Durante gli ultimi giorni vige un chiacchiericcio sulla Red Bull RB19 all’interno del Circus. Un “qualcosa” che i tecnici di Milton Keynes avrebbero trovato per realizzare un netto salto di qualità sull’amministrazione delle gomme che, come abbiamo potuto apprezzare in Bahrain, avrebbe fatto una gran differenza sul passo gara.
Lo stesso Leclerc, durante le dichiarazioni a caldo post ritiro, ha lanciato l’amo mediatico in tal senso. Sebbene le parole del monegasco potessero senza dubbio dare addito a congetture, in realtà Charles non si riferiva a nulla un concreto. Fatto sta che in molti non sono in grado di spiegare questa grande competitività della RB19 sciorinata con estrema sicurezza.
Degrado, sostantivo maschile che all’interno della F1, riferito alle gomme, sta creando non pochi grattacapi alla Ferrari SF-23. Ne abbiamo parlato in maniera approfondita attraverso uno scritto dedicato. Un focus sulle risultanze che valuta tutti gli aspetti inficianti in questo scenario senza dubbio negativo per la rossa.
Una carenza intrinseca al progetto denominato 675 che, sommato a diverse problematiche quali set-up non ottimale, up-date infruttuosi, affidabilità nefasta e tracciato, quello di Sakhir, lontano dalle caratteristiche della Ferrari 2023, hanno contribuito ad alimentare negatività troppo accese.
Tra le motivazioni dell’exploit targato Milton Keynes è stata menzionata a più riprese una possibilità meccanica fantasiosa. Parliamo delle sospensioni attive, vendute come segreto della vettura austriaca. Beh…innanzitutto verrebbe da dire una cosa: la Federazione Internazionale, cavalcando l’ipotesi alquanto fantasiosa e sommamente errata, non si sarebbe accorta di tale contesto tecnico irregolare?
Secondo poi, avendo un minimo di conoscenza relativa allo schema sospensivo delle attuali monoposto di Formula Uno, si verifica prontamente come la teoria gettonata a spron battuto asserisca il falso. A seguire, cercheremo di spiegare il concetto sospensivo adottato da Red Bull, per sbaragliare il campo da sospetti totalmente infondati che rasentano l’assurdo.
Red Bull RB19: la falsa sospensione attiva
Lo schema sospensivo pull rod anteriore del bolide blue racing è la configurazione fattuale che determina una buona fetta dei meriti legati alla gestione gomme. Scomodare il termine “attive” però, in merito ai cinematismi adottati da Red Bull, risulta del tutto improprio.
I tecnici capeggiati dal Adrian Newey hanno proposto un soluzione molto interessante. D’altronde, il reparto telaistico, ha dimostrato ampiamente tutto il proprio valore nell’arco dell’ultima decade. Il famoso segreto che sommerebbe ali alla già di per sé alata RB19, non è altro che una “semplice” estremizzazione dei concetti abilmente utilizzati sulla RB18 nello scorso campionato.
Prima di scendere in dettagli ricordiamo un fatto: le sospensioni attive bannate dalla Federazione Internazionale in tempi non sospetti, prevedevano movimenti attuati in maniera diretta tramite dispositivi idraulici gestiti dall’elettronica. Un vantaggio su tutti? Il controllo dinamico del fondo durante la marcia del veicolo.
Tornando al presente partiamo da un presupposto: al momento, tranne i tecnici all’interno del team, nessuno ha idea della specifica posizione relativa ai centri di massa delle diverse monoposto. Ragionando per assurdo, poniamo il caso che si trovino tutti nello stesso “intorno”.
Red Bull ha studiato l’escursione del fondo durante la fase di beccheggio, ovvero quando l’auto frena e avviene il cosiddetto “trasferimento di carico” verso l’anteriore con il muso che si avvicina sensibilmente al piano di riferimento (asfalto). Si tratta di una fase fondamentale che va governata al meglio in quanto, tale scenario, al medesimo tempo dà vita a una migrazione del centro di pressione indesiderata verso il retrotreno.
Questo accade perché, quando la velocità si abbassa il posteriore, produce più carico e quindi il centro di pressione si sposta verso il retrotreno. Tale contesto causa una diminuzione della downforce anteriore che può essere piuttosto tediosa. Se in più pensiamo che le vetture 2022 erano già di per sé intrinsecamente sottosterzanti, questo comportamento dev’essere accuratamente controllato.
