“Sarà una monoposto che non avrà precedenti in termini di velocità”. Queste le parole di Benedetto Vigna, amministratore delegato della Ferrari, nel momento in cui la SF-23 veniva mostrata al mondo. Dichiarazioni che oggi, dopo il primo Gran Premio stagionale del Bahrain, risultano azzardate. O quanto meno invecchiate maluccio.
Era il caso di prodursi in esternazioni del genere? Parlare col senno del poi è logicamente più semplice, ma resta il fatto che quel genere di pubblica manifestazione abbia messo una certa pressione addosso agli uomini del Cavallino Rampante. Un macigno morale non richiesto in piena fase di ristrutturazione organizzativa e tecnica.
Frédéric Vasseur non aveva sposato la stessa linea entusiastica dell’AD di Maranello. Forse perché, avendo messo direttamente mano ai fatti della Gestione Sportiva, si era reso conto che il percorso che la scuderia deve compiere sarà abbastanza lungo. E tortuoso. La SF-23 doveva essere l’auto del riscatto, quella chiamata a lottare per entrambi i titoli mondiali. Nel weekend bahreinita, ahinoi, si è dimostrata invece una vettura lenta e fragile, incapace nel gestire le gomme. Cosa in cui, di contro, la Red Bull RB19 si è prodotta in una vera e propria masterclass.
Ferrari: approcci mediatici diversi tra Vigna e Vasseur
Ciò che ha davvero preoccupato è stato osservare le difficoltà tecniche che si sono verificate nonostante i meccanici avessero sostituito centralina e pacco batterie sulla vettura numero 16 di Charles Leclerc. Il guasto occorso alla macchina del pilota monegasco sarà indagato approfonditamente in fabbrica, ma è chiaro che potrebbe dipendere proprio da quegli elementi che erano stati sostituiti. Un campanello d’allarme gravissimo alla prima gara. Vasseur, a fine GP, non ha nascosto la delusione e la preoccupazione, affermando che c’è tanto lavoro da mettere in cantiere. Frasi che suonano sinistre – e arcinote – alle orecchie dei tifosi.
Una sorta di mantra quello del dirigente di Draveil. Non è la prima volta, difatti, che il suddetto invoca cautela perché la montagna da scalare è ancora molto alta e impervia. Nella fase pre-stagionale, l’ex Sauber aveva predicato calma e non era andato dietro alle mirabolanti previsioni di Vigna. In queste ore, qualcuno, in una difesa aziendale piuttosto sbilenca, sta affermando che quelle del manager italiano fossero parole riferite alla velocità di punta della Ferrari SF-23. Che in effetti è stata brillante.
Ma si tratta di un’interpretazione di comodo perché sappiamo bene che quando si allude alla velocità si parla della capacità di generare performance e di metterla in pista in maniera costante e concreta.
La verità è che la Ferrari, unita alla Mercedes, rappresenta la delusione di questo inizio 2023. Maranello non è riuscita a fare ciò che Aston Martin ha costruito in un anno recuperando oltre due secondi in termini di performance. Alcuni organi di stampa, in uno slancio ottimistico ed evidentemente irrealistico, avevano attribuito alla SF-23 guadagni di oltre un secondo al giro. In Bahrain abbiamo osservato un incremento di circa mezzo secondo, uno dei più bassi di tutto il pacchetto di monoposto 2023. Numeri che parlano. E che smentiscono.
Chiaramente siamo all’inizio della stagione, questa non vuole essere una bocciatura insindacabile. Dodici mesi fa, a quest’ora, Red Bull si leccava le ferite e tornava a Milton Keynes molto preoccupata a seguito di un doppio zero. In Ferrari questo non è accaduto: la macchina è arrivata al traguardo, ma un quarto posto non può essere mai preso come una sorta di bicchiere mezzo pieno. Carlos Sainz è sempre stato lontanissimo dalla vetta. Non ha mai puntato all’avversario che precedeva, si è sempre dovuto guardare le spalle. Prima dalle Mercedes, poi da Fernando Alonso che ha avuto vita facilissima nel superare il madrileno.
