L’insoddisfazione, la voglia di non accontentarsi mai, la continua ricerca di stimoli anche nelle forme e nei modi più impensabili, sono il carburante nel motore di quelle squadre che riescono a lottare ad alti livelli e ad imporsi con una certa continuità. Non deve essere stato facile per Red Bull ingoiare i bocconi amari all’avvio dell’era turbo-ibrida, dopo aver comandato per quattro stagioni.
Mentre Mercedes inanellava vittorie, record e soddisfazioni, a Milton Keynes erano alle prese con una motorizzazione, quella Renault, incapace di tenere il passo del V6 di Brixworth. Sette anni passati ad osservare, sette stagioni di studio, di crescita e di solidificazione di un blocco diventato monolitico grazie al contributo decisivo di Honda, per poi sferrare, nel 2021, l’attacco mortifero alla Mercedes.
I campionati disputati nell’ombra della Stella a Tre Punte, evidentemente, hanno condizionato il giudizio degli anglo-austriaci che in AMG F1 ormai vedono un vero e proprio nemico anche quando non è accaduto nulla di particolare. Anche quando stanno dominando senza lasciare nemmeno le briciole alla concorrenza. Per la serie: ma chi ve lo fa fare di essere così inaciditi?
Beh, probabilmente questo atteggiamento di scontro – che è un gran classico della comunicazione della Red Bull – serve allo stesso team per trovare forze e stimoli per andare avanti. L’identificazione di un nemico è una strategia psicologica piuttosto naturale tramite la quale un dato soggetto si tiene sempre vivo e alza l’asticella delle performance personali per dare il massimo in ogni condizione.
Red Bull: le “paranoie” di Chris Horner
“Se avessimo un pilota britannico come una certa squadra di Brackley, sarebbe diverso. Siamo troppo facilmente visti come i cattivi“. Questo un estratto di alcune recenti dichiarazioni rese da Christian Horner, numero uno di Oracle Red Bull Racing. Frasi un po’ a casaccio senza un vero contesto logico che le possano giustificare. Parole, tra l’altro, anche antistoriche perché la Formula Uno è piena di piloti di una nazionalità diversa da quella britannica e che in terra d’Albione hanno fatto molto bene senza incorrere in critiche.
All’epoca in cui Sebastian Vettel trionfava, proprio con Red Bull, mai era emersa una problematica relativa alla sua nazionalità tedesca. Così come quando Prost, Senna o Hakkinen si imponevano con la McLaren che ha la base a Woking, Inghilterra. Nessuno mai ha avuto da ridire quando Michael Schumacher apriva la sua lunghissima stagione di trionfi, ottenuta in parte con la Benetton stanziata in quel di Enstone e, successivamente, con la Ferrari italiana.
Quella geografica ci sembra una questione veramente di lana caprina, anche perché non ci pare che Red Bull abbia una stampa particolarmente nemica. Né in Inghilterra, né in Austria, né in Germania, né in Italia, né negli Stati Uniti. Né in qualsiasi altro Paese del globo.
Se alcune volte si sono fatte delle osservazioni sul team e su come questo si ponga mediaticamente è perché sia Horner, ma soprattutto Helmut Marko e talvolta anche Max Verstappen con il suo “clan”, hanno mostrato un modo di interagire con la stampa votato alla durezza piuttosto che alla pacificazione. Ma sono registri comunicativi leciti che, una volta assunti, portano a conseguenze di cui bisognerebbe appunto assumersi le responsabilità senza cadere in un inspiegabile ed ingiustificato vittimismo.
Questo generale inacidimento nei riguardi della Mercedes, probabilmente, deriva da conseguenze incidentali relative allo sforamento del budget cap. La penalità ricevuta per una colpa acclarata (è necessario sottolinearlo) avrebbe macchiato il team austriaco. “Queste cose vengono usate dai rivali – ha attaccato a spron battuto Horner – Uno di loro ha contattato i nostri sponsor e partner insinuando che avremmo gettato discredito sui loro marchi. È stato davvero subdolo. Mia moglie mi ha sempre detto che una pacca sulla spalla è a soli 15 centimetri da un calcio nel sedere”.
Riferimento ancora una volta a Mercedes e a Toto Wolff? Probabile, anche se non ne abbiamo le prove. Certo è che l’ex pilota austriaco ebbe a dire che Mercedes si teneva ben larga da interpretazioni libertine del regolamento finanziario proprio per evitare problematiche relative al negativo ritorno d’immagine. Wolff ha parlato di integrità morale in riferimento al modo in cui sono state spese le risorse che il codice finanziario definisce.
E in effetti il team principal della Mercedes non è che abbia tutti i torti visto che la F1 è uno degli sport più esposti a livello mondiale e che ha molte ricadute commerciali proprio per via del legame stretto e diretto con le case automobilistiche e tutto l’indotto che gira loro intorno.
Ci pare altresì strano e anomalo che un dirigente come Wolff possa essere andato da uno sponsor istituzionale di Red Bull, come ad esempio Oracle, insinuando dubbi di legittimità o di opportunità morale in seguito alla pena comminata legittimamente dalla FIA. Una cosa è esprimere un parere pubblicamente, così come ha fatto il manager viennese, un’altra è sostenere che vi sia stata una manovra deliberata per mettere i bastoni tra le ruote a un team concorrente.
Red Bull teme manovre della FIA per limitarne la forza?
Quello degli ultimi tempi è uno scontro a tutto campo. Non solo Mercedes e Wolff identificati come nemici deputati, ma anche la FIA. Nonostante non sia ancora successo nulla. Vediamo: “C’è sempre qualcosa, una direttiva tecnica, un cambiamento in corsa. È garantito che gli altri si organizzino e si domandino come possano rallentarci. Fa parte del gioco. Avendo già vissuto questa situazione, si diventa più esperti su come affrontarla“. Mani messe avanti?
Se non siamo alla paranoia, poco ci manca. È nell’ordine delle cose che gli avversari chiedano chiarimenti qualora notino qualcosa di anomalo, ma in questo momento nessuno si è agitato. La RB19 è semplicemente una vettura universalmente riconosciuta come il mezzo più efficace e che meglio ha interpretato le regole modificate per la stagione partita tre settimane fa.
Forse Horner allude a quella volontà manifestata qualche tempo fa da Ross Brawn e ripresa da Nicholas Tombazis secondo cui il legislatore potrebbe intervenire qualora notasse uno strapotere tecnico talmente inscalfibile da rendere scontato l’esito delle gare.
Non una cosa che ci piace: l’interventismo è una deriva da tenere sotto controllo, ma una possibilità concreta, proprio perché annunciata da chi le regole le scrive. Quindi, qualora dovesse accadere una cosa del genere, i responsabili non sarebbero da cercare a Brackley, a Maranello, a Enstone, a Faenza o a Hinwil, ma Place de la Concorde. E forse pure nella sede di Liberty Media, il soggetto che detiene il pacchetto della Formula Uno e che non ne vuole sapere di osservare una categoria connotata da noiosi domini.
In chiusura possiamo affermare che la sindrome da accerchiamento che sta vivendo il mondo Red Bull è una naturale reazione mirata a proteggere se stessi. Chi detta il passo in Formula Uno è sempre e costantemente oggetto di critiche e di morbose attenzioni. E’ normale che Chris Horner voglia allontanare la pressione, identificando dei nemici più o meno virtuali, in modo da tenere i suoi sempre sulle spine e sempre pronti a produrre di più. Operazione nella quale quelli della Red Bull riescono molto, molto bene.
Autore: Diego Catalano – @diegocat1977
Foto: F1, Oracle Red Bull Racing