Divisione del lavoro. Un concetto trattato da molti autori che si può applicare, con i necessari distinguo, ad ogni ambito operativo. Quindi, perché no, anche alla F1. Parliamo, sintetizzando al massimo, della facoltà d’aumentare l’abilità del lavoratore nello svolgere una particolare operazione nel processo produttivo. Secondo Adam Smith, il padre degli economisti classici, la produttività del lavoro può crescere con una puntuale organizzazione delle mansioni.
Prendiamo il caso di una scuderia della massima serie. Tra i due piloti è conveniente individuare ruoli ben precisi per massimizzare la produttività che nel caso del motorsport possiamo sintetizzare nell’attitudine ad incamerare punti iridati. Nel corso del tempo uno dei due driver si specializza nell’essere la prima punta, colui il quale sublima le performance di una data vettura; mentre l’altro si concentra nel supportare il compagno più performante mettendolo in condizioni di operare al meglio.
La specializzazione del lavoro, quindi, consente al primo pilota di esprimersi meglio poiché esalta le proprie abilità visto che può badare ad essere più veloce compiendo meno errori. Lo stesso accade al secondo che vede delineati i suoi ambiti applicativi senza l’assillo psicologico della vittoria a tutti i costi. Entrambi i lavoratori, citando ancora Smith, divengono così più efficaci. La separazione rigida di compiti ha aumentato la produttività di ciascun conducente e il team ha ottenuto una maggiore quantità di produzione. Ossia di punti. Questo modello porta alla piena efficienza.
F1. Red Bull: l’efficacia del modello ad una punta
Accantoniamo Smith che ci è servito per descrivere come un team come Red Bull operi in F1 con risultati strabilianti. Sin dal debutto, datato 2005, Milton Keynes ha agito con uno schema piuttosto rigido: un pilota a fare da pivot e l’altro a fungere da gregario. Un modello standard che ha avuto qualche stagione di pausa in cui il livello della tensione tra i due alfieri è andato quasi fuori controllo. Si pensi ad alcune scaramucce tra Max Verstappen e Daniel Ricciardo.
La prassi dice che la franchigia austriaca ha ottimizzato le prestazioni quando al singolo è stata affidata la piena capacità di vincere. E’ successo nel regno di Sebastian Vettel, accade con Verstappen a cui non sono mai stati affiancati piloti di calibro che potessero solleticarlo.
Quando questo è avvenuto, e ci riferiamo all’inizio del 2022, le cose sono state messe subito in chiaro ponendo l’olandese al centro del programma tecnico con una serie di sviluppi che hanno portato la RB18 nella sua comfort zone. Quel che accade in Red Bull, dunque, è tangibile ed incontrovertibili. Singolare che Max Verstappen abbia alluso a quanto succede nella sua scuderia riferendosi ai rivali della Mercedes ove il modello è leggermente diverso: dare pari opportunità ai piloti per poi puntare sul singolo quando classifica e necessità lo richiedono.
F1. Il transfert psicologico di Verstappen
“Ogni anno tu inizi la stagione con la mente sgombra, ma dopo qualche gara ti rendi conto che nuovamente non succederà di battere il tuo compagno e accetti il tuo ruolo. Continui a gareggiare, puoi salire sul podio, vincere alcune gare, fare alcune pole position. Devi solo accettare che il pilota accanto a te sia un po’ più bravo. Va bene così, può succedere. È importante che lui l’abbia accettato alcuni piloti non riescono a farlo e poi le cose iniziano ad andare molto male e allora non sopravvivi a lungo“. Il lui sarebbe quel Valtteri Bottas demolito da Lewis Hamilton.
“Non voglio fare nomi ma bisogna accettare il proprio ruolo. Non si può vivere in un mondo di favole“. Forse il nome celato è proprio quello di Sergio Perez che, non solo è messo in secondo piano da un talento palesemente inferiore, ma è anche posizionato nella scomoda condizione di spalla per realizzare quella divisione del lavoro che incrementa la produttività del team. E dello stesso Verstappen.
Lungi da noi ritenere Max un pilota meno forte di quello che è solo perché ottiene i favori del proprio team. Anzi, fotografare questa dinamica evidentissima non fa che confermare che solo i più grandi possono godere di cotanta considerazione da meritarsi di essere l’ingranaggio centrale di un meccanismo gigantesco e complesso quale è un qualsiasi team di F1. Figuriamoci di quello che è riuscito, anche grazie alla centralità del suo pilota, a spezzare l’interregno Mercedes che durava da tanto, troppo, tempo.
Alla fine, ne siamo consapevoli, si tratta di chiacchiere invernali necessarie a far passare le settimane in attesa che i motori tornino a rombare. Quando questo accadrà rivedremo il modello replicarsi ancora, nell’eterna riconcorsa dei secondi che sperano di battere i primi. Una favola che quasi mai ha un lieto fine.
Autore: Diego Catalano – @diegocat1977
Foto: F1, Mercedes AMG, Oracle Red Bull Racing