Ferrari e quel processo mediatico deleterio: cui prodest?
Come spesso succede all’indomani di una gara storta parte il processo. E’ in Ferrari questa situazione è stata sempre storicamente acuita da una serie di polemiche correlate che risultano essere eccessivamente turbinanti. La caccia al reo è scattata. Gli osservatori si stanno già dividendo in fazioni. C’è chi attribuisce le colpe a Vasseur (e la cosa è abbastanza ridicola visto che il dirigente ex Sauber è in sella dal 9 gennaio), chi agli aerodinamici che, secondo l’accusa, sarebbero colpevoli di non aver prodotto una vettura in grado di tenere testa alla Red Bull.
Chi, ancora, punta il dito sui motoristi che non avrebbero risolto i problemi endemici della Power Unit 2022 pur non potendo individuare una correlazione tra i difetti emersi l’anno scorso e quelli sorti ieri pomeriggio. In ultima analisi, c’è chi se la prende con Mattia Binotto, che ora sembra essere diventato il capro espiatorio di ogni male.
È noto che ad un certo punto del 2022 la Ferrari abbia deciso scientemente di rinunciare ad un piano di sviluppo per la F1-75. Lo si è fatto per due motivi: il primo è riferibile al budget cap. Maranello non aveva più fondi per poter apportare update al mezzo. In secondo luogo, presa coscienza che c’erano dei problemi alla Power Unit che per essere risolti necessitavano di maggior tempo ed impegno, il reparto tecnico ha stabilito di rinviare al 2023 la definizione di una monoposto più consistente.
Pertanto, sin dall’estate, e dopo l’entrata in vigore della controversa Direttiva Tecnica 039, si è cominciato a lavorare in maniera molto convinta al progetto 675, abbandonando di fatto il modello vecchio.
Una strategia rischiosa, un azzardo. Che, in quanto tale, poteva pagare. Così come poteva non farlo. È presto per tracciare un bilancio generale, i mondiali non si vincono né si perdono alla prima gara, ma è chiaro che tutti si attendevano che la vettura fosse molto più performante di quanto mostrato. Ma attribuire colpe esclusive e totali a Mattia Binotto sembra oggettivamente assurdo.
Il capo della GES non è colui il quale progetta fisicamente la vettura. Perché non leggiamo il nome di David Sanchez, aerodinamico di riferimento? Se la Power Unit ha ancora dei problemi, perché non tiriamo in ballo Enrico Gualtieri? Dove sono le responsabilità dei telaisti coordinati da Enrico Cardile?
Ogni team di Formula Uno è un orologio nel quale tanti meccanismi devono funzionare all’unisono. Per quanto il capo della Gestione Sportiva possa essere il grande orchestratore, l’architetto che tiene il tutto insieme facendolo suonare al meglio, non può essere sempre considerato il solo reo. Anche e soprattutto quando è fermo per una pausa imposta dall’alto.
Anche perché, diciamolo fuori dai denti, le dimissioni di Binotto sono state un atto formale da esporre al pubblico. Era una decisione già presa e certamente non a dicembre, quando è stata semplicemente ratificata. Gli scricchiolii erano sorti già durante l’annata e la mancanza di fiducia da parte di Benedetto Vigna e di John Elkann nei riguardi del dirigente di Losanna era ormai acclarata. Mettere sul banco degli imputati Binotto, che ha lavorato nella fase finale senza la piena fiducia della proprietà, non servirà ad individuare soluzioni.
D’altro canto, è stato lo stesso ex numero 1 della GES a dire, qualche settimana fa, che i meriti e i demeriti non vanno ascritti al singolo, ma vanno distribuiti al team nella sua interezza. Quando gli è stato chiesto se questa vettura, nel caso si dimostrasse vincente, se potesse essere considerata una sua creatura, l’ingegnere reggiano ha replicato con un secco no.
