Ferrari, una parola che racchiude dentro di sé 1000 significati. Sì perché il team di Maranello non è una scuderia di F1 qualunque. O almeno cosi dovrebbe essere. Eppure durante le ultime annate qualcosa non sta funzionando. Tanti proclami, zero o quasi risultati positivi. Troppe le figure “barbine” che di fatto contribuiscono ad affossare la passione dei tifosi che, incuranti delle varie delusioni, continuano comunque a imperversare sulle gradinante di tutto il mondo.
Ma cosa sta succedendo realmente? Quali sono i reali problemi che tarpano le ali a questa squadra? Con l’amico e collega Leo Turrini, ospite nella giornata di ieri a Pit Stop, il podcast pop Formula Uno Analisi Tecnica, abbiamo analizzato la situazione per cercare di comprendere da dove deriva l’attuale status fallimentare del Cavallino Rampante.
“Lo scenario a Maranello è molto difficile, imbarazzante per chi come me è profondamente innamorato della rossa. La vettura non è competitiva. Dopo il Bahrain, i tecnici avevano previsto che a Jeddah le cose sarebbero andate in maniera differente. Doveva essere tutto più facile, insomma, anche grazie alle caratteristiche della pista. Un asfalto “amico” che non avrebbe distrutto le gomme. Inoltre gli sviluppi sulla vettura dovevano innalzare le performance. I risultati, però, sono sotto gli occhi di tutti.”
La premessa imperativa del “maestro” non fa una piega. Come dargli torto. Il giornalista e scrittore di Sassuolo, per di più, sottolinea un fatto che dovrebbe far riflettere parecchio gli uomini in rosso. Parliamo dei valori in campo, molto peggiori di quello che si potesse pensare.
“La Ferrari non è solo più lenta di Red Bull, aspetto sul quale eravamo tutti d’accordo. Il realtà, oltre che prendere paga dalla Aston Martin si trova addirittura dietro alla Mercedes, vettura che a detta dello stesso stesso Toto Wolff verrà “cestinata” e sostituita da una versione B. Questo punto somma imbarazzo all’imbarazzo”.
Ferrari SF-23: l’ottimismo innecessario della dirigenza
Dalla disamina legata al confronto con la W14 nasce una riflessione che Turrini intende approfondire. A livello comunicativo, infatti, il team di Brackley ha emanato una lettera aperta dove spiega l’attuale quadro della situazione. Un messaggio chiaro e sincero verso i tifosi he promette il massimo impegno per riportare prontamente al vertice la squadra pluripremiata.
In contrapposizione la politica Ferrari. Quel “si tratta di capire” tanto caro a Mattia Binotto che, malgrado il tecnico di Losanna sia oramai lontano dalla GES, continua ad aleggiare indisturbato nel mondo ferrarista. Vero e proprio tormentone mediatico oramai insito nel team italiano.
“Il compianto Mattia ci mise ben due anni a guadagnare l’imitazione di Crozza. Mentre il “curato di campagna” Vasseur, dopo una sola gara, era già nei pensieri del bravissimo imitatore di origine ligure. Tornando seri, al di là delle recensioni umoristiche di un programma televisivo, in un momento come questo la Ferrari ha bisogno di un linguaggio votato alla verità. D’altronde, ragionandoci su, l’ingegnere di Draveil ha preso posto a un tavolo già apparecchiato.”
“Frederic è arrivato solo a gennaio e come ben saprete le vetture vengono preparate con largo anticipo. Il transalpino non può essere visto come responsabile. Nessuna colpa gli va imputata. Mettendomi nei suoi panni capisco il disagio. Del resto, sottolineare limiti e manchevolezze di chi ha preparato questa macchina non è certo un compito semplice. E non mi riferisco al solo Mattia, ma bensì alla totalità dello staff tecnico che rimane il medesimo, malgrado la partenza di Sanchez“.
“Quello che a mio modo di vedere va necessariamente segnalato è quanto segue: non c’era alcun bisogno di suonare la gran cassa per tutto l’inverno. Avevo detto e scritto che la rossa arrivava da una stagione dove sebbene era partita benissimo aveva finito in calando, con la F1-75 incapace di reagire dopo la direttiva TD039“.
