sarà probabilmente effettuato attraverso l’allontanamento di Binotto, tuttavia resta viva la sensazione che le sorti sportive della Ferrari siano legate a un radicale cambiamento culturale all’interno della GES.
Autore e infografiche: Roberto Cecere – @robertofunoat