E se Mercedes e Ferrari fossero accomunate da un insolito e beffardo destino? Sono tante le analisi che si stanno producendo in queste ore e che tendono a spiegare il mezzo flop tecnico, per ora così possiamo definirlo, in cui sono incappate le due scuderie suscitate. Sia Maranello che Brackley mostrano delle evidenti deficienze nei rispettivi progetti.
I punti di contatto tra le due realtà si concretizzano in altrettante situazioni. La prima riguarda sicuramente la gestione delle gomme. Sia la W14 che la SF-23 non riescono ad amministrare in maniera efficace i compound, soprattutto all’asse posteriore. Almeno questo è accaduto su una pista rear limited come quella di Sakhir. Altro momento di convergenza, ed è diretta conseguenza del punto uno, è l’incapacità a produrre delle performance cronometriche soddisfacenti, vicine a quelle necessarie per porsi come riferimento della categoria.
Il team anglo-tedesco e quello italiano hanno usato il 2022 come se fosse una grande palestra tecnica. Una volta appurato che i rispettivi mezzi non erano in grado di competere con la RB18, gli ingegneri, con l’avallo dei dirigenti, hanno stabilito di concentrarsi sui programmi 2023. Maranello lo ha fatto congelando del tutto gli update della F1-75 che, lentamente ma inesorabilmente, ha visto scadere le sue performance.
Brackley, invece, ha impostato un paradigma diverso: ha lavorato alacremente sulla W13 per cercare di correggerne i difetti. L’obiettivo era ottimizzare il concept per poi presentarlo migliorato e scevro dalle dinamiche limitanti sulla W14. Una vettura, che nei desiderata di Toto Wolff e soci, doveva sbaragliare la concorrenza. O, per essere realisti avvicinarsi notevolmente alla vetta. Operazione attualmente fallita. Definitivamente? Sarà la storia a dirlo.
Ferrari e Mercedes accomunate da una distorta valutazione dei fatti?
Non ci sono prove circa quanto affermeremo nelle prossime righe. La nostra è una congettura e, in quanto tale, è passibile d’essere smentita dai fatti. Ma proviamo a ragionare, mossi dal pensiero logico-deduttivo. I raffronti cronometrici dicono che tra il 2022 e il 2023, sullo stesso teatri bahreinita, dicono che la Ferrari è migliorata di circa mezzo secondo. La Mercedes, dal canto suo, ha registrato un incremento prestazionale di circa sette decimi. Parliamo chiaramente di cifre non precise, che hanno un certo margine di errore ma comunque limitato.
Si tratta di guadagni che, in senso assoluto, non sono affatto negativi. Soprattutto perché si riteneva che, in virtù delle nuove regole aerodinamiche, le vetture potessero perdere qualche punto di downforce e conseguentemente essere più lente dei modelli che le hanno precedute. Ecco, proprio da questa chiave di lettura nasce la nostra congettura (la rima ci sta bene, ma non era voluta).
E se Ferrari e Mercedes avessero sottovalutato la capacità di progredire delle altre squadre? Se si fossero, in soldoni, fidate dei miglioramenti notati nelle rispettive analisi computazionali pensando che i passi in avanti fossero dei grandi risultati, mentre invece non lo erano? Ragionate con noi.
Se si parte dall’assunto secondo cui, da un anno all’altro, per via dell’innalzamento dei 15 mm dei pavimenti e a causa dell’irrobustimento degli stessi (sono stati resi più severi i test di flessione, ndr), le prestazioni dovranno logicamente degradare. Viene da sé che apprezzare dei numeri positivi in sede di analisi ai simulatori può aver fuorviato gli aerodinamici delle squadre in oggetto.
La teoria può sembrare strampalata, ma non è del tutto campata in aria. Nei mesi scorsi, Pat Symonds, non uno a caso ma il Chief Technical Officer della Formula 1, aveva asserito che le vetture del 2023 potevano potenzialmente perdere delle prestazioni proprio per via di questa nuova situazione tecnica oggettivamente limitante.
Si riteneva, riducendo in termini semplici il ragionamento, che una maggiore altezza da terra contribuisse a rendere meno potente l’effetto Venturi. Con una normale conseguenza: abbassare la somma totale di carico a disposizione con una incidenza negativa sul cronometro.
A parità di corpus regolamentare, anzi in presenza di alcune modifiche che dovevano preannunciarsi limitanti, l’aver trovato, rispettivamente, mezzo secondo e sette decimi è qualcosa che non si vede con tanta frequenza nel motorsport. Ferrari, che ha concentrato i suoi sforzi nel superare i problemi alla Power Unit (ci è davvero riuscita?) è stata ben soddisfatta d’aver messo prezioso fieno in cascina a livello di performance pura. Ci riferiamo ai 0.5 secondi di cui sopra.
Mercedes, che sull’affidabilità del propulsore non ha mai avuto dubbi, aveva altre priorità: superare definitivamente porpoising e bouncing. Cosa che la W14 sembra aver fatto in maniera piuttosto brillante. Gli 0.7 secondi che la pista ha confermato essere stati sottratti rispetto a dodici mesi fa avevano generato un quadro di normale soddisfazione da parte dello staff guidato da Mike Elliott.
Quindi, chiudendo il ragionamento, i due team possono aver subìto gli effetti deleteri di una visione ottimistica dei risultati conseguiti. Prima i test e poi il Gran Premio del Bahrain sono stati una sorta di schiaffo in pieno volto per le due squadre che hanno appurato che altre scuderie avevano prodotto dei miglioramenti ben più netti e grossi all’interno di un quadro di riferimento che si pensava essere più limitante.
Appurata questa realtà, ora è tempo di trovare ulteriori performance per provare a mettersi al passo con la Red Bull. Ferrari lo farà lavorando sulle comprensione gomme e cercando ulteriore downforce. Processo che era già iniziato con il lavoro all’ala posteriore che era stato avviato nelle prove invernali e nel primo turno di libere.
Mercedes, dal canto suo, andrà ad agire sulle forme dei sidepod. Sia Mike Elliott che Toto Wolff hanno ammesso che nelle prossime gare vedremo una W14 molto modificata, che potrebbe andare a somigliare maggiormente a quelle macchine che in questo momento stanno rappresentando il benchmark della Formula Uno: Aston Martin e soprattutto Red Bull che, non a caso, condividono la medesima linea genitoriale. No, non siamo impazziti: Adrian Newey ha progettato soltanto la RB19, ma la AMR23 è figlia di Dan Fallows. Che di Newey è stato stretto collaboratore per lungo tempo. Il cerchio che si chiude.
Chiaramente questo scritto non ha carattere oggettivo, ma ha il compito di offrire una chiave di lettura plausibile. E’ semplicemente un punto di osservazione diverso su una realtà che potrebbe avere altre spiegazioni da quelle offerte sinora. Magari vi abbiamo convinti. E forse, chissà, abbiamo fatto anche centro…
Autore: Diego Catalano – @diegocat1977
Foto: F1, Scuderia Ferrari, Mercedes AMG