“La Ferrari intesa come azienda va a gonfie vele. Quindi non ho davvero capito la necessità di alimentare un’aspettativa molto alta attraverso il presunto “missile” da mandare in pista che avrebbe sbaragliato la concorrenza. Io sarei stato decisamente più prudente. Lo dissi in tempi non sospetti, ora lo confermano tutti“.
Guardare alla campagna 2023 con una ragionevole cautela sarebbe stato molto meglio. Soprattutto perché a margine di un’avvicendamento cosi importante come la sostituzione del capo reparto corse, che tipo di messaggio arriva a tutta la struttura organizzativa? Queste persone si saranno sentite rassicurate nella loto continuità lavorativa oppure iniziano ad immaginare che qualcosa non funziona più? Un sospetto che li riguarda, insomma. In tal senso, il caso Sanchez risulta emblematico.
Non si tratta di essere tutti fenomeni o bidoni. Non è questo il punto. Parliamo di una curiosa scienza comunicativa messa in atto pensando alla reale competitività delle monoposto. Un contesto a mio modo di vedere sconfortante al quale assolutamente non serviva una spinta troppo ottimistica.
C’è poi una fatto singolare il merito alle dichiarazioni roboanti di Benedetto Vigna che riguarda l’emotività. Malgrado non sia certo una giustificazione, quelle parole “La Ferrari SF23 non avrà precedenti in termini di velocità”, sono venute alla luce in un momento particolare, visto che l’amministratore delegato della Rossa credeva di parlare esclusivamente agli sponsor e non alla stampa di tutto il mondo sportivo.
Ferrari: il passato incide sul presente
Turrini è un fiume in piena. Il “nostro” esprime il suo pensiero sul modello Ferrari che, a ragion veduta, non ha portato alcun risultato positivo nell’ultimo lustro. Schema organizzativo del tutto infruttuoso difeso e mantenuto dallo stesso Binotto durante il suo mandato.
“Il fulcro del problema ci porta in dono un quesito: Come viene governato il reparto corse a Maranello? Personalmente credo che siamo in presenza del fallimento del metodo Marchionne applicato alla F1. Voglio essere ancora più schietto. Dopo la triste dipartita dell’italiano nel 2018, la Ferrari era in testa ad entrambe le classifiche iridate. E senza l’errore di Vettel a Hockenheim l’ipoteca sul campionato era vicina.
Tuttavia, la scelta di Marchionne messa in atto nel 2016 “liberandosi” di Allison aprendo all’italianità, non sembra aver funzionato sino in fondo. Riordiamoci la famosa frase “in Italia abbiamo ingegneri bravissimi che danno vita alle auto più belle del mondo. Non riesco a capire perché non dovrebbero essere in grado di confezionare una vettura di F1 vincente”.
“Tale impostazione è stata perseguita con forza dallo stesso Binotto attraverso la dualità sugli incarichi dal lui stesso perpetrata, con l’unificazione del ruolo di team principal e direttore sportivo. La conseguenza di tale approccio si è dimostrata sbagliata. Gli anni passano e gli esisti restano gli stessi. Conseguenza evidente che tale modello, appunto, non funziona.”.
“Metodo orizzontale, la cooperativa, non deve esistere una figura a livello tecnico dominante… Tanti bla bla bla che non hanno prodotto nulla. Mattia, in veste di responsabile, doveva designare un direttore tecnico. Poteva pure essere interno, ma doveva esserci.”
In ultima istanza un pensiero: Ferrari non ha bisogno di licenziare personale, ma al contrario dovrebbe affiancare agli individui che lavorano in GES delle figure esterne in grado di portare un surplus di cultura automobilistica. Provvedimento che Jean Todt mise in pratica all’epoca Schumacher, collocando uomini guida nei punti di riferimento verso un esito preciso: tornare a vincere.
Autore: Alessandro Arcari – @berrageiz
Immagini: Scuderia Ferrari