17 vittorie e 759 punti nel campionato Costruttori. Il primo avversario, la Ferrari, a 205 lunghezze. Un siffatto dominio, in F1, non lo si vede spessissimo. La Red Bull ha imposto il suo marchio sul primo anno in cui il nuovo contesto regolamentare preteso da Liberty Media è stato operativo. Ua sostanziale flop quello del colosso americano, ma non una bocciatura totale perché gli effetti andranno valutati nelle stagioni a venire. Fatto sta che il tanto annunciato appiattimento prestazionale non s’è mai visto.
Solo nelle prime dieci gare abbiamo potuto osservare un certo equilibrio tra soli due team che erano riusciti a fare il vuoto. Poi Milton Keynes ha preso in mano le operazioni e, anche grazie all’andamento da testuggine della Ferrari, ha aperto una forbice che alla fine ha reso il mondiale una noia in salsa austriaca con un unico sprazzo di argento determinato dalla vittoria di George Russell, in Brasile. Appuntamento che è coinciso con una RB18 misteriosamente smarritasi nella definizione del setup. Una battuta d’arresto temporanea che non ha illuso la concorrenza. E, difatti, ad Abu Dhabi le cose sono tornate alla normalità.
F1. Red Bull: un modello vincente con un piccolo difetto
Red Bull è stata capace, in due stagioni, di abbattere l’imperio Mercedes che giungeva da otto anni di vittorie quasi incontrastate. E lo ha fatto sublimando il modello che essa stessa ha definito negli anni in cui si imponeva per la prima volta in F1: mettere al centro della vita del team uno e un solo pilota. Un pivot intorno al quale far ruotare l’intera scuderia, su ogni frangente: tecnico, sportivo e organizzativo. Un paradigma che ha funzionato negli ultimi due mondiali e che era altrettanto efficace agli albori degli Anni Dieci.
In casa dei campioni del mondo è come se esistesse una maledizione, una specie di sortilegio che li rende incapaci di piazzare una doppietta nella classifica piloti quando vincono l’iride costruttori. Se un evento si verifica di rado possiamo parlare di caso fortuito; se la cosa si realizza con totale ciclicità allora dobbiamo allontanarci dalla sfera cabalistica.
Come dimostra l’infografica in alto, sin dai tempi di Sebastian Vettel, la Red Bull non riesce a mettere in condizioni di esprimersi al meglio il secondo pilota. Sgombriamo subito il campo da ogni dubbio: Milton Keynes non pone i due conducenti sullo stesso piano. Prevede, anzi, di costruire una coppia molto sbilanciata. Sergio Perez non possiede le doti di pilotaggio di Verstappen. Quando nel team c’è stato un conducente capace di eguagliare le performance dell’olandese, leggasi Daniel Ricciardo, questi è stato messo in condizione di liberare l’aria e andare laddove l’ambiente di lavoro non fosse troppo afflittive.
Lo stesso schema veniva alimentato ai tempi di Vettel. Mark Webber non è mai stato all’altezza del tedesco e anche quando è stato in lizza per giocarsela, evento molto raro, non gli è stato concesso concretamente di duellare. Chris Horner, dunque, crea scientificamente un effetto collaterale figlio di una politica gestionale che pone come fulcro del progetto un solo leader con un gregario che incontra difficoltà che vanno dal complesso adattamento alla vettura e all’impossibilità di poter liberamente cogliere le occasioni che la pista offre. Un piccolo inconveniente in un modello vincente. Sì, perché si tratta di rischi e di controindicazioni ponderate con attenzione e ritenute quasi necessarie per varcare i cancelli della gloria.
E’ eloquente quando accaduto in questo 2022 appena archiviatosi. La RB18, nella fase embrionale del campionato, era una vettura non troppo aderente allo stile di guida di Verstappen. Con un avantreno tendente al sottosterzo ed un posteriore più solido era praticamente cucita addosso a Sergio Perez che, non a caso, era partito molto bene mettendo in difficoltà il più talentuoso compagno di garage. Con una serie di update mirati e che hanno riguardato soprattutto l’alleggerimento del corpo auto, il mezzo ha mutato le sue caratteristiche dinamiche ritornando ad avere un anteriore molto preciso e un asse arretrato meno solido. Così come piace a Max che è un maestro nel controllare la tendenza ad allargare dell’asse posteriore.
Da Imola in poi, dunque, la monoposto concepita da Adrian Newey è diventata una lama affilata nelle mani di Max che ha sbaragliato la concorrenza andando a chiudere una stagione da record. Un substrato tecnico che ha messo l’olandese nella sua comfort zone trasformandolo in un cannibale. Un po’ quel che accadeva con le vetture di inizio decennio scorso che sublimavano le peculiarità del pilota di Heppenheim che ieri ha detto addio al Circus (leggi qui).
Se, in questo contesto molto favorevole, si associa un team che marginalizza le velleità di successo della seconda guida è difficile che questa possa esprimersi al massimo. Chiaramente questo ragionamento non vuole essere una difesa d’ufficio nei riguardi di Perez che le sue responsabilità le ha. Ma se, come successo ad esempio a Barcellona, un driver è obbligato a ricorrere a strategie inefficaci per favorire, noblesse oblige, un Verstappen nella fattispecie pasticcione, allora anche raggiungere un secondo posto in classifica con un missile sotto le natiche diventa operazione più complessa del normale.
Red Bull, quindi, si tiene alla larga dagli schemi in cui credono Mercedes e Ferrari che hanno costruito, in questo 2022 e per gli anni a venire, lineup molto equilibrate e che, nel procedere del campionato, si sono sottratte vicendevolmente dei punti. Un modello che può fruttare se alla base c’è una vettura così dominante da non doversi curare degli avversari (vedi AMG 2014-2016). Una struttura che può andare in crisi se tra due o più team si presentano equilibri solidi. Ciò che è accaduto fino al GP di Francia. Cosa che ha determinato il dipanarsi di un cinismo dirigenziale dei Milton Keyes che ha deliberatamente messo in condizioni Verstappen di massimizzare i risultati.
Red Bull, or dunque, opera in piena consapevolezza contemplando il rovescio della medaglia di un’intelaiatura vincente per ottenere la quale è necessario pagare un dazio effimero. Perché i risultati arrivano copiosi e, alla lunga, nessuno rimarcherà più di tanto che non v’è stata mai una doppietta nella classifica piloti. Che altro non era, se vogliamo essere realisti, una sorta di sfizio per un team che pone sul piedistallo la sua punta di diamante.
Autore e infografica: Diego Catalano – @diegocat1977
Foto: F1, Oracle Red Bull Racing