Torna un ospite di lusso con Marco Santini e Mariano Froldi in Spit Stop, video-rubrica settimanale sulla F1 in onda sui canali social di Formula Uno Analisi Tecnica. Leo Turrini, decano dei giornalisti del motorsport, si è espresso sui temi caldi del momento che attraversa la Ferrari. Maranello è difatti alle prese con la gestione del buco di potere lasciato dalle dimissioni di Mattia Binotto.
Nell’intervento del cronista sassolese sono state analizzate le dinamiche che hanno portato al divorzio e, nella seconda parte che potrete leggere a breve in un altro articolo dedicato, si postulano gli scenari che dovrebbero concretizzarsi a gennaio, mese in cui dovremmo sapere i nomi degli uomini che occuperanno le caselle del team principal e del direttore tecnico che, fino al 31 dicembre, risultano ancora essere accorpate nella figura del “Faraone Binotto“. Ecco la prima parte dell’intervento di Turrini.
F1. Ferrari: la contraddizione dell’uomo solo al comando
La chiacchierata non poteva non partire dal terremoto che si è abbattuto sugli uffici della GES. Che cosa dobbiamo aspettarci dalla Ferrari in piena ristrutturazione visto che Binotto era una figura che accentratrice e che giocava diversi ruoli? “All’interno della Scuderia non erano pochi quelli che sottovoce chiamavano Mattia ‘Il Faraone’ proprio perché, all’inizio del 2019, la proprietà della Ferrari ha fatto una scelta senza precedenti a meno di non tornare a 50 anni prima. Ha di fatto unificato nella stessa figura il ruoli di responsabile tecnico e di Team Principal“.
“L’ultimo esempio del genere – ha spigato Turrini – era Mauro Forghieri, fino al1972. Già allora, però, Enzo Ferrari capì che i tempi stavano cambiando e volle il giovane Montezemolo come direttore sportivo, oggi team principal, proprio per separare le due funzioni. E Forghieri mi ha sempre detto che fu la fortuna sua e della Ferrari perché ormai era diventato impossibile seguire in contemporanea la questione sportiva, i regolamenti tecnici, i rapporti con la FIA, le relazioni con gli sponsor e la parte tecnica“.
“Oggi, in F1, c’è solo la Ferrari ad avere questa centralizzazione nella figura del Faraone Binotto. E’ stato un errore, l’ho scritto e detto allora. Ma non perché Mattia non avesse le competenze, ma perché è impossibile fare bene entrambe le cose. Per la Red Bull, ad esempio, a discutere di regolamenti ci va Chirs Horner e non Adrian Newey; per le Mercedes ci va Wolff e per la questioni tecniche se ne occupa James Allison. E’ stato fatto un errore ma è stato commesso da Elkann e dai vertici dell’azienda di allora“.
“Non dico che Ferrari non abbia vinto il titolo in questi quattro anni perché Binotto ha ricoperto il doppio incarico, dico che è stata una scelta che, come era facilmente prevedibile, si è rivelata infelice. E’ necessario che ci sia una ripartizione delle competenze. Ai tempi di Jean Todt questi aveva una funzione fondamentale in quella Ferrari, così come ce l’aveva Ross Brawn: uno era il TP, uno il DT. Chiaro che i due debbano avere un’intesa di ferro.
“Arrivabene e Binotto non funzionavano, erano cane e gatto” ha svelato il giornalista. “Ma non si risolve la cosa dicendo <<diamo tutto in mano a uno solo>> perché questi, alla fine, finisce sommerso dalle incombenze e finisce che arriviamo sotto Natale senza team principal. Non abbiano un direttore tecnico e abbiamo solo la macchina che è già pronta. E bisogna sperare che nasca bene. Chiunque verrà ad occupare quei ruoli si troverà a gestire una situazione difficile se la macchina non dovesse essere all’altezza”.
Leo Turrini si dice convinto che Maranello possa mutuare il paradigma tricefalo di chi ha dominato il campionato 2022: “Si arriverà ad un modello Red Bull, faranno una cosa tripartita. Ci sarà un nuovo TP, dovranno individuare un responsabile tecnico e mi aspetto l’aggiunta di un manager a chi affidare tutto il discorso di politica, gestione della comunicazione e con la Federazione”.
F1. La proprietà Ferrari tiene davvero all’aspetto corsaiolo?
“In Ferrari c’è un problema che riguarda la considerazione che i tecnici dell’azienda possono/vogliono dedicare al Reparto Corse. Nei mesi del budget cap gate avete sentito un solo intervento di Elkann o Vigna su questi argomenti che esulano dal discorso tecnico-sportivo? Se Mateschitz e Kallenius non sono parimenti intervenuti è perché Red Bull e Mercedes hanno strutture diverse. Il Ferrari il n°1, che fosse Enzo Ferrari, Luca Montezemolo o Sergio Marchionne, si rendeva conto che faceva parte del suo ruolo e del suo prestigio essere presente sulle problematiche che richiedevano la dimostrazione di un interesse concreto dell’azienda“.
