In Ferrari un avvio così claudicante non se lo aspettava nessuno. Benedetto Vigna, l’amministratore delegato della storica azienda modenese, parlava di una vettura dalla velocità supersonica e Frédéric Vasseur si spendeva nel garantire un’affidabilità titanica del propulsore che l’anno scorso aveva mostrato un’irrefrenabile balbuzie. Il Gran Premio del Bahrain ha detto tutt’altro considerando che è stato una bella pillola amara ingoiata senza il proverbiale zucchero a fare da corredo.
Com’è stato possibile che l’ottimismo spinto – e forse un po’ smodato – si sia tramutato in una specie di incubo ad occhi aperti fatto di vetture lente e che non riescono a solcare le linea del traguardo? Beh, la riposta definitiva non ce l’abbiamo. Fosse così saremmo superconsulenti della scuderia italiana. Ma possiamo farci delle idee anche in base al parere di Umberto Zapelloni, decano del giornalismo del motorsport, che ieri è stato ospite del direttore Mariano Froldi e di Marco Santini, padrone di casa a Spit Stop, la trasmissione del lunedì di Formula Uno Analisi Tecnica.
Al di là dei problemi inerenti la sfera dell’affidabilità che sono deflagrati al giro n°40 sulla vettura di Charles Leclerc, la Ferrari aveva mostrato un atteggiamento conservativo durante le qualifiche che potrebbe essere manifesto di una mentalità meno aggressiva, figlia dei trascorsi di chi ora è capo della Gestione Sportiva.
Il monegasco, almeno è questa la versione ufficiale del team, avrebbe inopinatamente rinunciato all’ultimo assalto in Q3. Ma ciò non era un qualcosa che poteva dare un “boost” alla gara dell’ex Sauber. Anzi, si è trattato di un atteggiamento piuttosto remissivo perché la squadra ha rinunciato ad aggredire guardando più indietro che avanti.
In gara, ha sostenuto Zappelloni, non c’è stata mai partita. Anche l’aver sottolineato, da parte di Vasseur, una certa soddisfazione per aver limitato il distacco nel primo stint, è una politica al ribasso. Nei primi 12 giri la Ferrari ha beccato dieci secondi dalla Red Bull. Qualcosa che somiglia molto ad un secondo al giro. Bearsi di questi gap significa ragionare ancora da manager della Alfa Romeo Sauber e non come team manager di una compagine ambiziosa e che ha in mente un solo target: vincere.
Un punto di vista condivisibile se si pensa che la SF-23, rispetto all’anno scorso, a parità di teatro, ha addirittura peggiorato le performance in gara. Come dimostra la tabella che potete consultare qua sotto:
Alla fine dei 57 giri di gara la Red Bull di Max Verstappen ha rifilato quasi 40 secondi alla Aston Martin di Alonso. Ossia il gap che, secondo più secondo meno, poteva accumulare Leclerc se non avesse avuto il problema che l’ha appiedato. Il monegasco, difatti, aveva circa dieci secondi di vantaggio su Sainz che ha chiuso a 48 secondi dall’olandese. Il conto è presto fatto, quindi. Un disavanzo enorme per una vettura che l’anno passato, prima dello stop di Max, era saldamente al comando.
Ferrari: le difficoltà figlie del cambio Binotto – Vasseur?
Milton Keynes potrebbe aver accelerato sul pedale dello sviluppo per garantirsi un tale vantaggio ben sapendo che la limitazione delle ore di lavoro può avere un effetto inficiante di lungo periodo. Ma ciò non giustifica una simile batosta. L’avvicendamento ai vertici della GES, secondo Zapelloni, non è stato effettuato in maniera lineare e tale da non riverberarsi negativamente sulle vicende tecniche e sportive della Ferrari.