“I meriti andrebbero dati alla Ferrari“, aveva risposto un convinto Binotto. Stesso discorso, mutatis mutandis, va adoperato nelle cocenti sconfitte. E’ comodo attribuire colpe a chi ora non c’è più, a chi non può difendersi, a chi non può mettere in essere un piano operativo per recuperare il deficit evidente nei confronti di chi è placidamente accomodato in vetta.
E se anche Binotto avesse delle responsabilità tecniche, cosa assolutamente plausibile, perché la proprietà ha consentito che il suddetto presenziasse ancora alle riunioni operative negli ultimi giorni di dicembre, quando ormai era dimissionario? Quindi, in questo calderone, in un marasma che inizia a generarsi, anche i vertici hanno la loro fetta di responsabilità e andrebbero lecitamente criticati. Qualora, ovviamente, la stagione si presentasse totalmente fallimentare.
Ripetiamo, siamo agli albori del mondiale, tutto è ancora possibile. L’anno scorso Ferrari usciva trionfante dalla tenzone inaugurale, alla fine dell’anno sappiamo com’è andata. Di converso, Red Bull emergeva pesantemente sconfitta e piena di interrogativi. Ma durante il procedere del campionato ha saputo recuperare in maniera prorompente e sbaragliante. Quindi rimontare è possibile, l’esempio esiste.
Ferrari: fare quadrato per ripartire
Ieri Vasseur ha parlato di un piano già impostato e che dovrebbe dare dei frutti nel medio periodo, quindi in questo momento sarebbe il caso di predicare calma senza lanciarsi nelle solite analisi ai limiti della follia. Che senso ha individuare un colpevole per buttargli la croce addosso? L’ambiente deve saper fare quadrato, deve sapersi compattare per ripartire di slancio.
La sensazione è che Maranello debba giocare in difesa per i prossimi gran premi e magari sfruttare la pausa lunga che si è venuta a creare per via dell’assenza del Gran Premio di Cina. Nel mese di Aprile, infatti, ci sarà un vuoto molto ampio e in quel momento la Ferrari potrebbe mettere in campo più aggressivi programmi di sviluppo per provare a recuperare il gap dalla vetta. Che al momento è molto ampio, inutile nascondersi.
La Ferrari, in questa fase, ha molto da lavorare e deve farlo soprattutto su due aspetti. Il primo riguarda l’affidabilità che evidentemente non è stata fissata rispetto all’anno passato. Il secondo è quello della gestione degli pneumatici. Quindi un qualcosa che riconduce direttamente al discorso del setup. La SF-23, in Bahrain, non è sembrata assettata nella maniera migliore.
Probabilmente, molto ha giocato anche un’ala eccessivamente scarica per quel tipo di pista. Si attende quindi lo sviluppo dell’alettone mono-pilone che è stato messo in ghiacciaia per le evidenti oscillazioni che aveva manifestato quando è stato montato sia durante i test che nel primo turno di libere.
In questa fase, quindi, piuttosto che perdersi dietro accuse ai limiti dell’assurdo e nell’inseguire colpevoli in contumacia con tutto il corollario di polemiche che si leggono in relazione ad un team mediaticamente sovraesposto, sarebbe il caso di fare gruppo e di cercare di capire quali sono i problemi. E soprattutto quali possano essere le strategie risolutive degli stessi. Le ghigliottine fanno rotolare teste ma non permettono di superare le difficoltà.
Il mondiale è appena cominciato. Si sono esauriti poco più di 300 km, ne mancano oltre 6000. Non è quindi il caso di intonare il De Profundis, né ha ragione di esistere questa caccia al colpevole che riconduce spesso a Mattia Binotto che in questo momento, è il caso di dirlo, è fermo ai box a causa di un gardening imposto dalla dirigenza. Serve una pacata razionalità, non i moti forcaioli. Che, tra l’altro, sarebbero retroattivi…
Autore: Diego Catalano – @diegocat1977
Foto: F1, Scuderia Ferrari