“Binotto è stato lasciato solo, è stato un faraone che se si voltava all’indietro non vedeva nessuno. E non parlo dal punto di vista tecnico, ma a livello politico. Nel anni precedenti l’era Schumacher non fu tutto semplice, ma se c’erano pressioni sul team c’era un presidente, Montezemolo, che interveniva e proteggeva la squadra facendo sentire il supporto dell’azienda. Questo non si è visto né negli anni del faraone Binotto né in quelli del satrapo assiro Arrivabene. Questo tipo di protezione non l’ho vista. Se un’azienda nei sui vertici non ha fiducia in un manager è giusto che lo cambi. Se Elkann è arrivato a quella conclusone è giusto che lo abbia mandato a casa“.
“Ciò che non è giusto – ha spiegato il giornalista emiliano – è che sapremo il nuovo direttore all’anno nuovo. La verità è che non sono pronti per indicare un successore il che è grave. Io credo che John Elkann voglia vincere, si rende conto che la presidenza della Ferrari che è un gioiello del gruppo Exor, sarebbe più valorizzata se Maranello vincesse in F1. Non è vero che non ci tengono, credo che ci si debba interrogare se hanno la consapevolezza di capire quale sia il loro compito per far tornare la Ferrari da GP alla vittoria“.
“Su Vigna mettiamo un punto interrogativo perché a Maranello è nuovo ed ha avuto bisogno di un periodi di rodaggio alla F1 perché è un mondo inedito per lui. Vedremo ora che scelte farà con le soluzioni che darà al vuoto di potere. Il presidente è quello lì, quello di Baku. Colui il quale, dopo essere stati quasi doppiati, disse <<vado a casa contento perché abbiamo fatto il giro veloce>>. La strada è lunga per accendere il fuoco della passione sportiva. Lui forse ce l’ha per la vela. Ma se fai il presidente della Ferrari ti devi mettere a studiare la F1“.
Horner ha provocato dicendo che in Ferrari i dirigenti cambiano come nel calcio si cambiano gli allenatori. Da quando è in F1 ne ha visti sei avvicendarsi a Maranello. Ecco il Turrini-pensiero che si lega direttamente a quanto evidenziavamo in un editoriale che potete recuperare a cliccando qui: “Questa è parte del problema e non riguarda solo la presidenza Elkann. Domenicali e Mattiacci sono andati via con Montezemolo presidente; Arrivabene è stato nominato da Marchionne, Binotto da Elkann. Ora ne arriva un altro: 5 team principal in meno di 10 anni. É uno modo di procedere assurdo. Sembriamo una società di calcio sgangherata che ad ogni delusione cambia allenatore.
“A me dispiace di questo epilogo dell’affare Binotto. E’ che si è creduto in un certo tipo di progetto e dobbiamo ammettere che nel 2022 la Ferrari ha fatto un progresso al di là di quanto successo nella seconda parte di stagione. Ha fatto 12 pole, è arrivata seconda in campionato. Se uno guarda dietro vede una linea di tendenza positiva. Poi mi possono dire degli errori di strategia, dell’affidabilità – e forse Binotto non era adatto per quello – ma siamo andati a fare questo pandemonio a chiusura di un anno che è stato il più brillante da molto tempo a questa parte. E ora vai a cambiare“.
“La Red Bull ha dominato fino al 2013 – ha amaramente constatato Turrini – E nell’era turbo-ibrida è servita la magia di Michael Masi, che non smetterò mai di ringraziare, per ritornare a toccare palla, detto in termini calcistici. Horner era sempre lì. Così come Newey. Possibile che nello stesso lasso di tempo Ferrari ne cambia così tanti? Ma, ribadisco, la responsabilità non è solo di questa presidenza“.
“Mi auguro che chi comanda in Ferrari si renda conta che è necessario trasmettere a tutto il popolo rosso il messaggio che la proprietà ritiene indispensabile avere una Rossa che sia competitiva per vincere in F1. Il che non significa avere la certezza automatica di trionfare, ma dire a chi lavora per te che è una cosa fondamentale”.
Questa la prima parte dell’intervento ai microfoni di Spit Stop. Vi rimandiamo alla seconda in cui si analizzano le possibili mosse che Ferrari valuta per allocare i tasselli del puzzle.
Autore: Diego Catalano – @diegocat1977
Foto: F1, Scuderia Ferrari, Oracle Red Bull Racing