domenica, Dicembre 22, 2024

È Mercedes la causa del dominio Red Bull?

E se fosse stata proprio la Mercedes la causa della fine dell’imperio della Stella a Tre Punte? Messa così suona come una provocazione. Ma potrebbero esserci solide basi su cui fondare il concetto. La scuderia di Brackley ha dominato l’era turbo-ibrida della F1 per otto anni: 15 titoli su sedici, con l’ultimo sfuggito sulla sirena finale anche a causa di scelte “singolari” operate da un disastroso Michael Masi che ha visto ridimensionata la sua carriera dopo i pasticci di Abu Dhabi 2021.

E’ notizia di ieri, difatti, del suo ingresso nel karting australiano. Non ce ne vogliano i kartisti, ma si tratta di un downgrade clamoroso se pensiamo che dodici mesi fa il manager di Sydney era il racing director della massima organizzazione del motorsport. Un tonfo sonoro e forse meritato.

Ma non divaghiamo. Perché Mercedes è vittima del suo stesso modello vincente? Semplice, perché ha dato agli avversari un paradigma da seguire, uno schema da copiare, una serie di procedure da applicare per scalare i dolenti gradini che portano alla vetta.

Red Bull ha proprio fatto ciò. Si è appollaiata a guardare. Per lunghi anni è stata autrice di un’osservazione partecipata nella quale ha preso appunti ed ha mutuato le parti vincenti di un’intelaiatura efficace per conglobarle nel proprio DNA corsaiolo creando quel mix esplosivo che ha spezzato le reni alla franchigia di Brackley.

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Uno scatto della power tedesca unit che equipaggia la Mercedes W13

F1. Mercedes un esempio motoristico da copiare per vincere

Mercedes ha costruito il suo impero su una visione che è riuscita a rendere tangibile con un lavoro politico certosino: vendere ai padroni della F1 l’idea che le power unit turbo-ibride fossero il futuro della propulsione. Decisori e squadre si sono convinti che questo fosse il modello più efficace. Proprio questo è stato il terreno di coltura nel quale gli anglotedeschi hanno piantato i semi del dominio. Tutte la vetture che si sono succedute dal 2014 al 2021 hanno potuto contare su un motore solido, efficiente, performante. Cosa che i rivali non hanno sempre avuto.

Red Bull ha quindi compreso che serviva un cuore pulsante di livello assoluto su cui cucire una veste aero-meccanica idonea. E chi poteva farlo se non il genio assoluto della F1 moderna che risponde al nome di Adrian Newey? Quando gli è stato chiesto cosa ha imparato durante gli anni comandati della Mercedes l’ingegnere di Stratford-pon-Avon ha spiegato: “Avere un motore forte. Siamo entrati nell’era ibrida e Renault non era pronta. E’ stato piuttosto deprimente perché ti rendi conto che se fai un lavoro spettacolare al massimo puoi strappare qualche vittoria strana, ma non vincerai mai un campionato“.

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Oracle Red Bull Racing F1: Max Verstappen, Christian Horner e Adrian Newey festeggiano la vittoria

Viene da sé che il successo della Red Bull di questi due ultimi anni passi per il legame con Honda che, dopo aver detto addio alla McLaren, ha usato la controllata AlphaTauri per fare quello scatto prestazionale e di affidabilità che ha messo il team in condizione di sfornare due vetture grandiose che rispondono al nome di RB16B e soprattutto RB18, un mezzo che ha letteralmente ed inappellabilmente annichilito la concorrenza. A partire dalla Mercedes che nel 2022 si è nutrita di briciole lasciate qua e là da Max Verstappen.

Il passaggio al costruttore nipponico – che l’anno venturo sarà nuovamente partner esterno di Red Bull (Milton Keynes sta accantonando l’idea di farsi il suo reparto powetrains?) – è stato un reset vero e proprio: “Penso che uno dei punti di forza del team – ha spiegato Newey – sia che abbiamo abbassato la testa e superato quel periodo. Una volta che abbiamo avuto di nuovo una buona power unit, grazie alla partnership con Honda, siamo stati in grado di rispondere“.

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Vista frontale del propulsore giapponese (Honda RA620H) montato sulle vetture Red Bull Racing austriache durante la stagione 2021.

F1. Red Bull: la capacità di saper cambiare

E’ servito un grande sforzo a Milton Keynes. Negli anni duri Chris Horner ha lavorato per serrare i ranghi e per confortare Verstappen sul fatto che il futuro del team sarebbe stato roseo nonostante le difficoltà motoristiche. La lungimiranza del manager inglese è sotto gli occhi di tutti e il fatto che Max abbia sottoscritto un contratto che scadrà a fine 2028 indica che anche il possibile addio a Sakura (si parla insistentemente di un accordo con Ford, leggi qui) non spaventa gli uomini forti della squadra.

D’altro canto è la stessa storia della Red Bull che insegna che cambiare non è sinonimo di arretrare. I vertici hanno sempre capito che dalle mutazioni possono nascere situazioni vantaggiose. E così è stato quando si decise di rompere con la Losanga per puntare su un propulsore che per molti era il “Calimero” della F1. Honda s’è tolta molti sassolini dalle scarpe impartendo una lezione a chi, leggasi Mercedes, era considerata il punto di riferimento assoluto. E forse è proprio questo che sta inducendo le posizioni apicali dell’azienda nipponica a rimanere anche dopo il 2025. Ma con un altro team. Perché, evidentemente, le sfide più soddisfacenti sono quelle che partono dal basso.


Autore: Diego Catalano – @diegocat1977

Foto: F1
, Mercedes AMGOracle Red Bull Racing

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