Quando la Ferrari si mette in vetrina il mondo del motorsport si accende. Sono passati tre giorni dalla kermesse in cui è stata svelata la SF23 che, sia nei minuti successivi che l’indomani, è stata protagonista del canonico filming day. Un momento utile per girare video e produrre immagini per soddisfare gli sponsor, ma soprattutto, da un punto di vista prettamente tecnico, per verificare il funzionamento degli impianti e per dare ai piloti la possibilità, anche se con mappe motoristiche molto “delicate”, di cominciare a valutare il comportamento dinamico del mezzo.
La gestazione della monoposto 2023 è stata lunga, forse più di quanto gli ingegneri, l’anno scorso, potessero immaginare e nonostante le modifiche al regolamento tecnico giunte in estate a seguito dell’entrata in vigore della Direttiva Tecnica 039 che aveva il compito di limitare il pompaggio aerodinamico che, in alcune piste, stava generando problemi che investivano la sicurezza dei piloti.
Ferrari: i motivi di un 2022 deludente
Ad un certo punto del campionato è come se la Ferrari si fosse comportata come una barca a cui si spezza l’albero maestro per lasciarsi trasportare dalla corrente con un timone inefficace a tenerle testa. Quella macchina da sogno vista in azione nell’abbrivio stagionale si è improvvisamente smarrita tra difficoltà assortite. L’ambiente ne ha risentito e quel clima di determinata convinzione si è tramutato in un’atmosfera mesta e grigia. Mentre Red Bull e Verstappen vincevano e Mercedes si faceva sotto, in Ferrari si interrogavano sui motivi di un arretramento inesorabile.
Nel 2022 Maranello ha perso su tre piani. Il primo è chiaramente quello dell’affidabilità, l’elemento più negativamente condizionante del campionato. Dopo lunghe analisi e complesse valutazioni, gli ingegneri diretti da Enrico Gualtieri sono probabilmente riusciti a sciogliere il nodo gordiano risolvendo i problemi alla parte endotermica della power unit come abbiamo avuto modo di spiegare in questo focus (leggi qua).
Di pari passo si è arrivati alla seconda nota dolente, quella che ha visto il blocco degli sviluppi alla F1-75. Condizione determinata essenzialmente da due elementi: il primo, che porta ad un forse non puntuale gestione delle risorse finanziarie (Binotto aveva candidamente ammesso che non c’era il budget per dare fondo agli update); il secondo riconducibile ad una sorta di presa coscienza. Una volta capito che il mondiale era irreversibilmente scivolato via dalle mani, in Ferrari hanno deciso di fare all-in sul progetto 675 poi ribattezzato SF23.
Queste due condizioni hanno creato forse accentuato quelle tendenza all’errore che si riscontra laddove si opera con una sorta di spada di Damocle sulla testa. Da qui qualche difetto strategico di troppo abbinato a topiche di pilotaggio che hanno tagliato definitivamente le gambe agli uomini in rosso.
Per tutto questo, come avviene sovente, ha pagato il responsabile capo, il n°1 della Gestione Sportiva Mattia Binotto che è giunto a rassegnare le dimissioni che sono state accolte senza troppe lusinghe da parte del presidente John Elkann e dall’amministratore delegato Benedetto Vigna che, dopo diverse consultazioni che hanno toccato Chris Horner, rimasto poi saldamente in sella alla Red Bull, e Andreas Seidl, nominato AD della Sauber, hanno virato su Frédéric Vasseur il cui mandato operativo è ufficialmente partito il nove gennaio.
Proprio perché il dirigente francese ha preso possesso degli uffici di Via Abetone in Maranello a gennaio già avviato, il vecchio capo della GES, anche se il modalità limitata, ha continuato ad operare per conto della Ferrari sovraintendendo anche alle riunioni tecniche relative al progetto 675. Una cosa resa possibile dall’accordo che le parti avevano stipulato circa un gardening annuale che di fatto mette l’ingegnere di Losanna in condizione di non legarsi con altri team.
Ferrari: l’equipe vince sul singolo
Il fatto che Binotto abbia lavorato fino all’ultimo istante per la causa ferrarista ha fatto ritenere a molti che anche la SF23 sia sostanzialmente una sua creatura, o quanto meno una macchina nata sotto la sua supervisione tecnica dato che non si occupava solo di cose strettamente inerenti l’area sportiva. E’ stato lo stesso ingegnere a chiarire le cose evitando paternità sbilenche e dimostrando, in fondo, grande amore per la Ferrari e totale rispetto per la causa rossa:
“In Formula 1 non si parla di individuo, bensì di gruppo completo. Questa [La SF23] è una macchina che è stata progettata l’anno scorso, quando ero con loro. Però non è la mia vettura, è la vettura della Ferrari“. Queste le parole in un evento sviluppatosi in quel di Parma a cui hanno partecipato altri due nomi illustri del motorsport italiano: Giampaolo Dallara ed Aldo Costa.