Red Bull RB19: sospensione anti-dive/anti-squat meno invasive
Proprio per questo, Red Bull adottava già durante la passata stagione triangoli sospensivi anteriori molto inclinati verso il posteriore. Mentre al retrotreno i triangoli erano più inclinati verso l’anteriore. In genere, osservando storia recente della F1, si prevede una soluzione contraria per posizionare il centro di beccheggio (centro d’istantanea rotazione) più vicino al quello di massa. In questo modo, il braccio delle forze d’inerzia in frenata è minore e si ha una ridotta escursione dell’altezza da terra.
Di fatto questi concetti prendono il nome di geometria “anti-dive” e “anti-squat”, ovvero la limitazione del beccheggio in frenata e in accelerazione. Per essere ancora più chiari, possiamo dire che sulle altre vetture troviamo soluzioni simili ma meno estreme rispetto a quelle utilizzate sulla Red Bull RB19. In Ferrari si attuano concetti simili. Supponendo (è lecito farlo) che il centro di beccheggio si trovi al di sotto di quello di massa, possiamo dire che in Red Bull questo particolare punto nello spazio sia più basso rispetto alle altre vetture.
A questo punto un quesito sorge spontaneo: perché i tecnici di Milton Keynes utilizzano geometrie con valori anti-dive e anti-squat minori? Con ogni probabilità si preferisce varare geometrie che aumentino l’abbassamento del muso in frenata per riuscire a recuperare carico proprio in fase di beccheggio. In questo modo si contiene la migrazione del centro di pressione in staccata.
Red Bull/Ferrari: angolo di caster maggiore sulla RB19
Le differenze sospensive della Red Bull rispetto ai competitor non sono poi così marcate come sembra. Per questo possiamo dire che evidentemente la miglior gestione delle gomme provenga da altri fonti. Il “tyre-management” non è certo una scienza esatta. “Azzeccare” i corretti cinematismi risulta molto complesso in quanto i modelli matematici hanno sempre dei limiti, ovviamente.
Il controllo dinamico della gomma durante la marcia della monoposto è tutt’altro che semplice e dipende da moltissimi fattori. Semplificando di parecchio le cose, mettendo da parte alcune variabili come il carico generato, il set-up e altre tendenze, dobbiamo quindi parlare di parametri relativi alle sospensioni.
L’attuale scuderia campione del mondo ha prodotto varie soluzioni sospensive notevoli, sa avantreno e retrotreno. Una delle ipotesi più plausibili, pertanto, descrive l’ottimo controllo dinamico dello pneumatico “giocando” con l’angolo di caster. A tal proposito notiamo un fatto: sulla sospensione anteriore della Red Bull RB19, la parte di piano compresa tra due semirette (lati) uscenti dallo stesso punto (vertice) è maggiore se messo a paragone con la specifica adottata sulla SF-23.
L’angolo di caster ha una stretta relazione con quello di camber che si forma tra la mezzaria della gomma e l’asfalto. Un grado maggiore del caster implica un carico statico superiore che si posiziona sulla ruota anteriore. Il camber, a sua volta, incide notevolmente sull’amministrazione dei compound contrastando la forza laterale durante la sterzata.
Red Bull RB19: il “segreto” della gestione gomme
Soprattutto nelle curve ad alta velocità di percorrenza, le gomme tendono a variare l’angolo di camber verso l’esterno. In F1, quindi, si cerca di imporre un valore negativo inclinando la ruota verso l’interno. Tale provvedimento serve a “raddrizzare” lo pneumatico per garantire una buona impronta a terra.
Da questo scenario possiamo ipotizzare una fattualità Red Bull da non sottovalutare: utilizzando un minor camber statico il degrado potrebbe diminuire in quanto aiuta a mantenere più uniformi le temperature sulla superficie della gomma. Piccoli accorgimenti che però, in gara, possono fare una grande lo differenza.
In ultima istanza ricordiamo un aspetto: la Red Bull RB18 era già in grado di gestire termicamente le Pirelli P-Zero molto meglio rispetto a Ferrari e Mercedes. Un’arma a doppio taglio che aiuta in gara ma in parte penalizza la qualifica, quando si desidererebbe ottenere il massimo grip disponibile. Scenario che, a quanto pare, sembra verificarsi nuovamente anche quest’anno.
Nel concludere il lungo scritto tecnico di oggi ci vediamo “costretti” a sottolineare un fatto concreto: a Milton Keynes possiedono un validissimo gruppo di lavoro che si occupa esclusivamente di sospensioni e relativa scienza degli pneumatici. Potremmo utilizzare migliaia di parole per descrivere la bravura di questi tecnici considerando che, in questo campo, Red Bull è cattedratica.
Autori e telemetrie: Niccoló Arnerich – @niccoloarnerich – Alessandro Arcari –@berrageiz
Illustrazioni: Roberto Cecere – @robertofunoat
Immagini: Oracle Red Bull Racing