Vasseur, dal suo primo giorno al timone rosso, ha parlato di affidabilità come argomento centrale del suo approccio di breve termine. I fatti dicono che, qualsiasi sia stata la natura della rottura, il problema è ancora irrisolto. La pratica che si credeva archiviata è quindi ancora aperta. Purtroppo.
Probabilmente Leclerc andrà in penalità già dalla seconda gara stagionale, cosa che apparecchierà la tavola alla Red Bull per un’altra vittoria in quel di Jeddah. Insomma, la confusione che alberga nell’area tecnica dipenderebbe anche dal passaggio di mano Binotto – Vasseur.
Dall’esterno si percepisce una sorta di caos di base determinato dal cambio di testimone. Il tecnico di Losanna è stato in sella fino a fine dicembre e ha supervisionato al progetto 675 che l’ex Sauber eredita solo il nove gennaio 2023, quando la macchina è definita in ogni dettaglio e quando Fred non può apportare nulla di concreto col suo metodo operativo.
Le battaglie interne che sicuramente si sono consumate prima che Binotto lasciasse hanno condizionato l’area tecnica che, secondo il giornalista, potrebbe aver parzialmente trascurato il progetto SF-23.
Ferrari deve aprirsi “culturalmente” per tornare a vincere
Anche perché c’è da rilevare un’altra evidenza: Binotto era anche a capo del reparto tecnico. Un vuoto che di fatto è stato colmato con competenze interne. E questa sarebbe un’altra ragione delle difficoltà ataviche della Ferrari. Vediamo perché. Alla Rossa è mancata un’inclinazione all’apertura. Si è sempre andati alla ricerca delle risorse che crescono in grembo che sicuramente sono validissime. Ma, così facendo, si è persa l’occasione per scritturare tecnici che potessero portare altre idee e diversi metodi di lavoro.
Eppure Ferrari, in passato, aveva dimostrato di saper corteggiare e portare alla propria causa il meglio del meglio della tecnica della Formula Uno. Sotto Montezemolo, infatti, furono ingaggiati i migliori specialisti della Benetton che, una volta a Maranello, eressero quella fortezza ingegneristica che permise a Michael Schumacher di aprire un ciclo che ancora oggi si sogna di rinverdire.
Andare a prendere le eccellenze delle altre squadre è un metodo che funziona abbastanza spesso. In questi giorni lo sta dimostrando proprio la Aston Martin, che da Red Bull ha “rubato” Dan Fallows insieme ad altri sette professionisti. Un aerodinamico, Fallows, cresciuto sotto l’ala protettrice di Adrian Newey.
I risultati di questa campagna di recruiting si stanno apprezzando in maniera molto chiara. Il team di Silverstone ha operato una vera e propria ristrutturazione interna che ha permesso, piano piano, di creare uno staff di grande eccellenza. Che ha sviluppato una macchina effettivamente forte.
La strada da seguire dovrebbe essere questa. Così la pensa Umberto Zappelloni che ritiene che quella di chiudersi passivamente nel fortino rosso scrutando l’esterno con un campo visivo limitato e non troppo profondo sia una tattica poco remunerativa. Ecco che cambiare il solo team principal non ha senso se si resta confinati nel proprio recinto tecnico. Serve in innesto di aria fresca all’interno della struttura che amministra le cose tecnologiche.
E questa ristrutturazione interna sarebbe stata la buona occasione per sostituire Binotto, che era anche DT, con un esperto proveniente da un’altra realtà aziendale. Magari, invece di defenestrare l’ingegnere reggiano con i risultati che stiamo vedendo, era più saggio rinforzare una squadra che funzionava. Senza andarla a stravolgere.
Ma per fare ciò – e torniamo ad uno dei difetti storici della Ferrari dell’era moderna – servirebbe una proprietà più presente. Quel John Elkann che, in una presentazione così aperta ai tifosi, non si è fatto vedere. Un segnale che narra che certe dinamiche sono dure a morire.
Autore: Diego Catalano – @diegocat1977
Foto: F1, Scuderia Ferrari