Binotto ha proseguito parlando del ruolo del singolo all’interno di un meccanismo più grande perché, alla fine, chi porta la macchina alla vittoria è l’uomo che si cala nell’abitacolo. Ragionamento riduttivo che il tecnico reggiano ha puntualizzato: “Per vincere occorre sempre avere la macchina migliore. Il pilota fa la differenza, col talento, la capacità di guida e la mentalità, per gli ultimi due decimi in pista”.
“Un conducente deve avere quel carisma che spinge tutta la squadra a continuare a migliorarsi. In fondo è un protagonista nella squadra, è una delle persone più importanti: parla con i giornalisti, con la presidenza, con tutti i suoi meccanici, con tutto il team. Quindi io penso che un pilota fa sì la differenza in pista, ma anche nella capacità di coltivare e migliorare la mentalità della scuderia“, ha chiosato il manager.
Il pensiero di Binotto è piuttosto chiaro: il pilota è la stella, il raccordo tra le parti, il punto di riferimento. Ma da solo non vince. Anzi, è l’apparato che gli sta alle spalle a determinare il successo del singolo e non viceversa. E lo stesso vale nella conduzione di una franchigia: non è il team principal o il capo dell’area tecnica, da soli, a decretare le sorti di una stagione.
Ecco che perché Mattia non si assume la paternità della SF23; ecco perché, con ogni probabilità, le sue parole vanno anche lette come un atto di auto-sollevamento da responsabilità che gli sono state caricate sul groppone per un quadriennio in cui la Ferrari doveva fare ma non ha saputo fare. Per vincere.
Ferrari: la lezione di Mattia Binotto
D’altro canto, in un approccio critico ma che voglia osservare l’operato nella sua totalità, Binotto ha ottenuto delle vittorie importanti sul piano politico dopo anni in cui la Ferrari aveva passivamente accettato decisioni imposte dall’alto. L’ex team principal, durante il 2022, si era opposto anche all’idea che Red Bull potesse essere considerata un nuovo motorista.
Politica che Maranello persegue con convinzione visto che Frédéric Vasseur, in una chiarissima linea di continuità, appoggia la visione precedentemente espressa. Che poi è quella di John Elkann e Benedetto Vigna. Ebbene, parrebbe che la Ferrari ci abbia preso gusto ad “andare in gol” con una certa regolarità.
La Red Bull non otterrà lo status di nuovo costruttore dal campionato 2026, l’anno in cui sarà sancita la rivoluzione tecnica dei propulsori. Il regolamento prevede che vengano concessi ai nuovi costruttori un investimento di 25 milioni di dollari in più in tre anni e un maggior numero di ore al banco prova per lo sviluppo delle unità motrici. Un bel vantaggio rispetto ai motoristi storici.
Gli organi decisionali, accogliendo le rimostranze di Ferrari, ma anche di Mercedes e Renault, ritengono che il legame Red Bull Powetrains – Ford si baserebbe su un’equipe che ha comprovata esperienza in Formula 1; un gruppo che avrebbe acquisito il know-how di Honda che, in tutta evidenza, non avrebbe tenuto per sé i segreti industriali come invece era filtrato nei mesi precedenti.
Quel Binotto, che a dicembre, da dimissionario in regime di prorogatio, andava ai tavoli della F1 Commission facendosi latore di questa strategia. Un atto meritorio sintomatico di un rapporto solido con la Ferrari nonostante la rimozione dai suoi incarichi.
Comunque finirà il campionato 2023, se la SF23 sarà efficace o meno, le colpe e i meriti non dovranno essere riversate sui singoli. Né su quelli che operano oggi, che probabilmente hanno avuto poco tempo per imprimere la propria firma (leggasi Vasseur), né su quelli che, dopo 28 anni di onorato servizio, si sono commiatati da Maranello. La lezione di Binotto è semplice e lucida: si vince e si perde di squadra. Un processo che in Formula 1 non è mai troppo chiaro.
Autore: Diego Catalano – @diegocat1977
Foto: F1, Scuderia Ferrari