Il rapporto tra Mattia Binotto e la Ferrari F1 si è interrotto in un processo a tappe. La prima stazione della via crucis è quella del 29 novembre quando un algido comunicato stampa avvisava che la scuderia italiana aveva accettato le dimissioni che l’ingegnere di Losanna aveva presentato ai vertici del team. Binotto aveva poi svolto le sue mansioni ad interim fino al 31 dicembre, quando il suo defenestramento è stato ratificato dalla scadenza contrattuale. Il nove gennaio, terza tappa di questo processo di mutazione manageriale, è coinciso col giorno della piena operatività di Frédéric Vasseur che è chiamato a ristrutturare l’equipe italiana.
Il percorso che porta ad un addio non è mai netto e spesso ci sono eventi scatenanti che ne accelerano la soluzione finale. Il 2022 della Ferrari è stato lastricato da piccole grandi problematiche che hanno trasformato un anno potenzialmente da sogno in una stagione di delusioni e di mestizia. Perché, da luglio in poi, la F1-75 è diventata la copia sbiadita di quell’esaltante disegno che era nella prima parte di campionato. L’aver bloccato consapevolmente gli sviluppi, come ammesso dallo stesso Binotto, è stato uno dei motivi per i quali la dirigenza ha iniziato a manifestare intolleranza.
Ma non è il solo aspetto penalizzante per l’ingegnere occhialuto. Binotto paga lo scotto di non aver risolto i problemi di affidabilità di una power unit forte ma fragile. Non che dovesse essere lui in prima persona a farlo, ma la comunicazione circa il da farsi è stata fallace. Le soluzioni di breve termine non si sono viste e la rotazione compulsiva di elementi del propulsore ha portato troppi arretramenti in griglia. Politica che non è stata nemmeno capace di far girare lo strumento al massimo regime.
F1. Ferrari/Binotto: strategia soccombente
C’è un altro aspetto che ha generato particolare insoddisfazione: il management della sfera strategica. Tanti gli episodi controversi che non hanno quasi mai trovato una critica pubblica. Anzi, si sono osservate troppo spesso difese a spada tratta apparse fuori contesto e soprattutto inadeguate a produrre un necessario cambio di rotta. E proprio uno di questi momenti potrebbe essere alla base della frattura insanabile che si è aperta nella scuderia.
Il nastro va riavvolto al gran premio di Inghilterra in cui arriva la prima vittoria in carriera di Carlos Sainz che coincide con l’ennesimo episodio in cui le ambizioni di titolo di Charles Leclerc vengono mortificate da un muretto box particolarmente dormiente, inabile a leggere le mutevoli condizioni della pista. Il n°16, nonostante una gara gagliarda con gomme inadatte (spettacolare il sorpasso su Lewis Hamilton in palese condizione di superiorità tecnica, ndr), non nascose il suo disappunto circa lo stratagemma attuato dalla Ferrari che non lo richiamò ai box in regime di Safety Car.
Charles sbottò in pubblica piazza e, alla fine della gara, Binotto lo ammonì in favore di telecamere con fare non proprio paternalistico. Un’immagine divenuta iconica e che, probabilmente, più di mille parole o giustificazioni, spiega il disagio del monegasco e racconta dell’incrinatura del rapporto col suo ex team principal.
Secondo Peter Windsor, uno che la Ferrari la conosce avendoci lavorato a fine anni Ottanta come direttore dell’antenna britannica di Maranello, ritiene che si quello l’episodio scatenante: “Penso che tutto sia arrivato al culmine quando Charles è stato inspiegabilmente lasciato in pista nelle fasi finali del Gran Premio di Gran Bretagna. Il ferrarista era l’unico con le gomme usate e ha pagato le conseguenze. Avrebbe dovuto vincere quella gara. Essendo infuriato se l’è presa con tutti via radio. Credo in particolare con Mattia“.
“Quando Leclerc è sceso dall’auto, in Parco Chiuso, Binotto ha fatto un movimento del dito verso di lui, come se volesse dire di non parlare così, che il capo era lui. E’ stato in quel momento, ha riferito l’ex Ferrari, che ho pensato che Binotto avesse i giorni contati perché non è possibile che contro una forza della natura come Leclerc si muova il dito come a volerlo zittire“.
Si tratta di opinioni e in quanto tali non possono avere la pretesa di essere elementi oggettivi. Ma di certo ciò che sottolinea Windsor non è errato. La sensazione che Silverstone 2022 sia stata una cesura storica della Ferrari è netta. Molto si è detto sulla forza del “clan Leclerc” guidato da Nicolas Todt, un manager dal cognome pesantissimo e che secondo qualcuno ha potuto influire sulle scelte dirigenziale del duo Elkann/Vigna. Ma la riprova di queste teorie non si avrà mai. C’è da registrare la fermissima volontà di Vasseur di impostare il rapporto tra i piloti sull’assoluta parità. Uguale possibilità di accesso alla lotta per poi decidere in corso d’opera un numero uno.
Questo modo di procedere, chiaramente, allontana i sospetti e genera un clima più sereno poiché chiaro, leggibile. Ma per giungere alla piena efficacia è altresì necessario ristrutturare la gestione strategica delle gare. Ad ora Inaki Rueda è saldamente al suo posto, ma il dirigente ex Sauber, nella conferenza tenuta la settimana scorsa a Fiorano, ha chiaramente affermato che le procedure vanno modificate profondamente per evitare di regalare punti ai concorrenti come accaduto nel 2022.
Ma anche per scongiurare che Leclerc, in attesa di un rinnovo contrattuale di cui si sta chiacchierando forse troppo e con un ingiustificato ed allarmistico anticipo, possa stufarsi di una situazione che non può più essere endemica. Per lottare per un mondiale serve rasentare la perfezione. E l’anno scorso, in molti ambiti, Maranello è stata carente. Binotto ha pagato per questo e Vasseur, manager scafato e preparato, non vuole cadere nelle stesse negative dinamiche.
Autore: Diego Catalano – @diegocat1977
Foto: F1, Scuderia Ferrari, peterwindsor.com